Calabria, magistratura
(Ansa)
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Calabria, la terra dove i magistrati non vogliono andare

Salvatore Cosentino ci spiega quali sono le ragioni per cui in Calabria i magistrati sono in gran parte giovani e gestiscono inchieste delicatissime mentre gli "anziani" appena possono chiedono il trasferimento

«Ho deciso di ritornare in Calabria a 40 anni con uno sguardo consapevole, certamente più consapevole di quello che avevo a 25 anni quando fui destinato a Locri in prima nomina. Ritornarci non è stato facile, ho dovuto persino affrontare un ricorso al TAR e uno al Consiglio di Stato».

Chi parla è Salvatore Cosentino, sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello di Lecce. Dopo aver condotto importanti inchieste presso la Procura di Taranto, sceglie di ritornare a Locri. Conosce bene la Calabria e i problemi legati alla magistratura. Ci spiega quali sono le ragioni per cui in Calabria i magistrati sono in gran parte giovani e gestiscono inchieste delicatissime.

Lei ha lavorato per due volte a distanza di 15 anni presso la Procura di Locri. Come nasce la scelta del grande ritorno in un luogo dove nessuno sceglie di andare, figuriamoci di ritornare?

«La prima volta che sono arrivato a Locri ero molto turbato perché ancora non sapevo di trovare il paradiso umano che avrei trovato. La seconda volta, ci sarei dovuto rimanere soltanto due anni e invece sono rimasto 6 anni con piacere e soddisfazione. Ammetto di essere particolarmente bravo a trovare il bello dappertutto. Tra i miei colleghi pugliesi nessuno ne parla davvero male, ma sono tutti felici di essere ritornati a casa. Penso che a volte la non conoscenza dei luoghi sviluppa resistenze che non hanno motivo di essere. Sono in tanti a non conoscere la Calabria probabilmente perché non è valorizzata abbastanza. A volte, quando mi capitava di parlare con i contadini o con i pastori, mi accorgevo della loro diffidenza, ma probabilmente non valorizzare se stessi e il proprio patrimonio culturale, le bellezze del mare e i monumenti è nella loro indole. Sono così i calabresi, al contrario dei pugliesi che invece esaltano al massimo quel che hanno. In Puglia ogni pietra diventa un monumento nazionale, invece i calabresi hanno un monumento nazionale ad ogni passo, e non lo sanno. Questo discorso spostato a livello giudiziario porta al fatto che molti colleghi “evadono” per diverse ragioni anche legate a scelte familiari».

Qual è lo scenario attuale della magistratura in Calabria?

«Se 50 anni fa le sedi disagiate erano al Nord, dove non si facevano concorsi perché il posto fisso rappresentava una sorta di assistenzialismo malvisto, oggi le sedi disagiate sono al Sud e Milano è sede ambitissima. Quindi, tribunali calabresi come quello di Locri o Palmi mettono a concorso posti in cui nessuno vuole andare e sono occupati da chi non vuole andarci ma deve farlo. E chi è che deve andarci? Ovviamente, i magistrati di prima nomina, che sono felici di andare ovunque. Si è così felici di aver vinto un concorso serio come il nostro che si è contenti di andare persino in Calabria. Detta così, sembra che si vada a finire in un posto orrendo, invece si sta benissimo per svariati motivi: umani e sociologici oltre che giudiziari. Tuttavia, un magistrato mediamente anziano o anche non di prima nomina non sceglie di andare in Calabria, fatta qualche eccezione per chi ha origini calabresi. Eppure, capita spesso che anche i calabresi preferiscono non tornare. Le ragioni del non ritorno sono svariate, ma le più probabili sono legate al radicamento familiare altrove per consentire anche alla prole migliori possibilità e sbocchi professionali».

La Calabria è in mano a quelli che un tempo Cossiga chiamava “giudici ragazzini”. Come fanno magistrati giovanissimi a gestire inchieste importanti?

«Sono giovani motivati che, a parte l’esperienza che non possono avere, godono di una solida preparazione e hanno entusiasmo da vendere. Conosco colleghi trentenni che partecipano egregiamente a Corti d’Assise e inchieste importanti, sia quindi come giudicanti che come requirenti. E comunque hanno sempre la possibilità di confrontarsi con qualche collega più anziano ed esperto che ha scelto di rimanere in Calabria».

Durante il lavoro svolto presso la procura di Locri, ha avuto modo di confrontarsi con colleghi più anziani?

«Ricordo con grande stima il confronto tecnico giuridico avuto durante la prima nomina a Locri con il collega Ettore Squillace Greco, che adesso fa il procuratore a Livorno. È stato quasi un maestro e quando cominciai a lavorare in Calabria era uno dei colleghi più bravi. Il magistrato anziano del mio ufficio era Nicola Gratteri. Grandissimo investigatore, oltre che un buon amico, che ricordo essere sempre disponibile. Ecco, tra i magistrati c’è un grande spirito di comunità in Calabria, c’è una grande generosità culturale e di trasmissione del proprio sapere. E’ ragionevole dire che in Calabria si piange due volte: quando si arriva e quando si va via».

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Rosita Stella Brienza