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(Ansa)
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La violenza, il video, la paura, i mancati soccorsi. Oltre all'omicida Civitanova racconta tanto di noi

L'analisi del sociologo dietro l'omicidio del nigeriano mentre la gente non interveniva in suo aiuto

Alika Ogorchukwuch è il nome del nigeriano ucciso a mani nude nel pieno centro di Civitanova davanti agli occhi di decine di passanti che non hanno mosso un dito per aiutarlo. Ad ucciderlo Fabrizio Ferlazzo dopo averlo inseguito e pestato schiacciandolo a terra per 4 minuti. Una morte orrenda che lascia atterriti non solo per la ferocia dell’aggressore ma perché l’omicidio è stato ripreso da più persone rimaste a guardare un uomo che muore. Veri e propri spettatori che non hanno nemmeno gridato come è accaduto durante l’aggressione alla stazione di Milano ma hanno tirato fuori il telefono per riprendere la morte in diretta di un ambulante ucciso di botte nell’indifferenza più totale.

«Se la vittima sente che lo spettatore è dalla sua parte, che si muove verso di lui come è accaduto nell’aggressione a Milano l’esito può risultare diverso e si salva. A Civitanova Marche, nessuno è intervenuto attivamente e le conseguenze per la vittima sono state estreme». Una morte assurda che forse si poteva evitare, secondo l’analisi del sociologo Maurizio Fiasco specializzato in ricerca e formazione in tema di sicurezza pubblica

Cosa ne pensa di quello che è successo a Civitanova?

«Contrariamente a quanto si crede, gli omicidi che si contano oggi sono molto inferiori di numero a quelli che avvenivano 20 anni fa: si è passati da 634 casi nel 2002 a 271 casi nel 2020, quello della pandemia. In generale, il passo in avanti quanto a sicurezza è stato netto. Dunque, non è vero che in Italia vi sia un crescendo della violenza. Tuttavia, continuano a non diminuire (e per alcuni tipi addirittura ad aumentare) i fatti di sangue che i criminologi definisco di “violenza espressiva”. Ed è tale il caso dell’uccisione del venditore ambulante nigeriano a Civitanova Marche. Gli elementi da analizzare, se s’intende capire gli aspetti essenziali di cosa è successo, sono il tipo di violenza, il luogo dov’è avvenuta, la confusione della responsabilità in chi ha assistito, e la posizione dello spettatore davanti all’atto così efferato.Siamo difronte proprio ad un caso di “violenza espressiva”, che presenta una certa similitudine con il recente omicidio del giovane pugile avvenuto ad Anzio. Con l’aggettivo “espressiva” s’intende, infatti, un tipo di violenza “non strumentale”, che è quella che invece si registra nelle rapine o negli abusi sessuali. Violenza che ha lo scopo di ottenere un vantaggio. Nella violenza espressiva, nei casi di violenza privata, la motivazione è proprio il consumo di violenza. O la violenza come consumo».

Come si può arginare “la violenza espressiva”?

«La violenza espressiva inquieta di più: non è prevedibile, non possiamo contare su un dispositivo di protezione. In astratto, invece, la violenza di una rapina è contrastabile, si può evitare. L’imprevedibilità della violenza espressiva ci atterrisce: non possiamo coglierne i sintomi o accorgerci dei luoghi dove possa manifestarsi. Arriva all’improvviso, e non appaiono gli antecedenti che ci consentano di filtrarla.Poi c’è da considerare il luogo. Il fatto è accaduto nella via della shopping, mentre la gente guardava le vetrine, passeggiava, e non percepiva nessuna responsabilità attiva. I passanti non intrecciavano alcuna relazione tra loro. All’esplodere della violenza, si è verificata una reazione di “non soccorso” spontaneo».

Secondo lei perché i passanti sono rimasti inermi?

«Passiamo al terzo elemento fondamentale dell’episodio tragico. L’inerzia dello spettatore, la figura che è sul posto della violenza. Vittima e aggressore percepiscono la presenza dello spettatore. E quest’ultimo, con chi sta? Se la vittima sente che lo spettatore è dalla sua parte, che si muove verso di lui (in senso materiale, o anche solo come espressione come è accaduto nell’aggressione recente appena fuori la stazione di Milano) l’esito può risultare diverso. E si salva.A Civitanova Marche, nessuno è intervenuto attivamente, le conseguenze per la vittima sono state estreme. Ricordiamo che nella dinamica della violenza ricorre quasi sempre una triangolazione: la vittima, l’aggressore e lo spettatore. Sullo spettatore influisce il teatro dell’aggressione: nel caso coincida con il quartiere o un luogo significativo per lui (ci vive o ci lavora) si innesca subito la reazione di censura, di disapprovazione, di squalifica e avviene l’efficace contrasto dell’azione violenta. Tutto questo inibisce l’aggressore.All’opposto, nelle vie dello shopping – pur se vi sono tante persone, o addirittura una folla – gli avventori nemmeno percepiscono cosa vi accade, oltre all’esposizione delle merci in vetrina o ai bar e alle trattorie. Tante persone in uno spazio ridotto, ma ognuna indifferente alle realtà dell’insieme della popolazione presente. Ed è là che viene confusa la responsabilità, e si sfugge al dovere umano di prestare soccorso.È probabile che se a esser maltrattato fosse stato un’animale, i passanti avrebbero invece reagito. Lo schema della violenza, infatti, sarebbe stato più semplice da comprendere, come pure intervenire, rispetto al frapporsi tra due persone, delle quali una è la vittima senza volto conosciuto. Ulteriore difficoltà, potremmo dire un’aggravante per lo spettatore che non si è calato nei panni della vittima a Civitanova Marche, è stata la condizione di questi quale venditore ambulante povero, e dai connotati fisici molto diversi da quelli europei. Questo particolare comunque non giustifica in niente l’inerzia dello spettatore a intervenire. Inerzia che si può dare per scontata esserci, potenzialmente, già prima di quel crimine».

L’atto di filmato senza intervenire come può essere interpretato?

«L’occhio elettronico dello smartphone, come quello della telecamera di sorveglianza, consentono una comoda via di fuga: come se il testimone elettronico (che registra solo il fatto con l’obiettivo) esonerasse dalla responsabilità lo spettatore in carne e ossa, proprio mentre egli si evolve, per l'appunto, da “spettatore generico” a testimone giudiziario. Del resto, l’esaltazione mediatica dei dispositivi video, ha fatto evaporare la presenza del prossimo, anche dell’uomo sofferente o che sta per morire di percosse».

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Linda Di Benedetto