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(Ansa)
Dal Mondo

Tutti i nodi della "Commissione 6 gennaio"

I democratici vogliono istituirla, i repubblicani si oppongono. I pro e i contro della commissione che sta (ulteriormente) spaccando il mondo politico americano

Tra le varie (e aspre) battaglie in cui si stanno fronteggiando democratici e repubblicani sta assumendo un peso crescente quella sulla cosiddetta "Commissione sul 6 gennaio": un comitato bipartisan che dovrebbe incaricarsi di fare luce sull'irruzione in Campidoglio verificatasi la scorsa Epifania. La proposta è stata portata avanti dall'asinello, che auspicava una commissione con metà membri di nomina democratica e metà di nomina repubblicana. Lo scorso 19 maggio, la Camera dei Rappresentanti ha approvato l'istituzione del consesso: a favore si sono dichiarati tutti i deputati democratici e una trentina di repubblicani. Tuttavia, il passaggio al Senato si è rivelato molto più problematico: il 28 maggio, i repubblicani, adottando lo strumento del filibuster, hanno bloccato il provvedimento, che non è riuscito ad ottenere il quorum dei sessanta voti necessari per essere approvato.

Lo scontro politico resta intanto acceso. E non accenna a scemare. Da una parte, l'asinello preme per la commissione, con l'obiettivo di tenere l'assalto al Campidoglio al centro del dibattito politico ed evocando assonanze con un'altra commissione: quella sull'11 settembre, che fu in funzione tra il novembre 2002 e l'agosto 2004. Dall'altra parte, i repubblicani considerano la proposta dei dem politicamente motivata e sostengono inoltre che sia trascorso troppo poco tempo dall'irruzione del 6 gennaio: effettivamente va ricordato che, come abbiamo appena visto, la commissione sull'11 settembre fu istituita ben quattordici mesi dopo gli attentati di al-Qaeda. Un'altra motivazione, fornita dal capogruppo repubblicano al Senato, Mitch McConnell, è che il comitato proposto dall'asinello sarebbe inutile, visto che il Dipartimento di Giustizia e alcune commissioni senatoriali stanno già conducendo delle inchieste per proprio conto.

Nel frattempo, la Speaker della Camera, Nancy Pelosi, non si è data per vinta. Mercoledì scorso, ha scartato come impraticabile l'ipotesi che lo stesso Joe Biden costituisca una commissione presidenziale: una simile eventualità necessiterebbe infatti dell'appoggio di entrambi i rami del Congresso e, come visto, i numeri risultano insufficienti. Secondo quanto riferito da Associated Press, la Speaker avrebbe quindi ventilato una serie differenti ipotesi: in particolare, o tentare un nuovo voto al Senato per un comitato bipartisan oppure incaricare una commissione speciale della Camera di condurre delle indagini.

Indipendentemente dalla strada che verrà adottata, è il lato politico della faccenda ad essere forse quello maggiormente interessante. La questione della commissione infatti sta facendo emergere schieramenti e rapporti di forza trasversali ai due partiti. Da una parte, si è confermata la spaccatura interna al Partito repubblicano tra una maggioranza tendenzialmente favorevole a Donald Trump e una minoranza a lui avversa. Non sarà del resto un caso che tra i senatori dell'elefantino che hanno votato a favore della commissione vi siano storici avversari dell'ex presidente americano (da Mitt Romney e Lisa Murkowski). Anzi, non è del tutto escludibile che i dem stiano puntando su tale commissione proprio per spaccare il fronte repubblicano in vista delle prossime elezioni di metà mandato.

Dall'altra parte, l'asinello non può comunque dormire sonni troppo tranquilli. E questo sostanzialmente per due ragioni. In primo luogo, perché l'anti-trumpismo si conferma pressoché l'unico argomento su cui i dem risultano in grado di trovare un minimo di coesione (laddove su altri temi, dall'economia alla politica estera, appaiono più spaccati che mai). In secondo luogo perché, nonostante una discreta compattezza, anche sulla commissione si sono registrati dei problemi interni: basti pensare che due senatrici dem, Patty Murray e Kyrsten Sinema, non si sono presentate al voto, adducendo "problemi famigliari". Significativo, da questo punto di vista, è la mossa della Sinema, che si è trovata più di una volta in contrasto con la linea dell'asinello e con la stessa agenda programmatica di Joe Biden. Insomma, non è ancora chiaro come andrà a finire la questione della commissione. L'unica cosa certa è che questo dibattito politico minerà ancora di più l'unità nazionale.

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Stefano Graziosi