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(Ansa)
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Cosa c'è dietro la violenza dei giovani d'oggi

L'omicidio di Anzio è solo uno degli esempi di quanto succede ogni notte tra le strade italiane. Colpa di diversi fattori, spiega l'esperto

La movida violenta dei giovani inizia a far paura, soprattutto dopo l’ultimo episodio in cui un ragazzo di soli 26 anni è stato assassinato a coltellate sotto gli occhi di una folla di giovani. Un fatto cruento quello accaduto ad Anzio, l’ultimo di una serie di crimini che riguardano l’intero territorio nazionale ed hanno come protagonisti tanti giovanissimi. Ragazzi che escono di casa con pistole e coltelli, pronti ad essere usati come se niente fosse. Aggressioni, bullismo, risse, omicidi, furti, stupri e spaccio di droga sono il mantra di chi vive senza regole sociali ed ha sdoganato una sottocultura fatta di violenza come strada per l’affermazione della propria identità. Un fenomeno preoccupante ma che ha una logica ben precisa, perché non sono i ragazzi ad essere cambiati nel tempo ma è il contesto sociale privo di spazi per loro ad aver contribuito a renderli più violenti.

«I ragazzi non sono cambiati, sono gli stessi di 30 anni fa. La variabile che incide è il “potere della situazione” che trasforma i comportamenti e cambia gli angeli in demoni»-commenta Maurizio Fiasco, Sociologo specializzato in ricerca e formazione in tema di sicurezza pubblica.

Dove si sviluppa maggiormente il fenomeno della movida violenta?

«La situazione in cui si sviluppa questo fenomeno è dove c’è assenza di sovranità, di un non riconoscimento delle legittime istanze del sano divertimento dei giovani e lo sfruttamento selvaggio della somministrazione di alcool e droga. Tutti questi fattori attraggono quella sottocultura dove i rapporti tra le persone sono simboleggiati da manifestazioni di prepotenza, arroganza e di esibizione di forza e potere. C’è una regressione dei giovani che rientrano nella sottocultura del branco e del gruppo gregario del maschilismo».

Qual è la causa della regressione?

«La regressione è dovuta a più effetti che si combinano, non ci sono i mostri del 2022 i giovani sono sempre gli stessi.È cambiata la situazione: le stesse persone in un contesto si comportano in un modo accettabile, mentre in un altro, una parte di loro si comporta in modo disfunzionale. Dove c’è una concentrazione di persone, ci dovrebbe essere più sicurezza ed è paradossale che l’affollamento invece diventi la matrice del pericolo o della violenza perché in quei luoghi non c’è la gestione di una sovranità amministrativa, non c’è un’idea per i giovani da mettere in pratica, non esiste un’offerta commerciale di servizi da predisporre sul territorio. Sono 30 anni che manca una politica per la ricreazione giovanile. I ragazzi cosi rifugiano in un target indisturbato di consumi tossici e di comportamenti disfunzionali. In pratica quello che viene venduto non è solo una sostanza ma un apparato simbolico, ossia l’attrattività delle condotte maciste, violente e di sfida»

Molti dei protagonisti di questi episodi di cronaca spesso praticano degli sport da combattimento. Cosa ne pensa?

«Nei luoghi appropriati dove si praticano arti marziali sotto l’autorità dell’allenatore, la credibilità dell’adulto maestro pesa dando a queste arti marziali una valenza educativa, pedagogica. La questione però non rimane confinata nella situazione sportiva. Il punto è che il richiamo delle abilità acquisite in palestra in situazioni disfunzionali creano la miscela esplosiva, il pericolo, perché non c’è un fattore di contenimento che inibisce, che censuri tutto questo».

Secondo lei andrebbero incrementati in controlli?

«No, anzi il predisporre servizi di vigilanza e contenimento innalza il livello dello scontro e della sfida».

Quanto influiscono i social?

«I social sono un grosso amplificatore da questo punto di vista consentono ogni disintermediazione e di sfuggire perché stimolano le risposte immediate. Ad esempio se si incontra qualcuno e si vuole arrecargli un’offesa ci si potrebbe riuscire ma superando una serie di barriere come il contatto visivo, o lo sguardo dei passanti, pulsioni che eclissano invece sui social perché c’è l’assenza dello spettatore, di una figura che valuta e inibisce. Quindi hanno una responsabilità si basano sulla procedura stimolo- risposta-rinforzo. Sui social manca la presenza reale delle persone del gruppo sociale e dell’ambiente urbano»

In quale contesto sociale sono più frequenti queste situazioni?

«Bisogna fare un distinzione abbiamo i distretti del divertimento dove arrivano migliaia di giovani gestiti con il massimo sforzo per evitare incidenti, risse abuso di alcool e droghe dove c’è il business ma anche la responsabilità di gestire in modo responsabile, tipo la riviera Romagnola. Poi ci sono i luoghi in cui il distretto si forma spontaneamente dove la responsabilità non è attribuita, ma mal distribuita in modo irrazionale e irresponsabile e dove c’è rischio della movida violenta. Ad esempio se io entro in un posto e percepisco che c’è una gestione competente dove c’è lo spazio per interagire, è evidente che li non ci saranno episodi di violenza e l’espressione di sottocultura sarà contenuta, mentre nei luoghi senza alcuna programmazione o idea si. L’inciviltà prende forza in contesti dove c’è un’assenza di garanzie, di entità. Un luogo sporco, pieno di rifiuti degradato è un’attrattiva per le condotte disfunzionali, mentre un luogo con un canone di uso appropriato dove i giovani sono accolti e possono soddisfare il loro bisogno di socialità, l’aspetto della sottocultura è ridimensionato. Per me questa è la prevenzione non soltanto la videosorveglianza o il poliziotto che renderebbero più gustosa la sfida».

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Linda Di Benedetto