missile corea del nord
(Ansa)
Dal Mondo

I missili della Corea del Nord in realtà sono messaggi per Joe Biden

Kim jong-Un continua i suoi test, proprio per conoscere i suoi margini di manovra nella partita a scacchi con la Casa Bianca

Cresce la preoccupazione americana per i test missilistici compiuti dalla Corea del Nord. Il Paese asiatico in proporzione alle sue reali capacità offensive ha condotto un numero elevato di lanci per far avanzare il programma nazionale di Difesa, ma secondo l'Amministrazione Biden lo scopo di Pyongyang sarebbe quello di attirare l'attenzione mondiale su di sé mostrando i muscoli, sostenendo di doversi difendere da un possibile attacco da parte del “gigante cattivo” Usa e proveniente dalle basi militari situate a Guam e in Giappone. Nel suo discorso ai membri del governo della scorsa settimana, il capo nord coreano Kim Jong-un ha dichiarato di voler espandere il proprio arsenale militare delineando un elenco di armi desiderate, inclusi missili balistici a lungo raggio che possano essere lanciati da terra e dal mare. Ma ha anche affermato che gli Stati Uniti sono “il più grande ostacolo per la nostra rivoluzione e il nostro più grande nemico (...) non importa chi è al potere, la vera natura della loro politica contro la Corea del Nord non cambierà mai”.

Ad attirare l'attenzione internazionale su quanto avviene a Pyongyang non sono state le frasi del suo leader, la parata militare della settimana scorsa e neppure quella dell'ottobre 2021, bensì il fatto che durante le ultime settimane il regime ha annunciato come pienamente riusciti i lanci del suo missile a lungo raggio, convincendo la vicina Corea del Sud che, in quanto a prestazioni, la tecnologia messa a punto dagli specialisti di Kim Jong-un starebbe progredendo speditamente. In realtà è vero almeno per quanto riguarda la propulsione degli ordigni, perché invece sul piano dei sistemi di guida e dell'efficacia delle testate, secondo gli Usa ci sarebbe ancora molto da fare.

I toni usati dal capo nordcoreano rimangono trionfalistici e continuano a somigliare a quelli di un anno fa, quando poco prima che il presidente Jo Biden entrasse in carica la Corea del Nord presentò il suo missile intercontinentale definendolo l'arma più potente del mondo. In quel caso si trattava dello Hwasong-14 (versione potenziata dello Hwasong-12), che voleva dimostrare le velleità di colpire nemici distanti 8.000-10.000 km. Un messaggio di forza che in realtà serviva più all'interno del Paese che fuori, poiché ancora oggi le effettive capacità di quest'arma rimangono indefinite, in quanto non è noto lo stato di sviluppo dei suoi sistemi elettronici. Non si tratta infatti soltanto di copiare un motore a razzo cinese o russo e riuscire a far volare un ordigno perdendolo poi nell'oceano, cosa che da quelle parti avviene dal 2017, bensì di riuscire a creare infrastrutture, conoscenze e procedure per fargli raggiungere il bersaglio con la dovuta precisione.

Ma al posto di andare in quella direzione la Corea del Nord pare continuare a lanciare a distanze sempre maggiori, come ha dimostrato lo Hwasong-15, un missile a combustibile liquido a due stadi, probabilmente derivato dai Kn-23 già schierati, ma con una lunghezza e un diametro ancora maggiori, che quanto a carico utile – stimato dagli analisti in 2,5 tonnellate - potrebbe trasportare testate nucleari. Questo è stato protagonista dell'unico test veramente pericoloso compiuto con successo dai tecnici di Kim Jong-un e registrato dai satelliti occidentali: un lancio senza alcuna carica bellica che ha raggiunto un'altitudine stimata di 4.500 km, dieci volte superiore alla distanza tra il suolo e la Stazione Spaziale Internazionale. Questo missile, se sparato su una traiettoria più piatta, potrebbe volare per circa 13.000 km mettendo tutti gli Stati Uniti continentali nelle condizioni di diventare un bersaglio. Lo Zio Sam dunque se da un lato non può ignorare che le sue basi potrebbero essere raggiunte dalle armi nordcoreane, dall'altro considera sul piano diplomatico questi lanci come “messaggi” per Biden in modo che, come già accaduto con Donald Trump, l'attenzione dei media mondiali si concentri su un fronte fintamente caldo fino a giustificare un nuovo incontro distensivo tra le parti, esattamente come avvenne con il precedente inquilino della Casa Bianca a Singapore nel 2018, in modo da far apparire la grandezza del leader Kim Jong-un che in realtà punterebbe a un allentamento delle sanzioni internazionali (anche europee) dopo i pressoché nulli progressi ottenuti nei negoziati sul programma nucleare della Corea del Nord e durante il vertice ad Hanoi del 2019.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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