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Casa Renzi nel vortice degli affari

PAnorama ha ricostruito il giro di denari ed operazioni delle società dei genitori dell'ex premier

Quarant’anni di vorticosa carriera imprenditoriale. Quindici aziende avviate: amministrate, cessate, liquidate o fallite. E almeno altre tre che, per i magistrati fiorentini, venivano controllate indirettamente. Un fittissimo reticolo di società, decimate nel tempo da un’incessante morìa imprenditoriale. Sullo sfondo, qualche briga giudiziaria. Fino al rovinoso inciampo. Diciotto febbraio 2018: Tiziano Renzi e Laura Bovoli, genitori dell’ex premier Matteo, finiscono agli arresti domiciliari per bancarotta fraudolenta e false fatture. Il gip di Firenze, Angela Fantechi, li ritiene il perno di un sistema di fatture inesistenti e operazioni gonfiate riconducibili alla Marmodiv: un «giro» da 725 mila euro. Anche le casse di Delivery ed Europe service, poi fallite, sarebbero state svuotate. Le cooperative avrebbero fornito manodopera in saldo, senza oneri previdenziali ed erariali, alla Eventi 6, società di famiglia sopravvissuta alla falcidia camerale. Buona sorte che accompagna anche una sua controllata, nata a giugno 2017: la Vip, Very important products.

La ditta, che commercia e promuove cibi e bevande, è amministrata da Matilde Renzi, figlia di Tiziano: coinvolta nelle attività di famiglia assieme al fratello Samuele e la sorella Benedetta. A differenza invece di Matteo, che ha lavorato per il padre solo fino al suo esordio in politica, nel 2004, quando viene eletto presidente della provincia di Firenze. Ma la sua ascesa politica ha portato comunque fortuna ai conti della Eventi 6. Nei suoi due anni al governo, dal 2014 al 2016, il fatturato cresce del 265 per cento. Mentre i ricavi passano da 698 a 114.765 euro. Speculare sobbalzo hanno i redditi di Babbo Tiziano: a fine 2013 dichiara «zero carbonella». L’anno dopo, con il figliolo a Palazzo Chigi, il suo reddito lievita a 51.901 euro.

Partiamo dall’inizio, però. Dai registri delle imprese si scopre che le avventure aziendali di Tiziano Renzi cominciano quarant’anni fa, il 9 gennaio del 1978, nella natia Rignano sull’Arno, paesello a una ventina di chilometri dalla città dei Medici. Il padre dell’ex presidente del Consiglio, 26 anni, fonda la sua ditta individuale: Renzi Tiziano. L’attività è: agenti di prodotti farmaceutici e di erboristeria per uso medico. Dieci anni dopo, a giugno del 1985, termina la sua corsa. Ma a febbraio 1998 ritorna in pista un’altra Renzi Tiziano: una partita Iva nuova di zecca per «attività di rappresentanza».

Seguono 24 anni di onorata fatturazione, fino a gennaio del 2012. Pure stavolta si tratta di un arresto temporaneo. A luglio del 2013 l’omonima ditta viene rifondata. Una settimana fa però la società è nuovamente cancellata. La visura camerale dettaglia: 20 febbraio 2019, due giorni dopo gli arresti ordinati dalla procura di Firenze. Mentre una settimana prima, il 13 febbraio 2019, veniva registrata la chiusura di Sfera, l’ennesima srl di famiglia. Eppure era nata poco più di due anni fa: a ottobre del 2016. I soci erano i tre figli: Samuele, pediatra emigrato in Canada, aveva il 50 per cento delle quote. Il resto era diviso tra le due sorelle: Matilde e Benedetta. Oggetto sociale: organizzazione e gestione di centri di fisioterapia e riabilitazione. Per i Renzi, un’attività abbastanza inusuale. A meno che lo scopo non fosse spendere le competenze mediche del figlio, già azionista di maggioranza. Il capitale era il minimo indispensabile: 10 mila euro. Ma i denari effettivamente versati sono stati solo quelli esiziali: 2.500 euro. Una prassi che può rivelare scarsa liquidità o breve vita aziendale. E che ricorre spesso nella galassia dei Renzi. Comunque sia, Sfera è solo l’ultima trapassata. L’elenco delle imprese nell’orbita renziana, sorte e poi sepolte, è fitto.

