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(Ansa)
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Allarme al Washington, Pechino vuole una base militare sull'Atlantico

Aumentano le tensioni tra le due superpotenze le cui mire espansive sfiorano con maggiore insistenza l'ambito militare

La Cina starebbe per creare la sua prima base militare permanente affacciata sull'Oceano Atlantico, più precisamente sulla costa della Guinea equatoriale. A pubblicare questa notizia per primo è stato il Wall Street Journal ieri, che avrebbe raccolto informazioni dall'intelligence statunitense. Sebbene i funzionari e i giornalisti non abbiano descritto in dettaglio i piani della Cina, hanno affermato che la presenza delle forze di Pechino sulla costa atlantica dell'Africa aumenterebbe la possibile minaccia per gli Stati Uniti, in quanto darebbe alle navi da guerra cinesi un posto dove potersi rifornire e riarmare. Di conseguenza in caso di conflitto la decisione esporrebbe il territorio del piccolo stato a potenziali attacchi da parte di Usa e Nato per neutralizzare le minacce.

Ma la possibile presenza nell'Africa occidentale di unità navali armate appartenenti a Pechino non rappresenterebbe un potenziale problema soltanto perché in questo modo la Marina militare cinese potrebbe schierarsi a meno di 8.000 km dalle coste americane, ma soprattutto perché le permetterebbe di pattugliare in modo sistematico e continuo l'Oceano Atlantico tra l'Africa e il Sudamerica, anche con l'utilizzo di sommergibili, ricevendo rifornimenti anche per via aerea grazie all'aeroporto situato nelle vicinanze della base. Pechino con la realizzazione della nuova base potrebbe anche raddoppiare la sua logistica in Africa, avendo già realizzato una grande base militare a Djbouti, sulla costa che domina l'ingresso del Mar Rosso e il golfo di Aden, una delle postazioni dal più alto valore strategico del mondo. Tra le due strutture ci sarebbero poi le basi terrestri situate in Camerun, Etiopia e Sudan, ufficialmente strutture minerarie, ovvero quelle presenti nelle nazioni che più di tutte hanno ricevuto finanziamenti da Pechino per lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo.

Già nell'aprile scorso il generale Stephen Townsend, comandante dell'U.S. Africa Command, aveva dichiarato al Senato che la minaccia più significativa della Cina sarebbe stata una struttura navale militarmente utile sulla costa atlantica africana. Il generale aveva spiegato: “Per militarmente utile intendo qualcosa di più di un luogo nel quale le unità cinesi possano fare scalo per ottenere carburante e generi alimentari, ma un porto dove si possano riarmare per poi riparare per altre missioni”. Da uno studio della difesa Usa la costruzione della base navale cinese potrebbe avvenire nei pressi della città portuale di Bata, luogo dove è stato realizzato anche il maggiore aeroporto del Paese e nel quale ci sono buoni collegamenti con l'interno della nazione. Ma soprattutto un luogo nel quale ci sono acque profonde per accogliere navi con dislocamento importante e che è stato rinnovato recentemente da un'azienda cinese, la China Road & Bridge Corporation, completamente a spese della Repubblica Popolare.

Nell'ottobre 2020 Jon Finer, vice consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Joe Biden, si era recato nella Guinea equatoriale nel tentativo di convincere il presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo e suo figlio, il vicepresidente Teodoro "Teodorin" Nguema Obiang Mangue, a respingere la proposta cinese. Al riguardo Finer aveva dichiarato: “La nostra diplomazia ha il compito di affrontare le questioni di sicurezza marittima, pertanto abbiamo chiarito al governo di Malabo che alcuni potenziali passi che favorissero l'attività cinese potrebbero creare problemi di sicurezza nazionale a entrambe le nazioni”.

Teodoro Obiang è il presidente più longevo al mondo, avendo governato per oltre 40 anni, ma l'organizzazione Human Rights Watch ha spesso denunciato la “repressione implacabile” perpetrata sulla società civile durante il suo mandato, più simile a un regno che a una reale repubblica, come si definisce il piccolo Paese africano, nel quale una diffusa corruzione sottrarrebbe la ricchezza petrolifera concentrando denaro nelle casse di una oligarchia. Resta il fatto che questa vicenda rischia di peggiorare ulteriormente i rapporti tra Usa e Cina, che nell'ultimo anno sono peggiorati sia per le questioni relative ai diritti umani, sia per gli effetti della pandemia di Covid-19 sulle catene di approvvigionamento, sia per la situazione dell'isola di Taiwan.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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