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(Ansa)
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Il Congresso Usa in sostegno di Taiwan

Proseguono le visita di parlamentari americani sull'isola. Pechino risponde mostrando i muscoli, ma non è detto che la sua aggressività sia segno di effettiva forza

Un gruppo bipartisan di parlamentari statunitensi si è recato giovedì scorso a Taiwan, dove ha avuto modo di incontrare vari funzionari locali, oltre alla presidente Tsai Ing-wen. In particolare, il ministero degli Affari Esteri di Taipei ha reso noto che la visita è stata organizzata dall'American Institute di Taiwan. “Siamo qui a Taiwan questa settimana per ricordare ai nostri partner e alleati, dopo due anni difficili che abbiamo sopportato, che il nostro impegno e la responsabilità condivisa per una regione indo-pacifica libera e sicura rimangono più forti che mai”, ha dichiarato il deputato dem Mark Takano. Come riferito dalla National Public Radio, si tratta della terza visita di parlamentari americani sull’isola nell’arco di quest’anno: una visita, quest'ultima, che è avvenuta appena poche settimane dopo quella effettuata da sei membri repubblicani del Congresso a inizio novembre.

La reazione piccata di Pechino non si è fatta attendere, con il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, che ha affermato come questo viaggio “abbia gravemente violato il principio dell’unica Cina”, chiedendo inoltre a Washington “di interrompere immediatamente qualsiasi forma di interazione ufficiale con Taiwan”. “Esortiamo i membri del Congresso degli Stati Uniti a riconoscere la situazione. Collaborare con le forze dell' ‘indipendenza di Taiwan’ è un gioco pericoloso; giocare con l' ‘indipendenza di Taiwan’ alla fine porterà al fuoco”, ha aggiunto minacciosamente il portavoce cinese.

Ma l’irritazione non si è limitata alle parole. Venerdì, l’esercito di Pechino ha effettuato delle esercitazioni militari nei pressi dello Stretto di Taiwan, mentre domenica ben ventisette aerei da guerra cinesi sono penetrati nella zona di difesa aerea dell’isola. Una mossa significativa, a cui ha replicato prontamente Taipei. Il ministro degli Esteri taiwanese, Joseph Wu, ha infatti dichiarato: “L'azione coercitiva ha ovviamente lo scopo di mettere in ginocchio Taiwan e tenerci lontani dai partner democratici. Ma non commettete errori: non ci piegheremo mai alle pressioni del Partito Comunista Cinese. Mai mai mai!”

La tensione, insomma, non accenna a diminuire. Tutto questo, mentre la posizione di Washington sul tema è stata espressa tre settimane fa dal portavoce del Pentagono, John Kirby. “Le visite della delegazione del Congresso a Taiwan sono abbastanza di routine”, dichiarò. “Le metterei nel contesto della normale pratica qui e in linea con i nostri obblighi ai sensi del Taiwan Relations Act, che è stato sostenuto da più amministrazioni, sia democratiche che repubblicane, che rafforza la nostra richiesta di aiutare Taiwan con la sua esigenze di difesa”. Del resto, proprio al Taiwan Relations Act ha detto di rifarsi Joe Biden, nel corso dell’ ultimo colloquio virtuale tenuto con Xi Jinping.

Ricordiamo che tale provvedimento consenta agli Stati Uniti di fornire armamenti a Taipei, ma che non obblighi al contempo Washington ad intervenire in sua difesa nel caso di eventuali attacchi. Una posizione, questa, che stride con quanto era stato affermato dallo stesso Biden a ottobre, durante un dibattito alla Cnn: in quell’occasione, il presidente americano si era infatti detto disposto a intervenire militarmente a favore di Taipei, qualora se ne fosse presentata la necessità. Un’affermazione che tuttavia era stata quasi subito smorzata (e di fatto smentita) dalla stessa Casa Bianca.

Questa parziale marcia indietro ha creato delle fibrillazioni tra Biden e alcuni settori del Congresso: settori che, al contrario, invocano una linea netta a favore di Taiwan. Una posizione, questa, che non è ascrivibile soltanto ai repubblicani ma anche a svariati esponenti del Partito Democratico. La deputata dem, Elaine Luria, ha per esempio suggerito che il Congresso dovrebbe autorizzare il presidente a usare la forza militare, per quanto in modo “ristretto e specifico”. Altri parlamentari risultano invece più cauti e, pur invocando maggiori finanziamenti a Taiwan nel settore della difesa, si mostrano relativamente titubanti sull’eventualità di un intervento diretto americano. Al netto delle differenze, è tuttavia chiaro che parte consistente del Congresso statunitense ritenga che Washington debba fare di più a favore dell'isola. Dall’altra parte, sarebbe comunque un errore ritenere che l’aggressività cinese nasca necessariamente da una posizione di effettiva forza. Pur contando infatti sulla vicinanza geografica, Pechino utilizza spesso la questione taiwanese proprio per coprire problemi intestini e cercare quindi di creare un senso di compattamento interno.

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Stefano Graziosi