Corruzione, mi mancava solo questa
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Corruzione, mi mancava solo questa

Caso Tarantini: che cosa può succedere quando un giornalista sceglie di pubblicare una notizia

Corruzione mi mancava. Adesso, come fosse la figurina di un album da riempire, ho pure quella accanto ai vari reati che mi sono stati contestati. Meglio prenderla così, credetemi. Viceversa il rischio è quello di avvelenarsi la vita. Nella professione di giornalista (e nell’incarico di direttore) il rischio di finire nei guai, soprattutto se si rivelano notizie coperte da segreto istruttorio, è normale: sono i cosiddetti rischi del mestiere. I cronisti spesso vivono nell’illegalità: una fonte soffia una notizia e se la fonte è attendibile e la notizia è verificata si pubblica. Punto e basta. A maggior ragione la notizia deve essere pubblicata se, ove invece fosse tenuta coperta, potrebbe generare pericolosissimi fraintendimenti.

Insomma, succede che nell’agosto di 2 anni fa (non 2 mesi, ma 2 anni fa) Panorama rivelò che la Procura di Napoli aveva concluso un’indagine in cui veniva ipotizzata un’estorsione ai danni dell’allora premier Silvio Berlusconi da parte di Valter Lavitola e Gianpiero Tarantini. Tanto la notizia era vera, che alcuni giorni dopo venne emessa un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Lavitola e di Tarantini, ordinanza nella quale il Cavaliere figurava come parte lesa. Giornalisticamente questo si chiama uno scoop e medaglia al merito al cronista (Giacomo Amadori) che lo scrisse. Il corollario conseguente fu l’apertura a Napoli di un’inchiesta a carico di Panorama. Ora consentitemi una considerazione: immaginate tutti i manettari in circolazione che cosa avrebbero potuto scrivere o dire se invece fosse venuto fuori che, pur avendola tra le mani, noi non avevamo pubblicato la notizia. Per molto meno alla Repubblica si sono esercitati in velenosissimi quanto indegni articoli sulla «struttura Delta» che vedrebbe un gruppo di giornalisti asserviti al Cavaliere pronti a qualsiasi ignominia in suo favore. Ma siccome, al contrario di tante anime belle, siamo giornalisti liberi che pensano con la loro testa, lo scoop andò in bella evidenza in copertina.

Torniamo all’inchiesta della Procura di Napoli. Già nell’estate del 2011 venni a lungo interrogato, in veste di testimone, per spiegare tutto ciò che sapevo sullo scoop. Travolto da altri guai giudiziari (oltre a numerosi procedimenti sapete che grava su di me una condanna a 8 mesi di carcere senza condizionale, questo numero di Panorama se ne occupa a pagina 12) mi ero pressoché dimenticato della vicenda. E invece oggi, 2 luglio del 2013, mi è stato notificato un invito a comparire dalla Procura di Napoli in cui si ipotizza nei miei confronti il reato di corruzione in concorso con l’autore dello scoop (la pena prevista va da 2 a 5 anni di reclusione) in quanto avrei promesso prima e consegnato dopo «somme di denaro e/o altre utilità di carattere economico in corso di precisa determinazione» a due persone che non conosco e non ho mai visto o sentito in vita mia. Due perfetti sconosciuti, in pratica.

Ma non basta avere la coscienza tranquilla, purtroppo. Prima che la procura chiuda l’inchiesta (e magari chieda l’archiviazione invece del rinvio a giudizio, possibilità che appartiene alla categoria dei miracoli) c’è l’amarissima constatazione dell’ennesimo attacco alla libertà personale e di stampa. Succede, guarda caso, a pochi giorni dalla decisione del Tribunale di Milano di impacchettare 32 testimoni a favore di Berlusconi, bollandoli come falsi. Guardate bene, c’è una ghigliottina neanche troppo in lontananza. Prevede di entrare in azione per fare piazza pulita di chiunque sia ritenuto vicino al Cavaliere o d’intralcio alla sua eliminazione per via giudiziaria. Aprite gli occhi, prima che sia troppo tardi. 

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Giorgio Mulè