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Cadaveri su una strada di Bucha, in Ucraina, il 2 aprile 2022 (Getty Images).
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Gaiani: «Strage di Bucha: accertiamo i fatti prima di fare scelte pericolose»

L'analista militare mette in guardia i politici europei dall'assumere posizioni irreversibili prima di conoscere i risultati di un'indagine internazionale indipendente. E ricorda il massacro di Racak in Kosovo.

Panorama ha parlato della strage di Bucha, la cittadina ucraina dove sono state trovate centinaia di cadaveri, con l'esperto militare Gianandrea Gaiani, direttore della rivista AnalisiDifesa.

I leader politici europei hanno reagito alla strage di Bucha proponendo l'embargo sul gas russo, nuove sanzioni e l'invio di più armi. Che cosa ne pensa?

«Queste reazioni sono gravi, improvvide e pericolose. Gravi perché vengono prese senza che ci sia stata una conferma di quello che effettivamente è accaduto a Bucha. La strage ha molti punti critici, che sono tutti da chiarire. Mi aspetterei però che i leader dei Paesi europei esprimessero forti perplessità e critiche verso qualsiasi tipo di crimine di guerra».

In che senso?

«Beh, diciamo che non ho visto reazioni simili quando sono emersi i video delle torture e delle ferite inflitte ai prigionieri russi da parte di miliziani della Guardia nazionale ucraina. Eppure anche quelli sono crimini di guerra. Non a caso, l'Ucraina ha accettato di aprire un'inchiesta. Perché erano crimini anche quelli...».

Ma rispetto al massacro di Bucha quali sono i punti da chiarire?

«Il 30 marzo i russi si ritirano in buon ordine da questa cittadina, come da tutte le zone da cui si sono ritirati a Nord di Kiev. Nei giorni immediatamente successivi né il sindaco Anatoly Fedoruk, né le forze di sicurezza ucraine, né i civili denunciano la presenza di cadaveri. Il 2 aprile la polizia ucraina diffonde un video, a meno che non sia falso, in cui fa vedere la città in buona parte distrutta, con molti veicoli bruciati, che porta i segni evidenti della guerra e della battaglia appena finita. Ma non ci sono tracce di cadaveri per terra. Che invece vengono mostrati successivamente, a partire dalla serata del 2 aprile, cioè tre giorni dopo il ritiro delle truppe russe. Quindi ci sono molte cose da chiarire. Anche perché non dimentichiamo che c'è un precedente importante, che noi della Nato dovremmo ricordare bene».

Il massacro di Racak in Kosovo.

«Esattamente. Nel 1999 noi andammo in guerra contro la Serbia nel 1999 sull'onda emotiva della strage di Racak. I raid aerei della Nato cominciarono in seguito a quella che venne presentata come una strage di civili, fra 40 e 45, perpetrata il 15 gennaio 1999 dalle forze speciali serbe. In realtà era stata costruita ad arte, sparando un colpo alla testa a persone che erano già morte».

Fin da subito erano emersi forti dubbi sul fatto che i morti fossero civili.

«I primi a dirlo furono i medici del team sanitario di un ospedale bielorusso che allora lavorava in Kosovo. Dopo pochi giorni, nel corso dei quali tutti i giornali avevano titolato “La fossa comune a Racak”, i medici bielorussi dichiararono che a tutti i cadaveri era stato sparato un colpo in testa post mortem e che poi erano stati seppelliti. Il presunto massacro di civili in realtà era stato una messa in scena, costruita con cadaveri di miliziani dell'Uck, per giustificare l'avvio dei bombardamenti».

E non è l'unico caso. Già nel 1939, Adolf Hitler cercò di giustificare l'invasione della Polonia inscenando un finto attacco polacco contro la stazione radio tedesca di Gleiwitz.

«Certo. La guerra è fatta anche di inganni e di propaganda. Dovremmo essere tutti vaccinati contro questo tipo di espedienti, perché li abbiamo già viste troppe volte. Quindi mi sembra grave che i leader europei non dicano: “Questa cosa è orribile, pretendiamo un'inchiesta che faccia luce sull'accaduto”. Questa è la richiesta da fare, perché se emergessero responsabilità russe in questo senso sarebbe gravissimo. Ma sarebbe gravissimo anche se questa risultasse essere una messa in scena propagandistica, magari per sabotare le trattative di pace o tesa ad aumentare il divario, che ormai è ampio, fra l'Europa e la Russia. Magari portando alla rinuncia al gas russo».

