Israele, l'era Netanyahu non è ancora finita
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Israele, l'era Netanyahu non è ancora finita

Facendo appello al voto utile contro la minoranza arabo-israeliana, il capo del Likud ha vinto le elezioni e frustrato le speranze della sinistra

Se c'è un vincitore nelle elezioni che si sono tenute in Israele quello è Benjamin Netayahu. Dato prematuramente per sconfitto da tutta la stampa internazionale, è riuscito lo stesso, nonostante gli scandali che ne hanno accompagnato tutta la carriera politica e anche il discredito presso larga parte della società israeliana,  a dimostrare che è ancora lui, diciannove anni dopo la sua prima esperienza da premier, a dare le carte.

Il merito della rimonta del Likud, che ha conquistato 30 seggi alla Knesset, sei in più dell'Unione Sionista, è stato, in fondo, tutto suo. Con il fiuto del vecchio animale politico ha giocato, nel giorno prima del black out, la carta del no allo Stato palestinese e dunque a Oslo. Poi, a urne già chiuse, con un messaggio su facebook, ha fatto appello al voto utile contro la mobilitazione della minoranza araba portata in massa alle urne dalle organizzazioni di sinistra. Sembravano temi dimenticati durante tutta la campagna elettorale. Con tempismo, efficacia e anche cinismo, li ha resuscitati per compattare i suoi o convincerli a tornare alle urne, anche turandosi il naso se necessario. 

L'operazione è perfettamente riuscita in una società che convive, sin dalla sua fondazione, con la paura e la sindrome del nemico interno: il Likud avrebbe drenato voti dalla destra dei falchi di Ysrael Beitenu e dei coloni di  Focolare ebraico, portando anche alle urne molti dei suoi vecchi elettori delusi. A sua volta il centrosinistra (Unione sionista) che sognava di vincere finalmente le elezioni dopo il ciclo ventennale dei governi targati Likud dovrà farsene una ragione. L'era di Netanyahu, benché in fase calante, non è ancora finita.

Il leader dell'Unione sionista Herzog ha sostenuto che è il miglior risultato dei laburisti dai tempi di Rabin, ma i 24 seggi conquistati hanno comunque il sapore della sconfitta politica di fronte al risultato del Likud, odiato ed eterno nemico, contro il quale tutta la sinistra ha impostato la campagna elettorale, trasformandola in un referendum contro il suo leader. La predilezione per l'accordo Likud-Labour del presidente della Repubblica israeliana è  cosa nota. Ma ad oggi, anche al netto dell'estrema frammentazione della futura Knesset, un altro governo di destra (che in teoria potrebbe contare su una maggioranza più larga di quella uscente) appare la soluzione più probabile. Quanto duri è un'altra faccenda. Ma Israele è abituato da decenni a convivere con l'instabilità politica e parlamentare. Sarà così anche questa volta.

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Paolo Papi