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Femminicidio, perché le donne "cadono" nella trappola della violenza

Spesso dietro un rapporto malato e violento si nasconde la paura di essere abbandonata o rifiutata

"È necessario prima di tutto analizzare la storia, lo stile di vita di queste donne, l’educazione ricevuta, così come i bisogni e le circostanze della loro vita attuale. Ma dietro di loro si nasconde spesso il timore di essere abbandonate o rifiutate, paura che come conseguenza porta a sviluppare una personalità dipendente”.

È Patrizia Santovecchi, Presidente dell’ONAP, Osservatorio Nazionale Abusi Psicologici, a cercare di spiegare perché alcune donne “cadono” più volte nel corso della loro vita, nelle mani di uomini violenti. E a volte, per mano di questi stessi uomini, perdono la vita.  

La storia di Maria Tino, di 49 anni, lavoratrice socialmente utile e sarta della provincia di Caserta, ne è sicuramente l’esempio.

Maria, una donna dal carattere mite e solare, era riuscita a sopravvivere a 25 coltellate inferte dal marito violento quando le aveva chiesto la separazione, per poi morire con tre colpi di pistola sparati dal suo nuovo compagno, quello che l’aveva fatta innamorare. Ma che aveva dentro di sé ancora quella violenza dalla quale Maria aveva cercato di sfuggire. Sì, perché Maria aveva trovato il coraggio di lasciare il marito per fuggire con lui, che all’apparenza sembrava dolce e affettuoso.


La sindrome della "crocerossina"

Ma che cosa “attira” queste donne tanto da farle passare da un soggetto violento ad un altro? “Aiutare l’altro è un acquietamento del timore, della paura, poiché le fa percepire come valorose e indispensabili, di conseguenza degne di essere apprezzate e amate - continua a spiegare a Panorama.it, Santovecchi - Capire se la loro paura del rifiuto proviene da personali vissuti abbandonici, può spiegare come mai si è costruita in loro la convinzione che l’amore abbia un prezzo e vada in qualche modo guadagnato”.

“Una situazione psicologica che innesca quella che comunemente viene chiamata la “Sindrome della Crocerossina”. Difatti, la crocerossina può esistere solo se vi è qualcuno da ‘curare’, essa quindi ‘sceglie’ solo quei compagni che, per diversi motivi, rivestono il ruolo di ‘bisognosi’- continua- per cui nel tentativo di aiutarle o meglio ‘salvarle’ dalla loro condizione infelice e quindi realizzare il proprio personale sogno di felicità è disposta a pagare qualsiasi prezzo. Condizione psicologica questa che la porta ad essere recidiva”.

Coppia violenta, società violenta

Nella nostra società si riscontra, con sempre maggiore frequenza, una aggressività diffusa nella coppia che è trasversale alle fasce di età: dagli adolescenti alle coppie mature. Ma da cosa può dipendere?

“La frantumazione o meglio la dissoluzione dei valori ha portato con sé un disorientamento culturale, all’interno del quale ogni persona sembra potersi costruire la propria identità, o meglio la propria personalissima idea di libertà- prosegue - la perdita di valori quali l’amicizia che porta con sé vera vicinanza nei momenti difficili, o nella prassi comune la scomparsa di un profondo senso di lealtà, fedeltà alla parola data, porta con sé un allontanamento emotivo dell’altro, adesso visto come potenziale ‘nemico’ in quanto possibile portatore di minaccia”.

Un allontanamento emotivo che si manifesta fin dall’adolescenza e nelle prime relazioni amorose.

Un crollo dei valori e dei tabù

“Valori e tabù sono costruzioni sociali necessarie, anzi indispensabili per tenere a freno l’istanza primaria del desiderio. Un desiderio non sorretto e/o contenuto da un valore o tabù lascia senza "briglia" l’istinto predatorio (potenzialmente) insito dentro ognuno di noi. I conseguenti comportamenti ‘predatori’, portatori per loro natura di atti di abuso e violenza generano a loro volta sfiducia e paura nell’altro con conseguente aumento di precarietà e bisogno di difendersi aumentandone l’ansia e l'aggressività”.

Insomma, un circolo vizioso di difficile soluzione.

Infine la presidente dell’Osservatorio Nazionale Abusi Psicologici conclude: “Troppo spesso quello che oggi chiamiamo “violenza” si realizza attraverso un’aggressività estremamente distruttiva messa in atto da individui con un’inadeguata empatia, ma nel contempo una spropositata opinione di sé. Individui capaci di agire comportamenti ben organizzati e funzionali per raggiungere il proprio obiettivo: mortificare, soggiogare, violentare, conquistare, ottenere beni materiali o personali”.

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Nadia Francalacci