Cgil e sinistra italiana: gli scontri più aspri
Da Lama e Berlinguer a Cofferati e D'Alema quando sindacato e sinistra italiana sono arrivati ai ferri corti
Che tra il Partito democratico e la Cgil non ci sia più nulla in comune è un dato di fatto più che acquisito ormai da diversi anni. Che poi, tra i due, si registri un simile scontro, aspro e violento, non stupisce nemmeno più di tanto conseguenza anche del tipo di linguaggio utilizzato da Matteo Renzi e Susanna Camusso negli ultimi giorni che hanno soffiato sul fuoco di una crisi economica e sociale. Tuttavia, la storia ci insegna che questo legame è stato sempre tormentato facendo registrare in diverse occasioni attriti e scambi di accuse senza esclusione di colpi.
Con la caduta del Muro di Berlino, e la conseguente fine del Pci, quasi in maniera automatica, il cordone ombelicale tra partito (Pds, Ds, Ulivo, Pd) e sindacato si è andato gradatamente sciogliendo, anche se il fisiologico travaso di ex Cgil nel partito è durato per diversi anni vedi Lama, Bertinotti, Cofferati, Epifani trasferitisi a Montecitorio o in altri Palazzi della politica. La Camusso, siamo sicuri, che avrà serie difficoltà a seguire la strada dei suoi predecessori, almeno nel Pd di Renzi.
Prima del 1989 i dibattiti, per usare un eufemismo, tra Pci e Cgil creavano un certo stupore per il tipo di legame esistente tra partito e sindacato. Un esempio fu il processo al segretario Luciano Lama messo in atto dalla segreteria comunista guidata da Enrico Berlinguer. “Ma allora si va davvero allo scontro, anche con Lama”, queste le parole usate da alcuni dirigenti comunisti nell’infuocata estate del 1980 per l’atteggiamento di apertura della Cgil guidata da Lama verso il Fondo anticrisi attuato dal governo Cossiga. In quegli anni i ruoli erano rovesciati in quanto il sindacato era per il dialogo e il partito era per l’opposizione dura e pura. Per la cronaca l’unico a opporsi al leader comunista nel processo a Lama fu l’attuale Capo dello Stato, Giorgio Napolitano.
L’animosità che stiamo vivendo in queste ore, che ha portato alle drammatiche scene degli incidenti di Roma tra polizia e operai, riporta alla mente ad anni più recenti, quelli della cosiddetta Seconda Repubblica.
Un precedente a dir poco analogo, avvenne nel 1997 tra il primo governo di sinistra della storia italiana, guidato da Romano Prodi e Walter Veltroni, e la Cgil. Alla guida del Pds all’epoca c’era Massimo D’Alema che si accingeva, nel giro di pochi mesi, a diventare presidente del consiglio prendendo il posto proprio dello stesso Prodi.
Il clima, in quei mesi, tra governo e parti sociali era surriscaldato alla stregua di quello che sta avvenendo in questi giorni. Per capire il livello di tensione raggiunto basta rileggere alcune frasi del discorso del segretario al secondo congresso nazionale del Pds tenutosi a Roma a febbraio: “Serve un nuovo patto sociale. Più egualitario, meno corporativo… A quell’opposizione che si è riunita a Milano qualche giorno fa dico che la aspettiamo, perché venga in Parlamento. Per far valere, se ci riuscirà, le sue ragioni”. Poi arriva il duro attacco al segretario Cgil che il giorno prima aveva criticato senza mezzi termini, durante il suo intervento, la proposta di riforma dello Stato sociale avanzata dal Governo e annunciando una manifestazione nazionale per sabato 22 marzo: “Questa volta ho trovato Cofferati più chiuso, più sordo rispetto alle esigenze di una riflessione critica del sindacato e della sinistra. Ci vuole il coraggio di un’opera di rinnovamento”. Tutto cambia perché nulla cambi.