Torniamo a quei meravigliosi anni Ottanta. A luglio 1984, nella solita Rignano, viene costituita la Speedy. Capitale: 10.400 euro. Alla società si affianca la Speedy promozioni, con sede a Roma. L’amministratore unico, fino al maggio 2002, è Laura Bovoli. Le due ditte si occupano soprattutto della vendita per strada della Nazione, il quotidiano fiorentino. Per la distribuzione vengono assoldati ragazzi in cerca di qualche extra. Niente contratti né contributi. Almeno a sentire l’Inps. Che, come rivelato da Panorama, il 25 maggio 1998, dopo una serie di accertamenti, multa la Speedy per 955 mila lire e la Chil, altra società di famiglia nata intanto nel 1993, per quasi 35 milioni di lire: l’accusa è di non aver pagato i contributi agli strilloni.

Il 5 febbraio 1999 la Speedy, «rappresentata dal liquidatore Tiziano Renzi», e la Chil, «nella persona dell’amministratore Laura Bovoli», ricorrono contro l’ente previdenziale. Il contenzioso finisce al Tribunale di Firenze. Il 16 ottobre 2000 vengono respinte le istanze. Renzi e Bovoli dovranno rimborsare 5 milioni di lire per le spese processuali. Sentenza confermata dalla Cassazione il 28 settembre 2004: ricorso è privo di fondamento. Pochi mesi dopo, il 3 febbraio 2005, la Speedy finisce al macero. I conti sono asfittici: zero fatturato e una perdita di 4.428 euro.

In quegli anni l’azienda di famiglia più importante è la Chil. Il ramo è lo stesso: marketing e distribuzione di giornali. Agli inizi del 2000, comincia a occuparsi della consegna notturna del Secolo XIX a Genova. Tiziano è amministratore unico dal febbraio 1999. Carica che mantiene per dieci anni. Nella società lavora anche il figlio Matteo, futuro premier. Il 15 giugno 2004, eletto alla guida della Provincia di Firenze, l’ufficio stampa distribuisce la biografia del neopresidente: «Matteo Renzi ha fondato la Chil, di cui poi ha ceduto le quote, dove si occupa di coordinamento e valorizzazione della rete, nella gestione di oltre duemila collaboratori occasionali in tutt’Italia».

E qui bisogna aprire l’ennesima, e poco edificante, parentesi. L’ex presidente del Consiglio rimane un semplice collaboratore coordinato continuativo della Chil, senza diritto a pensione né Tfr, fino al 24 ottobre 2003. Dopo tre giorni da disoccupato, viene riassunto dalla stessa società come dirigente. Ma l’azienda si caricherà solo per pochi mesi gli oneri di cotanto figlio. Perché lo scatto di carriera, guarda caso, avviene il 7 novembre 2003, alla vigilia dell’ufficializzazione, già ventilata dai giornali, della candidatura alla guida della Provincia di Firenze. La scontata elezione avviene sette mesi più tardi: il 13 giugno 2004. Da quel giorno, per cinque anni, l’amministrazione versa gli oneri pensionistici di quella promozione tanto tempestiva quanto inusuale. Eletto sindaco nel 2009, godrà dello stesso privilegio fino al febbraio 2014, quando diventa presidente del Consiglio. Solo due mesi più tardi, il 22 maggio del 2014, pressato dai giornali, annuncia le sue dimissioni dalla Chil. Ma comunque Renzi avrebbe già messo da parte, alle spalle dello scassatissimo sistema previdenziale italiano, un tesoretto che un operaio si ritrova solo dopo vent’anni di lavoro in fabbrica.

