danimarca Corano
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Danimarca al bivio per la legge sul Corano

Contro i roghi del testo islamico il governo pronto a reintrodurre il reato di blasfemia. Ma il paese si ribella

Ancora lo zampino di Charlie Hebdo, ancora lo spettro del pericolo islamista in Europa. Stavolta la polemica rinfocolata dal celebre settimanale satirico francese – reso suo malgrado ancor più celebre da quando è stato oggetto di un attentato jihadista nel gennaio 2015 (12 vittime) – nasce dall’appello (fresco di edicola) con cui il giornale avverte i cittadini danesi del pericolo che corrono con il loro nuovo progetto di legge che punta a ripristinare in Danimarca il reato di «blasfemia».

Una legge pensata soprattutto per vietare i recenti roghi del Corano, che già nella vicina Svezia hanno scaldato le masse dei musulmani e contagiato laici e religiosi di mezza Europa. Il fine della legge? All’apparenza, evitare che vi sia un rigurgito di attentati terroristici di matrice islamista contro obiettivi danesi. In conseguenza dei roghi, infatti, gli apparati di sicurezza hanno già innalzato il livello di allerta terrorismo, e c’è chi preconizza nuove ondate di attacchi a obiettivi civili e pubblici, come ai tempi dello Stato Islamico.

La Danimarca e la Svezia sono notoriamente tra i Paesi più laici e liberali del mondo, e da sempre consentono una critica pubblica alle religioni, qualsiasi sia il tono e il contenuto. Per questo, all’inizio del 2023 i tribunali svedesi hanno consentito a Salwan Momika - un rifugiato iracheno che affermava di voler protestare contro l’intera istituzione dell’Islam e chiedeva di vietare il suo libro sacro - di organizzare il rogo del Corano in almeno tre occasioni, nonostante le diffide della polizia.

Da qui è disceso il resto. Ma adesso la situazione sembra cambiata: Copenaghen pensa di arginare il problema reintroducendo l’antica legge cancellata nel 2017, dopo che era rimasta in vigore per ben 334 anni, e che oggi senza mezzi termini Charlie Hebdo definisce «medievale», perché in pratica impedirebbe anche le azioni dimostrative, come appunto quella di bruciare un testo sacro.

Le proteste dei fedeli musulmani si sono scatenate in mezzo mondo, e così lo scandalo è diventato parte dello scontro politico internazionale con gruppi di estrema destra che, galvanizzati all’idea di colpire gli immigrati di fede islamica, hanno a loro volta organizzato manifestazioni anti-musulmane (soprattutto in Danimarca), per riportare al centro del dibattito nordeuropeo la questione della «islamizzazione» delle società nordiche.

Alla fine, il punto di fondo è sempre lo stesso: dove arriva e dove invece si arresta la libertà di espressione? Come per tutti i diritti, occorre che sia bilanciata per tutelare altri diritti. Certo non può fare eccezione la libertà religiosa, che ancora oggi svolge un ruolo fondamentale nella nostra società, che lo si voglia o meno. La recente «moda» di bruciare il Corano in Svezia o Danimarca, dove vivono non meno di un milione di cittadini musulmani (in Europa sono almeno 30 milioni complessivamente, pari al 6% circa della popolazione), ne è un chiaro esempio. È giusto consentirle i roghi del libro sacro dell’Islam? O è opportuno limitare tali atti? Ma come si ottiene ciò? Basta una legge? È ciò che si sta chiedendo il governo danese.

«Non brucerei mai i libri, ma mi batterò perché altre persone abbiano il diritto di farlo», ha dichiarato alla Reuters Susie Jessen, parlamentare del partito di destra Democratici danesi. Mentre il governo valuta di «vietare il trattamento inappropriato di temi con significato religioso importante per una comunità religiosa».

Il progetto di legge non riguarda «l’espressione verbale o scritta», e dunque non rientrerebbero in questo schema ad esempio le vignette o gli editoriali vergati su un quotidiano, ma punisce invece chiunque bruci o maltratti, ad esempio, un Corano, una Bibbia, una Torah o un crocifisso, «con una pesante multa e a due anni di carcere».

Sono soprattutto i timori di attacchi terroristici in Svezia e Danimarca o ai loro cittadini all’estero, ad aver portato la politica a pensare contromisure urgenti. Questa settimana, il primo ministro svedese Ulf Kristersson su Instagram ha lanciato per primo l’allarme: «Siamo nella più grave situazione riguardo alla nostra sicurezza dalla seconda guerra mondiale […] In Svezia abbiamo iniziato a lavorare sull’analisi legale - inclusa la legge sull’ordine pubblico - e sulle legislazioni di altri Paesi europei per prendere misure».

Nel mentre, il ministro degli Esteri danese Lars Lokke Rasmussen ha annunciato in tv che l’esecutivo cercherà di «trovare uno strumento» che consenta alle autorità di impedire la profanazione di copie del Corano davanti alle ambasciate in Danimarca, visto che simili manifestazioni hanno «raggiunto un livello tale per cui la Danimarca, in molte parti del mondo, è percepita come un Paese che facilita la denigrazione delle culture, delle religioni e delle tradizioni di altri Paesi».

Intanto incuranti dei timori dei politici nordici, ieri due uomini di origine araba hanno dato fuoco a una copia del Corano proprio fuori dal Parlamento di Stoccolma, sorridendo ironicamente. Sull’altro fronte, l’Organizzazione della cooperazione islamica (Oic) ha tenuto una riunione straordinaria dove il segretario generale Hissein Brahim Taha «ha espresso il suo disappunto per il fatto che finora non siano state prese misure adeguate contro la profanazione in piazza del testo sacro».

Riflette sul tema Fabio Valerini, avvocato e dottore di ricerca all’Università di Roma Tor Vergata, che a Panorama afferma: «Di là dalla querelle politica e dal pericolo jihadista, che vale la pena sottolineare è ben altro e ben distinto dal mondo musulmano, il punto è il seguente: l’Europa vede nella tutela dei diritti la propria caratteristica identitaria. Tra di essi la libertà di espressione è perno ed elemento fondamentale. Dall’altra, però, le fonti internazionali vietano “qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale o religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza”. Il che porta a escludere che le norme che puniscono quelli che possiamo definire reati d’odio, siano di per sé illegittime».

Nel caso specifico dei roghi del Corano, «laddove la norma fosse applicata per punire qualcuno che ha bruciato il Corano come nel caso svedese, leggendo anche le sentenze della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, in caso di condanna del fatto o di reintroduzione della legge sulla blasfemia, non arriveremmo verosimilmente a nessuna ipotesi di contrasto con i diritti umani. E dunque il legislatore danese non solo ha piena legittimità, ma si colloca anche nelle indicazioni del Consiglio dei Diritti umani dell’Onu, secondo cui dovrebbero essere puniti “gli atti pubblici e premeditati di profanazione del Santo Corano”».

È chiaro che molto dipende anche dai singoli comportamenti e dagli atti concreti: «Infatti. Tanto è vero che è stata elaborata da tempo, nell’ambito del “Piano d’Azione di Rabat”, una griglia di valutazione dei comportamenti che, di fronte a un possibile comportamento d’istigazione all’odio, richiede di valutare: il contesto in cui l’atto viene compiuto, l’oratore, l’argomento, la forma, la probabilità di danno, intendendosi quest’ultima come la probabilità di mettere in pericolo la pace religiosa. In conclusione, in generale la proposta di legge danese appare compatibile e coerente anche con le tendenze della legislazione internazionale». Con buona pace di Charlie Hebdo.

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