Cocaina, arrivano i narcos fai-da-te. E il business corre sul web
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Cocaina, arrivano i narcos fai-da-te. E il business corre sul web

Milanesi e insospettabili si improvvisano trafficanti sulle rotte della droga. Comunicando via "WhatsApp"  - 1^ parte

L’astinenza corre via Facebook, o attraverso il programma di conversazione WhatsApp. Poche parole che racchiudono un messaggio ben preciso, apparentemente al di sopra di ogni sospetto. E poi una corsa in motorino, o in macchina, dall’altra parte della città, con il prezioso pacchetto. Per una consegna a domicilio, come se si trattasse di pizza o di sushi giapponese.

Onnipresente, ricercatissima, puntualmente adeguata ai tempi che cambiano e alle nuove tecnologie. Democraticamente trasversale a ogni classe sociale. Dai professionisti agli operai, “la regina bianca” si offre a tutti.

E’ sempre lei, la cocaina, l’indiscussa protagonista dei più recenti ed eclatanti fatti di cronaca. Dall’efferato omicidio di via Muratori a Milano - dove una coppia è stata massacrata a colpi di pistola e una bimba di due anni si è salvata per miracolo - ai narcotrafficanti sudamericani catturati a Linate poche settimane fa passando per il dipendente delle poste del Senato sorpreso a spacciare polvere bianca sottobanco.

Un allarme sociale che ha i suoi freddi  numeri– come gli ultimi dati resi noti dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’ che, attraverso un’analisi delle acque reflue della città, consacra Milano come la metropoli del Nord Europa con il più ingente uso quotidiano di cocaina – e le sue storie.

Storie di chi, questo “oro bianco” - come l’ha ribattezzato qualcuno - lo traffica lungo le rotte della droga trattando con i cartelli sudamericani e facendolo arrivare dalla lontana Colombia, di chi lo vende per le strade e nei locali o ancora meglio a domicilio, come da ultima tendenza, di chi lo consuma nel bagno di un ristorante o nella quiete del suo salotto. E ovviamente le storie di chi, invece, lo combatte. Infiltrandosi fra gli spacciatori, arrivando a pensare come loro, sacrificando le proprie notti inseguendoli lungo i marciapiedi, nei campi, o nel buio di una discoteca.

Un business così redditizio, quello del traffico e dello spaccio di droga che, proprio come ogni attività imprenditoriale, è soggetto a cambiamenti, a evoluzioni, a una metamorfosi di protagonisti.

Dove il narcos Carlos Montana, che da anonimo delinquente attraverso una fisiologica scalata del crimine arrivava a conquistarsi lo status di “signore della droga”, lascia oggi il posto al trafficante improvvisato. Giovane, rampante, di buona famiglia, magari con un lavoro da imprenditore, che di punto in bianco decide di fare in grande salto: investendo i proprio soldi messi da parte nel narcotraffico. E organizza l’arrivo di partite di droga dal Sud America che poi vengono smerciate in Italia per un guadagno quadruplicato.

Accade in Lombardia, soprattutto a Milano. Dove – a differenza delle altre parti d’Italia in cui il business è monopolio delle organizzazioni criminali strutturate – il mercato è sostanzialmente libero. E terra di conquista per i pionieri. Ma se improvvisarsi narcotrafficanti è più facile e più diffuso di quanto si pensi, lo stesso non si può dire per quanto riguarda la gestione del business a lungo termine. Le statistiche della polizia parlano chiaro: l’80 per cento di chi si mette decide di commerciare con la cocaina finisce in manette. Mentre ad altri è riservato un destino ben più tragico: assassinati a sangue freddo per aver “pestato i piedi” o intralciato il lavoro dei signori della droga .

Di storie come queste, i fascicoli di indagine della Squadra Mobile di Milano, sono pieni.  Spiega il dirigente della sezione Narcotici, Andrea Olivadese: “Trovare contatti, per questi trafficanti “improvvisati”, non è complicato. Basta fare un viaggio ad esempio in Colombia, e stringere qualche amicizia nel mondo criminale, che non è assolutamente inavvicinabile come si potrebbe pensare. Oppure, rimanendo in Italia, basta farsi presentare qualcuno del giro con contatti, appunto, in Sud America”. A questo punto, concordato il prezzo, si organizza il trasporto della merce. In barca a vela, per i grossi quantitativi. Attraverso una traversata per le acque dell'Atlantico fino in Spagna, e poi ancora Italia. In aereo, per i piccoli carichi. Spiega ancora Olivadese: "La droga che viene nascosta nei posti più impensabili: spalmata sugli abiti, dietro le cornici dei quadri, occultata nei giocattoli dei bambini o persino all’interno delle immagini sacre. Oppure, il metodo più tradizionale ma anche rischioso: ingoiata in piccolissimi ovuli da pochi grammi dai corrieri della droga. Che in alcuni casi arrivano a trasportare nel proprio stomaco fino a un’ottantina di “palline”. Ovvero un chilo di polvere bianca. Un rischio ben ricompensato dai guadagni.

La produzione delle foglie della coca avviene infatti principalmente in Bolivia, Colombia e Perù. Nel 2011, solo in questi tre Stati - secondo i dati Onu - 166.185 ettari di terreno erano coltivati con l’arbusto della famiglia delle Erythroxylaceae. Dal lavoro dei contadini sudamericani - che guadagnerebbero 20-30 euro a settimana per raspare le foglie di coca -  le piante vengono poi trasformate in polvere bianca tramite un procedimento chimico che separa i cristalli, varcando le porte del vecchio continente attraverso i narcotrafficanti

Se, infatti, un chilo di cocaina purissima acquistata direttamente nel Paese di provenienza costa mediamente diecimila euro, importata in Italia e “tagliata” cioè mescolata  con altre sostanze (soprattutto aspirina e bicarbonato, per uno stato di purezza che può scendere fino al 40 per cento) rende il quadruplo, circa 45mila euro al chilo. In questo mercato la figura fondamentale è quella del “broker”, che acquista la “neve” a un prezzo e la vende a un altro. Naturalmente più alto.

A prodotto finito, la “pallina” di coca viene ceduta agli spacciatori, che la vendono per le strade al prezzo di circa 50 euro al grammo. Per scendere sensibilmente quando si tratta di droga “svenduta”, ovvero dal principio attivo bassissimo, che arriva a costare fino a 35-40 euro al grammo.

Un commercio che, appunto, per adeguarsi alle mutevoli leggi di mercato – e per eludere i controlli da parte delle forze dell’ordine - deve costantemente rinnovarsi.

E se prima il contatto tra acquirente e venditore avveniva quasi sempre via telefono cellulare, attraverso chiamate o sms, oggi per comunicare usano soprattutto i social network, Facebook in testa, per evitare di essere intercettati, o i programmi di conversazione via internet come WhatsApp.

Intercettare un cellulare che è agganciato a internet, attraverso un wi-fi, per esempio in un locale pubblico, è molto più difficile per noi, visto che dobbiamo chiedere autorizzazioni che non arrivano immediatamente – spiega ancora il dirigente della sezione Narcotici milanese – per questo è la strada preferita da molti spacciatori o trafficanti per prendere accordi veloci”.

Mentre, allo spaccio in strada o nei locali, i pusher preferiscono sempre di più quello “a domicilio”. Dove spesso cambia anche la qualità della droga, sempre più pura. E si assiste a una fidelizzazione del cliente, che a volte – a sua volta – compra quantitativi sempre più abbondanti per poi rivenderli a una ristretta cerchia di amici e conoscenti. Un “micro business” di nicchia faticoso da individuare, seguire e contrastare.

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Arianna Giunti