Lei ha parlato anche di reazione improvvida. Perché?

«Perché paventa delle risposte europee che sono devastanti per l'Europa, più che per la Russia. Anche oggi i dati usciti ci dicono che la Borsa russa è arrivata ai livelli pre-guerra e che il rublo ha ripreso quota. Cambiato a 84,10 sul dollaro, è vicino a quel 75 di valore che aveva prima della guerra».

E perché quella dei leader europei è una reazione pericolosa?

«Perché paventiamo la rinuncia al gas russo per una strage di per sé orribile, ma di cui non abbiamo prove da elementi neutrali, che possono essere l'Osce o le Nazioni Unite. Oggi la Russia ha chiesto un incontro per parlare di Bucha al Consiglio di sicurezza dell'Onu e la presidenza britannica ha detto no».

Come mai?

«Evidentemente perché i russi potrebbero essere in grado di dimostrare la loro estraneità».

Ma è gravissimo.

«Se vogliamo distruggere i rapporti fra l'Occidente e la Russia, diciamolo. Comunque, quella di Bucha è stata un'operazione a mio parere molto sporca. Io ho delle reticenze solo guardando le immagini. Poi non sono stato in Ucraina e non posso dire più di tanto. Però mi ha stupito vedere immagini di cadaveri che sicuramente sono stati esposti alle intemperie, al fango e alla terra, legati con le mani dietro la schiena con un nastro bianco intonso. Mi pare un po' improbabile. Di morti ne ho visti abbastanza quando facevo il reporter di guerra...».

Anche di sangue non se ne vede.

«Esatto, anche di sangue non se ne vede. Come se fossero morti da un po' di tempo... Ci sono delle cose nella tempistica che non tornano. Io credo che, prima di prendere decisioni drastiche, un'inchiesta internazionale ma soprattutto neutrale dovrebbe essere richiesta unanimemente per fare chiarezza. Peraltro, l'atteggiamento dei politici europei è anche pericoloso».

Perché?

«Perché se continuano a parlare di rinunciare al gas russo, Putin potrebbe prenderli in parola. Tutti gli studi fatti fino a ieri dicevano che l'Europa potrebbe metterci due o tre anni per poter fare a meno del gas russo. Se domani i russi chiudono il rubinetto, noi qua andiamo avanti con le candele. Che le leadership europee facciano dichiarazioni del genere è grave, improvvido e pericoloso. Anche perché sulla strage non ci sono prove concrete, finora».

Intende dire che potrebbe essere lo stesso Putin a dire che ci taglia il gas?

«Non dimentichiamo che da quando è iniziata la guerra i flussi di gas sono continuati e addirittura aumentati. Sia attraverso il Nordstream 1, sia attraverso l'Ucraina. E anche l'Ucraina ha continuato a ricevere il gas russo. Se domani Putin chiudesse i rubinetti, saremmo tutti in difficoltà in Europa. Io mi aspetto che il governo italiano si preoccupi essenzialmente del nostro interesse nazionale».

Ma senza trascurare gli aspetti umanitari. Se è stata commessa una strage anzitutto vanno cercati i colpevoli e poi puniti.

«Una volta confermata l'esistenza della strage e confermate le responsabilità, si devono punire i crimini di guerra. Però, attenzione, questa strage cade in un momento molto particolare. Sembrerebbe fatta apposta per sabotare le trattative fra Russia e Ucraina. E per spaccare definitivamente il cordone, fatto a forma di gasdotto, che unisce l'Europa alla Russia».

Fatto apposta da chi?

«Diciamo che tutto questo non è nell'interesse degli europei. È nell'interesse degli Stati Uniti: sono loro che ci chiedono da tempo di comprare il loro gas. Dopo il 2014, cioè dopo piazza Maidan, Barack Obama venne in Europa e disse: “Non comprate più il gas dai russi, compratelo da noi”. E continuano a dircelo. L'attuale guerra viene usata anche per forzare questo passaggio di dipendenza. Tra l'altro, da un gas che pagavamo in euro a un gas americano (o qatarino) che ci costerà di più. E che pagheremo in dollari».

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Elisabetta Burba