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Corea del Sud: un paese spaccato che sogna la pace

I giovani disprezzano il regime di Kim Jong-un, ma le generazioni più anziane continuano a percepire un legame di sangue con i fratelli del Nord

Da Seoul, Corea del Sud -  Le novità di oggi raccontano di un noto storico cinese che, grazie a una ricerca incrociata tra gli archivi dell'ex Unione Sovietica e le biblioteche periferiche delle regioni nordorientali della Cina (quelle che, forse, il Partito pensa di potersi permettere di controllare di meno vista la naturale tendenza degli studiosi a concentrarsi nella capitale), ha scoperto che i rapporti tra Cina e Corea del Nord non sono mai stati così idilliaci come la propaganda (cinese) ha sempre voluto farci credere.

Anzi, Shen Zhihua è così convinto di questo contrasto di fondo che appena un paio di mesi fa, a Dalian, sempre nel nordest della Cina, ha avuto il coraggio di sostenere in un seminario che la Cina farebbe meglio ad allearsi con la Corea del Sudse il suo vero obiettivo è mantenere la stabilità nella regione. Ancora, secondo fonti in contatto con Bloomberg, Kim Jong-un si troverebbe in questo momento niente meno che in Cina per una "visita a sorpresa", la prima in assoluto da quando ha sostituito il padre alla guida della Corea del Nord, oltre che il primo viaggio all'estero nella sua carriera da dittatore.

I coreani non si fidano di nessuno

Cosa sta succedendo nella Penisola coreana? Impossibile rispondere visto che stiamo parlando di una crisi in cui i colpi di scena sono all'ordine del giorno. Se la visita di Kim Jong-un in Cina fosse confermata, l'interpretazione su una Repubblica popolare rimasta ai margini del negoziato triangolare tra Stati Uniti, Corea del Sud e del Nord su richiesta esplicita di Pyongyang non avrebbe più senso.

"Voi guardate alla Penisola coreana dall'estero", racconta Cecilia, una ragazza di 30 anni che lavora a Seul per un'agenzia governativa che si occupa di public diplomacy, "e non vi rendete conto che noi siamo ancora fermi all'armistizio del 1953. Sogniamo la pace, ma sappiamo che viviamo in uno stato di guerra, e ogni piccola provocazione ci fa paura, perché sentiamo che la nostra libertà e le nostre vite sono a rischio".

Una società divisa

"Per capire come i sudcoreani si rapportano alla crisi sudcoreana, è necessario rendersi conto dell'enorme spaccatura generazionale che ha creato di fatto tre gruppi molto distinti", spiega un analista di MIN Consulting, società di consulenza basata a Seul. "I giovanissimi, ovvero i ragazzi che non superano i 25 anni di età, non vogliono sentire parlare di Corea del Nord, test missilistici e unificazione. Tendono a considerare i nordcoreani come nemici più che come fratelli". Sono convinti di non avere nulla in comune con loro. Anzi, si sentono direttamente danneggiati perché, dal loro punto di vista, se il governo potesse perdere meno tempo e risorse a gestire gli alti e bassi del Kim di turno loro vivrebbero molto più serenamente e probabilmente avrebbero anche meno difficoltà a trovare un lavoro e ad accumulare le risorse finanziarie necessarie per costruire una famiglia.

Tra legami culturali e legami di sangue

Tutti diventa più complicato dialogando con gli over 50. "Ci sentiamo in guerra, e siamo consapevoli che il conflitto potrebbe scoppiare da un momento all'altro. Eppure, ci rendiamo conto che i nordcoreani sono per la maggior parte vittime innocentidi una famiglia di dittatori imprevedibili", racconta una ragazza avvicinata mentre manifesta lungo le strade di Seul per commemorare l'affondamento della corvetta sudcoreana Cheonan il 26 marzo 2017. Nell'attacco, di matrice nordcoreana, persero la vita 46 persone.

"La nostra curiosità sul regime del Nord è molto forte", racconta un'altra ragazza avvicinata nella Zone Demilitarizzata al confine tra i due paesi. "Quando andavamo a scuola, era vietato parlare di Corea del Nord. Sui libri di testo informazioni su questo paese così vicino ma allo stesso tempo così lontano semplicemente non c'erano. Ricordo una mia compagna di università che, un po' per gioco e un po' per curiosità, negli anni '90 attraversò il confine per capire cosa ci fosse davvero dall'altra parte. Venne subito arrestata, e quando finalmente riuscì a tornare in Corea venne isolata da tutti. La consideravamo una spia, quindi una persona pericolosa. E' stata costretta a emigrare negli Stati Uniti per sentirsi al sicuro e riacquistare un minimo di dignità sociale".

"I nostri genitori non ci parlavano mai di Corea del Nord", aggiunge un'altra manifestante. "Dicevano di non avere nulla da dire, ma in realtà volevano proteggerci. La mia generazione non è pro o contro l'unificazione. Noi vogliamo la pace, la stabilità. Abbiamo vissuto col fiato sul collo tutta la nostra vita. Vogliamo liberarci di questo pesantissimo fardello".

Una generazione che guarda solo al passato

E' quando si parla a sessantenni, settantenni e ottantenni che emerge il vero legame tra questi due popoli divisi da una linea di confine in cui non si riconoscono. "Parliamo la stessa lingua, abbiamo lo stesso background culturale, abbiamo combattuto insieme per creare la Corea ribellandoci agli invasori cinesi e giapponesi. Siamo un paese, siamo fratelli", racconta un ex-funzionario (in pensione) del Ministero dell'Unificazione, che si ritrova con le lacrime agli occhi nel ripercorrere le storie dei tanti rifugiatiche sono scappati dal terrore ma che hanno lasciato al Nord il loro cuore, e le loro famiglie.

"Nessuno può rendersi conto di cosa voglia dire scappare per garantirsi la sopravvivenza abbandonando la famiglia. E' un rimorso che ci si porta dietro per tutta la vita", concorda un ex docente universitario la cui madre è fuggita moltissimi anni da. "Il nostro presidente [l'esule fa riferimento a Moon Jae-in, il Presidente sudcoreano, confermando di sentirsi ormai un sudcoreano a tutti gli effetti, ndr.], è un uomo come me. Il suo legame emotivo con il Nord è fortissimo, e forse è proprio grazie a questo che è riuscito a rompere il muro del silenzio costruito in 12 mesi di provocazioni".

"Noi vorremmo la pace, l'unificazione, la stabilità. Possiamo aiutare i nordcoreani, possiamo insegnare loro a vivere senza paura, senza angoscia, possiamo ridare loro speranza", conclude un ex-collega leggermente più giovane. "Abbiamo di nuovo messo in gioco noi stessi nei negoziati delle prossime cinque settimane. Siamo disillusi, scettici, un po' intimoriti, ma in fondo ci crediamo. Crediamo che in un contesto di pace l'affinità tra le due sponde della Corea possa di nuovo prevalere. Speriamo solo di non essere di nuovo presi in giro. Ma se così fosse, la colpa è dei Kim, non dei nordcoreani".

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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