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Il crollo delle nascite in Europa e in Italia, spiegato bene

Numeri, cause e modelli positivi per mettere fine a un fenomeno che ha riportato i paesi industrializzati alla fine degli anni Settanta

Chissà se il terzo royal baby di Kate Middleton e del principe William, previsto a primavera 2018, sortirà qualche effetto emulativo anche fra i comuni mortali. Certo è che la giovane coppia è un testimonial d’eccezione fra le tante, troppe culle che restano vuote nei paesi europei. Un trend che, in assenza di cambiamenti radicali, proseguirà ancora per decenni con molte incognite per il futuro di economie e società.

I numeri della natalità in calo

I dati parlano chiaro. Nei paesi più industrializzati, la natalità è in caduta dalla fine del Settanta.

Al punto che già nel 1976 - erano gli anni del diritto all’aborto - lo storico francese Pierre Chaunu parlò del declino demografico europeo come «la peste bianca». Oggi, stando alle ultime rilevazioni di Eurostat, nessuno dei 28 paesi Ue raggiunge il cosiddetto «livello di sostituzione» ovvero quel numero di figli necessario per rimpiazzare naturalmente la popolazione (un obiettivo possibile solo con un tasso di fertilità pari a 2,1 figli per donna).

Ma mentre alcuni sono molto prossimi a quella soglia - come Francia e Irlanda, rispettivamente a 1,96 e 1,92 - altri scivolano senza speranza agli ultimi posti: è il caso di Germania, Italia e Spagna (a 1,50, 1,34 e 1,33). Numeri, peraltro, che sarebbero perfino più bassi senza i figli nati dalle donne extra-Ue: in Italia, per esempio, la fecondità delle mamme straniere è a 1,95 quella delle italiane a 1,27.

La situazione in Italia

Nel suo complesso, l’Ue è passata da più di 7,2 milioni di nuovi bebè nel 1970 a 5 milioni e 114 mila neonati nel 2016. Nel frattempo, l’Italia ha quasi dimezzato le nascite: da 901.472 a 473.438 nel 2016, per il secondo anno consecutivo sotto il mezzo milione di bebè.

Va detto che il Vecchio continente presenta una situazione, per così dire, a macchia di leopardo. Nel 2015 il BBSR, l’istituto federale per lo sviluppo urbano in Germania, ha confrontato le nascite degli ultimi dieci anni raccogliendo per la prima volta i numeri direttamente dai comuni di 43 paesi europei. Un lavoro certosino, con risultati inattesi.

«La prima differenza è fra Est e Ovest» spiega a Panorama il responsabile dell’indagine Volker Schmidt-Seiwert. «Le nascite nell’Est europeo, a eccezione delle grandi città, sono ferme mentre in varie regioni occidentali salgono». È il caso, per esempio, di molte località di Francia, Regno Unito, Svezia e Benelux. Altra conclusione, le differenze demografiche interne ai paesi: in Francia, per esempio, si fanno più figli nelle zone costiere e rurali, la Spagna cresce nella fascia orientale, l’Italia più al Nord. Infine, sarebbe in corso una specie di «americanizzazione» dell’Europa: la popolazione cala nelle grandi città ma sale intorno ad aree metropolitane e suburbane che, grazie alla disponibilità di alloggi più convenienti, agevola le coppie a fare figli.

La "tempesta perfetta"

Tutto questo, però, non intacca il quadro d’insieme. Nei paesi più avanzati la variabile demografica resta una pesante bomba a orologeria, soprattutto per la sostenibilità del welfare. Vediamo perché.

Innanzitutto, meno nascite ci sono in un paese, più diminuisce la popolazione. In secondo luogo, aumenta l’età media della forza lavoro. E questo minaccia anche il sistema produttivo, visto che finiranno per mancare competenze. Infine, si appesantisce sulle spalle dei lavoratori attivi, e quindi dei giovani, il carico per sostenere quella parte (crescente) di popolazione che invecchia e vive più a lungo.

