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(Ansa)
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Non c'è solo il Covid. In carcere un detenuto su 7 ha almeno una malattia

Mentre si parla solo del Covid la situazione sanitaria dei carcerati è al limite del tollerabile, se non oltre

Non sappiamo neppure il nome, ma aveva 22 anni, il ragazzo che si è suicidato ieri nel carcere di Brindisi. Era stato arrestato il giorno prima per resistenza a pubblico ufficiale.

E’ il quarto suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno, gli altri detenuti si sono tolti la vita a Salerno, Vibo Valentia e Foggia. Nel 2021 furono 54. Altri 5 detenuti da inizio anno sono morti per malattia, uno dopo un’aggressione. In tutto questo scoppia l’allarme Covid. Dall’ultimo bollettino del 10 gennaio sono 1534 i detenuti attualmente col covid , e 1496 i positivi tra i circa 30 mila del personale.

Numeri che non si riescono a fermare, considerando che non potendo tenere le distanze, l’unica cosa prevista dal governo per fronteggiare questa quarta ondata negli istituti di pena italiani sono 6 mila mascherine ffp2. Per tutti. Una ogni 16 persone. Quanto ai vaccini si riesce a sapere solo che ai detenuti sono state somministrate in totale 97.017 dosi, ma considerato il turnover e la forte presenza straniera, le asl non riescono a calcolare e neppure a risalire a quanti dosi sono state fatte. La situazione dunque è destinata a peggiorare, anche perché non si riesce più a isolare positivi con negativi, e le cure sono quasi inesistenti.

Nella relazione annuale al Parlamento presentata nel 2021 si legge che il 53 per cento degli assistiti ha ricevuto prestazioni farmacologiche, con una media di 185 prestazioni per utente. Mentre il numero totale di prestazioni effettuate è di 12.350.946. La relazione però non contiene alcuna informazione sulla natura di tali prestazioni farmacologiche. Ma sappiamo che quasi la totalità di esse riguarda somministrazione di psicofarmaci, perlopiù metadone. L’unico modo per tenere a bada i detenuti.

In carcere tutto è sanitario: il sovraffollamento, le condizioni delle strutture, le violazioni di svariati diritti (la privacy, l’accesso all’aria aperta e alle attività sportive o al lavoro, l’affettività, ecc.) sono tutti aspetti che riguardano, in una qualche misura, la salute della persona detenuta. Tutti gli aspetti della quotidianità detentiva, in altre parole, impattano sulla salute e sul benessere/malessere personale. Che il carcere produca o acuisca la malattia e il malessere, è certa l’insalubrità dell’istituzione carceraria e della sua patogenicità in quanto tale.

Contro l’emergenza carceri la ministra della Giustizia Marta Cartabia, ha istituito una commissione - presieduta da Marco Ruotolo, professore ordinario di Diritto Costituzionale Università Roma tre - per «l’innovazione del sistema penitenziario», che ha elaborato una serie di proposte migliorative. Otto linee guida per la rimodulazione dei programmi di formazione del personale e 35 azioni amministrative da applicare perché producano miglioramenti della vita penitenziaria durante l'esecuzione penale.

Mentre giace ancora nel cassetto quella riforma organica del sistema penitenziario che dopo lunghi mesi di lavoro e di tavoli coordinati dai massimi esperti di tutto il mondo penitenziario, aveva elaborato l’allora guardasigilli Andrea Orlando, improvvisamente blocca dal pd alla vigilia delle elezioni.

Gli interventi sul carcere saranno «una delle priorità dei prossimi giorni», dice oggi il ministro della Giustizia Marta Cartabia, inaugurando il corso in Scienze giuridiche della Scuola di dottorato dell’Università Bicocca di Milano: «alcune iniziative legislative saranno impegno del ministero nelle prossime settimane».

Ad oggi lo Stato spende oltre 8 miliardi per l'amministrazione della giustizia e il 35% di queste risorse sono destinate al carcere.

Tra il 2017 e il 2021, il bilancio del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è cresciuto del 18,2% passando da 2,6 a 3,1 miliardi.

Prima dello scoppio della pandemia a inizio 2020, nelle strutture penitenziarie del nostro paese erano recluse più di 62mila persone, a fronte di poco più di 40mila posti. Oggi sono 54 mila, ma tornano a crescere. Molti sono i reclusi con pene sotto i tre anni, e circa il 40 per cento è in attesa di giudizio.

E mentre l’Italia è oggi il secondo Paese con le carceri più sovraffollate d’Europa (superato solo da Cipro), neppure durante il covid sono state adottate misure di valenza sistematica, ma limitate al contrasto emergenziale: sono stati sospesi i colloqui con i familiari e gli ingressi esterni di persone con cui i detenuti svolgevano attività lavorative, educative, formative e ricreative, tra cui i volontari e chi svolgeva i controlli. Questo nell’anno della mattanza nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, e dei 14 detenuti morti dopo le rivolte, secondo l’allora guardasigilli Bonafede morti per abuso di farmaci.

E mentre il Governo chiede, e in alcuni casi obbliga, gli italiani a vaccinarsi per tutelare la sanità pubblica, ignora totalmente la salute pubblica e individuale delle persone che sono totalmente sotto il suo esclusivo controllo. Dai dati dell’Amministrazione Penitenziaria dello scorso anno il 70% dei detenuti ha almeno una malattia: quasi il 45% è obeso o sovrappeso, oltre il 40% è affetto da almeno una patologia psichiatrica, il 14,5% da malattie dell'apparato gastrointestinale, l'11,5% da malattie infettive e parassitarie, circa il 53% dei nuovi detenuti è stato valutato a rischio suicidio. Sono pochi gli istituti sanitari, la maggior parte ha solo un’infermeria, e i ricoverati in carcere spesso vengono abbandonati, mentre è praticamente impossibile ricevere un qualunque tipo di esame ambulatoriale o visita specialistica. Privati della libertà e condannati a stare male.

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Annarita Digiorgio