Roma: La grande schifezza
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Roma: La grande schifezza

Era la città eterna, ora è sporca, degradata, mal gestita: è come fosse scivolata dalla Dolce vita alla Grande bellezza, per poi affogare. Questa l'opinione (sconsolata) di Enrico Vanzina

"Vivere a Roma è un modo di perdere la vita" scriveva nel suo taccuino Ennio Flaiano. Lo scriveva con tono scettico, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, mentre insieme a Federico Fellini stava immaginando La dolce vita, un affresco memorabile della nostra capitale. Da allora sono passati più di 50 anni. E viene da chiedersi: chi vive oggi a Roma rischia ancora di perdere la vita?

La prima risposta a questa domanda la si può estrapolare dal senso di un altro grande film che ha rilanciato Roma nell’immaginario planetario, La grande bellezza di Paolo Sorrentino. Con meno finezza, meno umorismo, ma con una forza espressiva simile a quella de La dolce vita, Sorrentino ci mostra una città schiacciata dal suo passato: una città decadente, superficiale, quasi una città morta, che sopravvive solo attraverso gli sprazzi eterni dei suoi monumenti, dei suoi palazzi, dei suoi tramonti e della sua storia inaffondabile. Anche i personaggi del suo film perdono, o hanno già perso, la vita. Sono esangui, senza futuro, moralmente corrotti, incapaci di creare il nuovo. Vagano in una scenografia urbana che non è quasi più reale, ma iperreale. Una città che non ha niente di moderno. Una città di fantasmi.

Ma non è esattamente così. Certi film hanno un valore simbolico. Poi, però, c’è il quotidiano, il realismo. E in questo caso più che i film d’autore ci viene in soccorso la commedia italiana. Quella che fotografa il presente, che mette in scena personaggi e fatti rubati alla cronaca. Vedi i film di Carlo Verdone, o quelli di mio fratello Carlo Vanzina, o i ritratti meravigliosi di Nanni Moretti. Perché Roma "è" la città della commedia, quella di Sordi, di Fabrizi, di Nino Manfredi, di Gigi Proietti e di Christian De Sica.

È la capitale dei furbi, dei ministeriali, dei prelati, del potere, degli onorevoli, degli scandali, del magna-magna, dei cafoni arricchiti, delle gite al mare o fuori porta, di Totti, del Monnezza, dei Cesaroni, ma anche di Antonello Venditti e Francesco De Gregori, di Ammaniti, di Piperno, la Lazio di Lotito, i circoli sul Tevere, la banda della Magliana. Non è anemica Roma, nelle sue vene scorre un sangue verace che la tiene aggrappata al presente. È la Roma dei trans che ricevono i politici negli attichetti, è la Roma di "er Batman" consigliere regionale, è la Roma dei toga-party, delle baby squillo, degli scandali finanziari all’ombra di San Pietro, degli operatori dell’immondizia spesso in ferie, malattia o "in permesso". Quella che, come scriveva sempre Flaiano "non giudica, ma assolve".

Roma è una città complicata. Ti sfugge dalle mani, ti confonde. Impossibile ridurla a una equazione certa. E così, i suoi difetti finiscono per diventare i suoi pregi. Perché Roma è un gioco di specchi. È una capitale tutto sommato tranquilla, sonnecchia come una città di provincia, poi all’improvviso la scopri violenta, gente che spara e ammazza per strada. Con una serie impressionante di delitti e omicidi quasi sempre impuniti. Talvolta, di notte, nelle sue piazze scoppiano risse violente. L’allegra movida della notte si trasforma in bande di delinquenti che si spaccano bottiglie in testa. Roma invasa dai pellegrini. Roma eterna, ma fragile. Messa in ginocchio dalle piene del suo biondo fiume. Roma che salta per aria, come i suoi tombini, ogni volta che il cielo scarica un acquazzone. Roma sporcata e deturpata dai vandali. Roma senza più il Ponentino. Roma calda, come una calda città tropicale. Roma con le periferie brutte, bruttissime. Roma che aspetta Diego Della Valle per salvare il suo Colosseo. Roma che nelle sue trattorie romane ha oramai solo cuochi egiziani. Roma dei Parioli che votano a sinistra e delle periferie che fanno il tifo per Giorgia Meloni. Roma di Cinecittà che ospita solo trasmissioni televisive. Roma senza più le corse al trotto a Tor di Valle. Roma governata da un sindaco che i romani non amano e che davanti all’invasione dei rifiuti grida all’emergenza e ricorre a una task force.

A me, romano di Roma, non piace più vivere in questa città. È una città senza capo né coda, pasticciona, poco affidabile, sgangherata, che ti mette di cattivo umore. Eppure, questa città è meravigliosa. Ha dalla sua parte la Storia, la Bellezza, l’Arte, la Simpatia, il Clima, i Colori, il Cibo. Insieme a quella leggerezza congenita che molte altre città le invidiano.

Peccato, perché queste sue qualità sono state cancellate dalla sua superficialità e dalla sua dissennata incoscienza.
Non mi piacciono più le sue strade. Sono un caotico e informe parcheggio di automobili, motorini, macchinette per teenager sciocchini. Scatolame urbano allineato in doppia fila, talvolta addirittura tripla. A sbatterlo lì sono gli abitanti di questa città che sono scesi ’n’attimo a bere un caffè, a comprare un giornale, a ritirare un pacco o a consegnarlo. Nelle altre città non succede. E io adesso le preferisco. Poi, non mi piacciono i marciapiedi lerci, dove la gente butta di tutto, sigarette, scontrini, kleenex e pure lavatrici, frigoriferi e materassi nei cassonetti dell’umido. E dove i cani fanno i loro bisogni alla "cacchio de’ cane". Tutto ciò mi irrita e, arrivato alla mia età, mi disgusta. Qui non mi piace guidare. Qui c’è ancora chi ti fa le corna, come nei film di Alberto Sordi degli anni Sessanta.

Mi provoca rabbia, malinconia e un senso infinito di pena. Per noi, che abitiamo in questa fastidiosa città. Il centro sembra un bar a cielo aperto. I tavolini sono dappertutto. Con la loro ossessiva presenza hanno cancellato le simmetrie disegnate dai geni del barocco. Il centro oramai assomiglia a un mercatone cafone del vicino Medio Oriente. Musica sparata dagli altoparlanti, merce dozzinale. Hanno spazzato via i negozi della tradizione per sostituirli con quelli della globalizzazione. Non è stato un affare per questa città. Perché si è insinuato il brutto in una città che era bella. Il centro, poi, è
spesso devastato da cortei, manifestazioni. È tutta una processione di persone con il fischietto, con tamburi, bandiere. Qualche volta anche con le molotov. Protestano tutti in questa città. Prima qui si sorrideva. Adesso si urla e si minaccia.

Non mi piacciono più gli abitanti di questa città. Qui gli uomini ancora insidiano le straniere per strada. Che schifo di uomini. Le donne si vestono quasi tutte da Lady Gaga, dimenticando che fino a poco tempo fa qui c’era la casa madre di Valentino. E prima di lui, Capucci.

In questa città non mi piace quasi più nulla. D’estate fa troppo caldo. Prima non era così. Quando piove sembra che ti cada addosso il monsone. Una brutta novità. Qui hanno chiuso molti cinema. Le buche ci risucchiano. E non si fanno opere pubbliche. Oramai in questa città, lo dico con dolore, pensano tutti a magnà. Nel senso di rubà.

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