Le previsioni Onu, aggiornate a giugno, dicono che gli over 60 sono oggi un quarto della popolazione europea ma entro il 2050 saranno il 35 per cento. E se per ogni over 65 ci sono oggi 3,3 persone in età lavorativa, nel 2050 scenderanno sotto la soglia di due (con l’Italia destinata ad averne 1,8 già nel 2035).

Insomma, la bassa natalità sommata al costante allungamento dell’aspettativa di vita si sta trasformando in una sorta di «tempesta perfetta» che mina pensioni e sanità. Come spiega a Panorama Roberto Poli, cattedra Unesco in «Anticipatory Systems» all’università di Trento: «Siamo davanti a un problema nuovo che non c’è mai stato nella storia dell’umanità: alla lunga i sistemi di welfare non ce la potranno fare o, almeno, non quelli conosciuti finora».

Rimedi? «Nessuno li ha. È un grande problema strutturale e, con Giappone e Germania, l’Italia è nel gruppo dei tre pionieri» prosegue Poli. «In pratica, siamo obbligati a sperimentare soluzioni e senza pretesa che funzionino al primo colpo».

Su tutto incombe un altro rebus: come inciderà la rivoluzione 4.0 e la presunta riduzione dei posti di lavoro legata alla tecnologia? Nessuno, in realtà, sa dare una risposta. Non mancano altre obiezioni: un luogo meno abitato non si traduce, forse, in più risorse disponibili per chi c’è? Ma è chiaro che, senza ricambio generazionale, un paese è destinato a estinguersi.

Le cause

Sulla crisi delle nascite incidono vari fattori. Prima delle scelte personali, ci sono i più concreti ostacoli della vita quotidiana: precarietà del lavoro, reddito basso, mancanza di strutture per l’infanzia, scarsi congedi parentali, assenza di flessibilità negli orari di lavoro.

A questi si aggiungono i motivi individuali come il desiderio di fare carriera prima di essere genitore, la mancanza del partner “giusto”, le relazioni affettive instabili, gli stili di vita mutati. «Non c’è un’unica spiegazione per questo trend in Europa» conferma a Panorama la tedesca Michaela Kreyenfeld, sociologa alla Hertie School of Governance e autrice di un libro sul tema, «Childlessness in Europe», appena pubblicato da Springer. «Un aspetto nuovo emerge guardando l’istruzione: se un tempo restavano soli gli uomini senza studi, viceversa ora sono le donne poco istruite a restare sole e senza figli. I più, però, lamentano l’impossibilità di combinare lavoro e famiglia ma le riforme da sole non bastano: deve cambiare la cultura aziendale».

Anche l’avanzata dei single ha il suo peso. Se in molti paesi più della metà dei figli nascono fuori dal matrimonio, per una donna sola la maternità è ancora piuttosto difficile da portare avanti.

Tanto più dove c’è un forte collegamento fra prole e unione ufficiale come in Giappone, Polonia e, in buona misura, anche in Italia. «Una donna sola con figli ha vita molto complicata ovunque in Europa, anche se divorziata» sottolinea Rossella Bozzon, ricercatrice del dipartimento di Sociologia all’ateneo di Trento. «Per giunta la nostra cultura ci pone davanti un contesto legittimato secondo una serie di standard». Laurea, lavoro, acquisto casa, unione e, solo da ultimo, un figlio. «In ogni caso, il primo problema è proprio l’accessibilità e la flessibilità delle strutture per l’infanzia che tuttora penalizza di più le donne, schiacciate come “sandwich” dal carico degli impegni».

Tre modelli di ripresa

Fra alti e bassi, i governi prendono le misure. «Le politiche di sostegno alla natalità si possono distinguere in tre modelli» sintetizza Francesco Billari, docente di Demografia internazionale alla Bocconi dopo anni trascorsi all’estero, fra il Max Planck Institute e l’università di Oxford. «Nel primo, si prevede un trasferimento di soldi al figlio senza distinzioni di reddito; il secondo si prende cura dei figli attraverso gli asili nido e l’uso di congedi parentali mentre il terzo si concentra sulla tassazione agevolata alla famiglia».

