Chi salverà l'Iraq dall'Isis?
La seconda fase della campagna di Mosul è iniziata lo scorso 29 dicembre. La guerra contro il Califfato è destinata a durare ancora molto a lungo
Con due attentati e decine di morti a cavallo tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, lo Stato Islamico ha confermato la propria capacità di colpire in Iraq come e quando vuole. Epicentro delle ultime offensive è stata la capitale Baghdad. Il 31 dicembre due esplosioni nei quartieri di Al Sinak e New Baghdad hanno provocato almeno 29 morti e altri 50 feriti. Il 2 gennaio un attentatore kamikaze ha fatto schiantare un’autobomba contro un mercato nel centro di Sadr City, quartiere a maggioranza sciita situato nella parte nord-orientale della città. Trentanove i morti e oltre 60 i feriti. Nelle stesse ore, sempre a Sadr City, altre esplosioni si sono verificate nelle vicinanze degli ospedali Al Kindi e Al Jawader provocando circa altri trenta morti.
La scelta dello Stato Islamico di concentrare le offensive su Baghdad negli ultimi giorni non è stata causale. ISIS ha colpito appositamente il 2 gennaio per lanciare un nuovo messaggio di sfida all’Occidente e alla Francia nel giorno in cui era in visita nel Paese il presidente francese Francois Hollande. Negli incontri con i soldati transalpini di stanza tra la capitale ed Erbil, nel Kurdistan iracheno – in totale circa 500 militari oltre a 30 aerei Rafale impiegati nell’ambito della coalizione internazionale a guida USA – Hollande ha rimarcato l’importanza dell’impegno militare francese sul terreno perché è solo “combattendo l’ISIS qui in Iraq che si possono previene atti di terrorismo sul nostro territorio”.
Il suo monito è stato però sovrastato da una serie di esplosioni a catena che certificano quanto ISIS sia ancora forte in Iraq. Il Califfo Abu Bakr Al Baghdadi è “vivo e guida ancora” l’organizzazione jihadista, come confermato pochi giorni fa dallo stesso portavoce del Pentagono Peter Cook. Se i presupposti sono questi, per l’Iraq si prevede un 2017 se possibile ancora più nefasto di quanto è stato il 2016.
La battaglia di Mosul
Mentre a Baghdad la morsa attorno al governo centrale, alle forze di sicurezza e ai quartieri sciiti è sempre più stretta, a Mosul, capitale irachena del Califfato, prosegue a rilento la campagna militare avviata lo scorso 17 ottobre per liberare la città.
L’operazione vede schierati sul terreno truppe e corpi speciali iracheni, peshmerga curdi, milizie sciite al-Hashd al-Shaabi sostenute dall’Iran e milizie sunnite, coperti dall’alto dai caccia della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Quella che è stata annunciata come la più grande offensiva di terra compiuta in Iraq dai tempi dell’invasione americana nel 2003 che portò alla caduta di Saddam Hussein, sta però procedendo molto più lentamente rispetto al previsto. Ad oggi, infatti, il fronte anti-ISIS ha ripreso solo un quarto della città controllando circa il 60% della sua parte est, come dichiarato dal generale Abdulwahab al-Saadi, a capo delle forze speciali del Counter-Terrorism Service iracheno. E nel periodo compreso tra il 17 novembre e il 17 dicembre 2016, solo nel settore di Ninive i caduti tra le forze irachene e peshmerga sono stati 2.300.
Nelle prime due settimane della campagna militare, le forze irachene erano riuscite ad avanzare rapidamente sul versante est e sud-est della città, liberando una serie di centri urbani e di villaggi rurali alle porte di Mosul. Dopo l’accesso nella parte est, dal primo novembre le operazioni hanno subito un sensibile rallentamento. Gradualmente i miliziani del Califfato hanno trascinato il conflitto sul terreno a loro più favorevole, vale a dire quello della guerriglia urbana, uccidendo centinaia di soldati con i propri cecchini, con imboscate, attentati kamikaze e trappole esplosive. Le cattive condizioni metereologiche hanno reso più agevole la loro controffensiva, impedendo a caccia e droni della coalizione internazionale di fornire un’adeguata copertura aerea alle forze alleate impegnate sul terreno.
Le ultime immagini satellitari pubblicate da Stratfor mostrano che nell’offensiva aerea i caccia della coalizione internazionale hanno puntato finora a distruggere non solo basi di ISIS (come la sede dell’amministrazione del governatorato di Ninive dove il Califfato aveva stabilito uno dei suoi centri di comando) ma anche i ponti che collegano la parte est e la parte ovest della città, tagliata in due dal fiume Tigri.
Nell’area centrale di Mosul, quattro dei cinque ponti principali (Al Shohada Bridge, Fifth Bridge, Al Jamhuriya Bridge e Fourth Bridge) sono stati messi fuori uso dai bombardamenti aerei con l’obiettivo di impedire ai jihadisti di far arrivare a est mezzi e rinforzi.
L’unico ponte che continua a essere ancora percorribile da veicoli è il ponte centrale, vale a dire l’Old Bridge.
La controffensiva dell’ISIS
In risposta a questi bombardamenti, ISIS ha distrutto parte dell’aeroporto della città, in modo da impedirne l’uso all’aviazione irachena, e costruito vari livelli di barricate lungo le strade principali che attraversano Mosul, utilizzando blocchi di cemento e detriti degli edifici distrutti dai raid aerei.
In questa fase del conflitto iracheno, ISIS si sta dimostrando inoltre in grado di aprire altri fronti di combattimento. Negli ultimi giorni gruppi di miliziani jihadisti hanno attaccato una caserma nei pressi di Baiji, circa 180 km a nord di Baghdad, uccidendo quattro soldati e ferendone altri 12 e prendendo possesso di un ingente quantitativo di armi. Razzi sono stati poi lanciati contro la città di Shirqat. Attacchi incrociati che hanno permesso a ISIS di prendere il controllo di tre check point situati lungo la strada principale che collega le due città. Mentre nei pressi di Udhaim, 90 km a nord di Baghdad, sono stati uccisi oltre dieci tra miliziani sunniti e sciiti filogovernativi.
Intanto, la crisi umanitaria a Mosul diventa sempre più allarmante. L’UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) stima che presto gli sfollati potrebbero superare il milione, il che manderebbe al collasso i centri di accoglienza predisposti all’esterno della città. Mentre sul fronte politico interno, il premier Haider Al-Abadi è messo sempre più sotto pressione dall’Iran e dall’opposizione sciita guidata dall’ex premier Nuri Al Maliki. Come era prevedibile, la promessa che aveva fatto di liberare il Paese dallo Stato Islamico entro la fine del 2016 non è stata mantenuta. Baghdad adesso fa sapere che ci vorranno almeno altri tre mesi per centrare l’obiettivo. Ma la missione appare difficile da portare a termine, perché oltre che a Mosul e nella provincia di Ninive, ISIS rappresenta una minaccia viva in tutto il governatorato di Al Anbar, al confine con la Siria, oltre che a Baghdad e in altri punti nevralgici del Paese.
La seconda fase della campagna di Mosul è iniziata lo scorso 29 dicembre. Si punta a riprendere tutta la parte est della città e, successivamente, a entrare nella parte ovest dove però il Califfato è pronto a usare migliaia di civili che tiene in ostaggio come scudi umani. Per l’Iraq il 2017 è iniziato nel peggiore dei modi. La guerra contro il Califfato è destinata a durare ancora molto a lungo.