La distanza (incolmabile) tra Pd e Grillo
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La distanza (incolmabile) tra Pd e Grillo

Proposte, parole, cultura, realtà. Ecco perché Bersani e grillini non andranno mai d'accordo (ed il pdl, gode) - lo speciale elezioni 2013 -

Chi è il comico vero (chi produce l’effetto più comico) tra Beppe Grillo e Pier Luigi Bersani? Tra i quadri ammaccati del Pd e l’armata dei grillini che spuntano in tv e presto debutteranno al gran ballo di Montecitorio?

Se avete visto “In Onda” ieri su La7, avete avuto la plastica dimostrazione dell’incapacità della classe politica del Pd di comprendere il linguaggio dei 5 Stelle. Un dialogo impossibile tra grillini e bersaniani, che smaschera il paradosso, la boutade, della collaborazione di governo.

C’erano Fabrizio Cicchitto, capogruppo uscente del Pdl alla Camera, Paolo Mieli, ex storico direttore del Corriere della Sera che ha votato Monti, e Matteo Orfini del Pd, “giovane turco” bersaniano cresciuto a pane e Partito, un’espressione di ombrosa rassegnazione sul volto mitigata dallo stupore (a tratti persino divertito) durante il surreale confronto a distanza col professore-filosofo Paolo Becchi “simpatizzante di Grillo”, collegato da Genova.

Becchi è la reincarnazione di Diogene, cinico filosofo greco del IV secolo avanti Cristo, il “Socrate pazzo”, sorta di hippy dell’antichità che viveva dentro una botte e contestava l’autorità in nome dell’autarchia e del rifiuto dei privilegi. Il povero Orfini si ostinava a proporre punti di programma a Becchi che lo liquidava irridente e intanto sorseggiava elisir di saggezza sotto forma di coppe di Sauvignon e si sbracciava a tentar di spiegare che ai 5 Stelle del governo non importa un beneamato.

Quei due potranno mai capirsi? Cioè, Becchi capiva benissimo in realtà, infatti insisteva a dire agli ospiti in studio che erano distanti anni luce dalla realtà. Orfini lo fissava sbigottito: ma come, il Pd tende la mano, propone l’accordo coi 5 Stelle, invita a guardare i punti di contatto tra i rispettivi programmi, e cosa fa Becchi? Insorge, sberleffa, sibila e sbuffa dentro quella stravagante, quasi indisponente, eccessiva barba bianca da “Socrate pazzo”.

Ovvio. Orfini nasce al liceo Mamiani di Roma da sempre di sinistra, è un animale di partito, già portavoce di D’Alema, oggi fedelissimo di Bersani. Per lui, Tony Blair è uno sporco liberista.

Becchi invece è un filosofo del diritto, ordinario a Genova, titolare di corsi di bioetica e filosofia pratica, autore di centinaia di pubblicazioni e articoli, un’importante esperienza di studio e lavoro in Germania, e un blog molto affollato. Tra Orfini e Becchi, il “vecchio” anagraficamente è il secondo, ma non c’è dubbio che quello più vecchio di testa, radicato in una idea-partito da Jurassic Park, è Orfini. Tanto rigido da apparire stanco.

La cartina di tornasole è il finanziamento pubblico dei partiti. Becchi lo vuole abolire e ne fa una questione centrale. Orfini dichiara di volerlo mantenere, ma come fa a non capire che su questo s’infrange qualsiasi possibilità di “intesa organica”, per usare il gergo vecchio stile?

I 5 Stelle sono in Parlamento, dicono, per polverizzare i privilegi e abbattere i costi della politica, e introdurre forme di democrazia diretta. Gli eletti di Grillo si fanno chiamare non deputati o senatori, ma “portavoce” dei cittadini. E come non si considerano parlamentari, neppure hanno un vero programma perché il non-programma dei grillini nasce dalle consultazioni online e sul territorio, è un testo costantemente in fieri. Frammentato, pragmatico, che nasce dal basso. Con un unico faro: l’equità, niente privilegi.

Ecco perché non ha senso offrire il governo a Grillo-Casaleggio. Becchi lo dice chiaro: si può tenere in vita il governo Monti in regime di prorogatio perché cosa c’importa del governo, è il Parlamento che torna centrale, e che nel sogno-utopia dei grillini è solo un luogo di democrazia diretta senza più destra o sinistra. Senza ideologie o partiti, tanto meno partiti presi. Le decisioni si dovrebbero assumere, per Grillo-Casaleggio & Company, non a Palazzo Chigi ma nella piazza di Montecitorio, magari col supporto sui temi più controversi di un sano referendum popolare. È folle? Forse, ma intanto bisogna saperlo.
Orfini insomma dovrebbe sorridere di meno davanti a Becchi, e sforzarsi di capire. Una cosa però l’ha subodorata: Grillo minaccia la sopravvivenza dell’ultimo partito-partito.

Il Pd non è immortale come pensano o sperano i “giovani turchi” colonnelli di Bersani. Quando Grillo afferma che Bersani è “un morto che parla”, non è per nulla comico. È serissimo e dice il vero. Patetico (l’esser patetici è una forma di comicità) è piuttosto Bersani con i suoi giaguari e i suoi poster all’antica sull’Italia Giusta, ma soprattutto con la sua disperata ricerca di un “accordo” con Grillo che è il suo killer. L’on. Bersani parla politichese, Grillo (serissimo) risponde “faccia di culo”.

La posizione più furba, ieri a “In Onda”, era quella di Cicchitto, che senza interloquire con Becchi in una lingua sconosciuta si limitava a sorridere, sornione: “Li voglio vedere questi qua assieme, voglio proprio vederli. Noi staremo all’opposizione”. Insomma, per dirla con un tweet di Becchi che cita Mao: “Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente”. Divertimento assicurato in prima fila. Grillo al governo, Bersani a teatro.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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