Fitoplancton
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Sarà l'oceano «fertilizzato» a salvarci dall'anidride carbonica

Uno studio ha portato ad una scoperta che potrebbe aiutare a proteggere la Terra

C’è un nuovo arruolato nello sforzo di rimuovere l’eccesso di anidride carbonica dall’atmosfera. È il fitoplancton, quella parte di organismi presenti nel plancton degli oceani capace di fotosintetizzare. L’Energy’s Pacific Northwest National Laboratory del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti progetta di seminare gli oceani con particelle di fertilizzante arricchite di ferro attraverso un processodi bioingegneria.
L’obiettivo finale è, di fatto, fertilizzare il fitoplancton così da incoraggiarne la crescita e aumentare l’assorbimento dell’anidride carbonica. Nel loro articolo di ricerca apparso su Nature Nanotechnology i ricercatori americani spiegano che così come abbiamo fertilizzato la terra per secoli così dobbiamo imparare a fertilizzare il mare in maniera “responsabile”.
Il richiamo alla responsabilità non è lì per caso dato che la fertilizzazione degli oceani è un altroesperimento su scala planetaria come altri in progetto, per esempio quello di disperdere nellastratosfera particelle di composti chimici in grado di schermare parte della radiazione solare eraffreddare così il pianeta. Questo tipo di esperimenti sono i primi nella storia umana a essere potenzialmente in grado di produrre effetti su scala planetaria.
In natura sono i fiumi che, trasportando detriti, riversano in mare i nutrienti del plankton. L’idea dei ricercatori è stata quindi quella di riprodurre questo processo artificialmente in maniera da poter fare del fitoplancton un serbatoio di energia. Il loro “concime nanotecnologizzato” si presta a essere calibrato per specifiche zone degli oceani. Per esempio, una regione potrebbe ricevere maggioribenefici da un maggiore contenuto di fetto e un’altra di silicio. D’altronde, l’analisi di un centinaio distudi scientifici mostra che ci sono numerosi possibili concimi a base di legami di ossigeno con un metallo che sarebbero efficaci per fertilizzare il fitoplancton con costi variabili.
Questo tipo di strategie suggeriscono come ormai vi sia la percezione che ridurre le emissioni di anidride carbonica ormai non basta più. Bisogna catturarne il più possibile, e anche in fretta, e il maresta diventando un alleato prezioso. Un alto progetto simile si chiama “Seafield”, ed è né più e némeno che un’enorme coltivazione marina di alghe cosiddette “Sargassum” in pieno Oceano Atlanticotra Africa e Sudamerica. Grande circa quanto due volte la Lombardia, verrà completato entro il 2026permettendo la cattura di circa un miliardo di tonnellate di anidride carbonica.
Una quantità che rappresenta una percentuale significativa dei circa 50 miliardi di tonnellate che gli esseri umani immettono nell’atmosfera ogni anno attraverso le emissioni di industrie, trasporti e consumi. Come gli alberi, anche le alghe crescono effettuando la fotosintesi: sfruttando l’energiasolare, assorbono CO2 e la immagazzinano sotto forma di carboidrati.
Le alghe Sargassum, in particolare, hanno un enorme velocità di crescita: raddoppiano la lorobiomassa entro 10 giorni. La realizzazione del progetto si deve all’uomo d’affari inglese John Auckland, ma è stato il biologo marino Victor Smetacek a comprendere che queste alghe fluttuanti potevano essere costrette a permanere in un’area ben precisa grazie all’esistenza di vortici oceanici capaci di impedire la dispersione.
La ragion d’essere di questo investimento sta soprattutto nel fatto che Seafield potrà vendere crediti per la CO2 catturata a tutte le aziende che non possono tagliare facilmente le emissioni, per esempio le compagnie aree. È probabile che questo progetto, se produrrà i risultati sperati, darà un impulso alla coltivazione di alghe in molte aree del mondo, inclusa l’Italia. Dalle alghe si possono ottenere molte altre cose: farine, olio, mangimi, cosmetici, plastiche come pure proteine, antiossidanti e vitamine.

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Luca Sciortino