Se l’area più avanzata, a giudizio unanime di demografi e sociologi, è proprio quella scandinava per l’equilibrato mix di misure e benefit che coprono perfino le rette universitarie gratuite, altre iniziative stanno producendo risultati. In Francia grazie al quoziente familiare, portato avanti in modo bipartisan dai governi, e alle dinamiche demografiche più vivaci degli immigrati.

Lo stesso avviene in Regno Unito dove One born every minute, il reality show sulle partorienti, è giunto alla sua ottava edizione. Londra beneficia anche delle aperture delle sue leggi: alle coppie omosessuali, alla procreazione assistita, al "social egg freezing", il congelamento degli ovociti. In Germania, il lieve freno al crollo delle nascite è legato alla riforma degli asili nido che garantisce un posto a tutti i bebè anticipando anche l’età di accesso. In Danimarca è stato perfino prodotto un video, «Do it for Denmark», che spiega il problema demografico e offre sconti sulle vacanze alle coppie in periodo fertile.

Il filmato, diventato virale sul web, sembra aver avuto effetto. Così «Do it for Mom», il secondo video, si rivolge alle suocere: regalate una vacanza ai vostri figli e diventate nonne.

Non manca qualche boomerang. In Polonia, per esempio, il governo ultraconservatore di Diritto e Giustizia ha varato «Rodzina 500 Plus» che concede per ogni figlio un benefit di 500 złoty a mese (circa 120 euro) equivalente a parità di potere d’acquisto a metà della spesa media mensile di una famiglia: una scelta che sta riportando a casa molte donne, sprecando così risorse anche qualificate.

La crisi economica aggrava il trend: la "baby recession" dell'Ue. Ma i paesi più poveri continuano a crescere.

Lavoro e reddito, comunque, restano cruciali. Anche se non c’è prova diretta, Eurostat ha calcolato che il tasso di fertilità nell’Ue è sceso ai livelli più bassi durante la crisi economica (2008-2011), tanto da parlare di «baby recession».

Certo, si può controbattere che i cittadini extra-Ue fanno più figli nonostante condizioni meno agiate. Ma qui oltre al fattore culturale, prevale il progetto di vita: «Gli immigrati arrivano con una speranza, certi che i figli avranno una vita migliore della loro» commenta ancora il professor Poli. «Da noi, avviene il contrario: i giovani sentono che staranno peggio dei padri».

Il paradosso è che il sud del mondo, pur rallentando, continua a fare più figli del ricco nord. L’Onu stima che, a fertilità costante, la popolazione mondiale supererà i 9 miliardi di abitanti nel 2035 e sfiorerà gli 11 nel 2050. Ma il quadro dei paesi più avanzati cambierà poco. Anzi, questa parte del pianeta sarebbe destinata a scendere senza l’apporto dell’immigrazione. Mentre i paesi più poveri cresceranno e metà di questo aumento riguarderà proprio l’Africa, che passerà da poco più di 1 miliardo a 3 e mezzo nel 2050. Un’asimmetria che, al di là dei flussi migratori, può portare altre grosse criticità. E allora?

Secondo Enrico Di Pasquale Andrea Stuppini e Chiara Tronchin, autori di un articolo pubblicato sul sito Lavoce.info, nel dibattito europeo sulle migrazioni, il tema del controllo delle nascite non viene quasi mai citato mentre un’efficace politica di sviluppo e contro la povertà dovrebbe tenerne conto. Silenziosa, la variabile demografica resta al centro di molte sfide future.

*Questo articolo è stato pubblicato come storia di copertina con il titolo "Culle vuote" sul numero 1/2018 di Panorama in edicola il 21 dicembre 2017.

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Anna Maria Angelone