Torniamo però agli affari di famiglia. Anche la Chil, alla fine, non resiste alle intemperie finanziarie. Il padre del premier, a ottobre del 2010, ne cede la parte più profittevole, per soli 3.878 euro, alla sua Eventi 6, nata ad agosto 2007: azienda che appartiene alle figlie, Matilde e Benedetta, e alla moglie, Laura Bovoli. Mentre il ramo secco, pieno di debiti e guai, passa a Gianfranco Massone: suo figlio Mariano, vicepresidente della Delivery, è stato arrestato una settimana fa assieme ai Renzi. Ma a febbraio del 2013, l’ex gioiellino di casa Renzi fallisce. Portandosi dietro 1 milione e 200 mila euro di debiti. Renzi senior, a settembre 2014, viene indagato dalla Procura di Genova per bancarotta fraudolenta. Un’indagine che, adesso, sembra il prologo di quella fiorentina. Ma a luglio 2016 l’inchiesta è archiviata. Babbo Renzi non ha avuto nessuna responsabilità nel crac.

Alle sue spalle, intanto, le chiusure aziendali si affastellano. Nel lontano 1988 Tiziano apre con l’amico Andrea Bacci, l’immobiliare Raska. Ma la società viene chiusa già nel 1993, cinque anni dopo. Ancor più fuggevole l’esistenza di Uno comunicazione, nata nel 2002 per l’ideazione di campagne pubblicitarie. Babbo Renzi ha il 43,50 delle quote. Capitale minimo: 10 mila euro. Euro versati: solo tremila. Tre anni dopo, l’impresa è già defunta.

La girandola non si ferma. Il 5 febbraio 2003, sempre a Rignano sull’Arno, nasce una la Arturo. Renzi senior ha il 90 delle quote. Il resto è in mano alla sorella, Tiziana. Una srl dall’oggetto apparentemente stravagante: produzione di pane e prodotti di panetteria freschi. Eppure a Genova, all’inizio del 2007, la Arturo si occupa di retribuire chi distribuisce Il Secolo XIX. Come rivelato da Panorama nel 2014 e raccontato dalle Iene un mese fa, la società il 20 settembre 2011 viene condannata dal Tribunale di Genova a pagare quasi 90 mila euro a Evans Omoigui, un vecchio dipendente, per il suo licenziamento illegittimo nell’aprile 2007. Quei soldi, però, l’ex strillone non li vedrà mai. La vita imprenditoriale della Arturo è infatti breve. Alla fine del 2007, il fatturato è di 954 mila euro. Ma le perdite raggiungono i 124 mila euro. Così il 18 aprile 2008 finisce nelle mani del liquidatore. Smessi i panni di socio, è sempre lui: Tiziano Renzi. Che nel mentre, a maggio 2004 compra il 60 per cento della Mail service, con sede ad Alessandria dal solito Gianfranco Massone, già coinvolto nella vendita della Chil post. Come spiegato su La Verità da Giacomo Amadori - che da anni racconta con scoop e retroscena le rocambolesche vicissitudini di Casa Renzi - 28 mesi dopo, nel settembre 2006, Renzi senior vende la sua quota per 120 mila euro all’immobiliare alessandrina A.M.S, destinata a fallire nel 2013. La stesso epilogo avrà Mail service, travolta dai debiti.

Vite brevi e intense, quelle delle società renziane. Sahara, di cui Tiziano ha il 33 per cento, nasce a settembre 2003, sempre con tremila euro di capitale versati su 10 mila. E tira le cuoia a febbraio 2005. Esistenza ancor più fugace ha Bagheera: agenzia di distribuzione di libri, giornali e riviste. Vede la luce ad agosto 2007 nella campagna di Reggello: capitale di 10 mila euro, versati solo 2.500. Tiziano Renzi ha il 90 per cento delle quote. Poco più di un anno dopo è però già nel cimitero delle imprese. A dicembre 2008 viene chiusa. L’ultimo bilancio, a fine 2007, annota: fatturato di 126.598 euro, perdite per 9.915 euro.

Sempre in quel di Reggello, a ottobre 2014 nasce Party: Tiziano Renzi ha il 40 per cento. Mentre amministratore unico è Bovoli. Il resto è di Nikila Invest Srl, amministrata da Ilaria Niccolai, moglie dell’imprenditore Luigi D’Agostino, noto come il re degli outlet. Come The Mall, proprio a Reggello, poco distante da casa Renzi.

D’Agostino, a giugno 2018, viene però arrestato per un giro di fatturazioni gonfiate. La stessa accusa che ha portato ai domiciliari i Renzi. E nell’inchiesta fiorentina appare anche la Party: avrebbe emesso, a giugno 2015, due fatture false per quasi 200 mila euro. Comunque sia, la srl finisce in liquidazione già a febbraio 2016: dopo poco più di un anno di attività. E Bovoli lascia la carica di amministratore unico.

Sette mesi più tardi, a ottobre 2016, è creata Sfera. I soci sono i tre figli di Renzi. Doveva occuparsi di strutture per la fisioterapia. Ma due settimane fa la società è stata definitivamente cancellata. E insomma, un trapasso dopo l’altro, s’arriva mestamente a oggi. L’ultima nata, a giugno del 2017, è Vip, roboante acronimo di un più giocoso «Very important products». Amministratore unico è Benedetta Renzi. Azionista di minoranza, con il 3 per cento, è Angelo Di Cesare, ex manager del Messaggero. La società è invece controllata al 97 per cento dalla Eventi 6, finita nell’inchiesta della Procura di Firenze.

L’ultimo bilancio dell’azienda dei Renzi è stato approvato il 23 marzo 2018, a Rignano sull’Arno: 6,2 milioni di ricavi e 135 mila euro di utili. Anche se sull’impresa pesano 2,8 milioni di debiti (di cui 1,1 milioni da rimborsare entro il 2018): quasi raddoppiati rispetto a due anni prima, quando si contenevano a 1,5 milioni. Ma tra le considerazioni finali della nota integrativa al bilancio si legge: «La società ha resistito grazie agli investimenti degli anni precedenti, nonostante il reiterato attacco mediatico verso alcuni membri della famiglia, che si è esteso nel disegno premeditato di minare la credibilità dell’azienda, sebbene la stessa operi sul mercato da quasi 35 anni ed abbia un ottimo rating bancario». Firmato: il presidente del consiglio d’amministrazione, signora Laura Bovoli.

Eppure, a leggere gli ultimi bilanci della sua impresa, sembrerebbe che l’esposizione mediatica e politica non sia stata devastante. Tutt’altro. A fine 2013 fatturava meno di 2 milioni di euro, segnando un utile irrisorio. Due mesi dopo, il figlio Matteo si issa alla presidenza del Consiglio. E, proprio nel 2014, Eventi 6 riesce a raddoppiare i propri ricavi: 4,3 milioni. L’anno successivo s’impennano ancora: 5,6 milioni. Per arrivare, nel dicembre 2016, mese della caduta del governo Renzi, a quasi 7,3 milioni di euro: un aumento del 265 per cento, rispetto al 2013. Nello stesso periodo gli utili salivano da 698 a 114.765 euro: un incremento del 16.341 per cento.

Intanto, anche l’Irpef di Tiziano Renzi lievitava. Nel 2013 il suo reddito segna zero. L’anno seguente si gonfia, fino a raggiungere i 51.901 euro. Exploit che pochi possono vantare. E proprio mentre il figliolo guida il Paese. Coincidenze, certo. Che però non legittimano le geremiadi scritte a bilancio da Laura Bovoli. Adesso è ai domiciliari assieme al marito, che su Facebook s’è sfogato: «La verità verrà fuori». Ma il lieto fine, per i magistrati, non sarebbe quello auspicato da Babbo Tiziano.
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Antonio Rossitto