Ma il Congresso appoggerà la Guerra di Obama?
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Ma il Congresso appoggerà la Guerra di Obama?

Il via libera non è scontato. Anzi. Il presidente ha fatto la sua scommessa, ma negli ultimi due anni ha ricevuto quasi sempre dei no da Capitol Hill

Venerdì 30 agosto, è pomeriggio a Washington. Barack Obama è pronto a dare il via libera l'attacco contro la Siria, previsto entro le 48 ore seguenti. Dopo un turbinio di riunioni con il suo staff e gli alti funzionari dell'amministrazione, il presidente si prende una pausa per riflettere. Quarantacinque minuti da solo. Mette insieme i pezzi, valuta i pro e i contro dell'azione. Quando si ripresenta davanti ai suoi consiglieri, Obama ha cambiato idea.

L'attacco ci sarà solo dopo un voto del Congresso degli Stati Uniti. La sorpresa non è poca tra i suoi interlocutori . Tutti gli elencano gli aspetti negativi di quella scelta, ma Obama è irremovibile. Sa quali saranno le reazioni alla sua decisione, ma ha pensato che andare da solo alla guerra contro la Siria sarebbe stato ancora peggio per la sua presidenza.

Barack Obama ha scommesso sul Congresso perché è stato costretto a farlo. Per una settimana, decine di parlamentari avevano raccolto firme per chiedere al presidente di presentarsi a Capitol Hill per ottenere l'autorizzazione formale per l'azione militare. L'avevano fatto ben sapendo che Obama non li avrebbe ascoltati. Non l'aveva fatto con la Libia, se non a guerra conclusa. Perché avrebbe dovuto farlo con la Siria? E, infatti, il presidente aveva messo da parte il parlamento, come avevano fatto in passato quasi tutti i suoi predecessori da Harry Truman in poi. 

Ma, poi, per Obama le carte in tavola sono cambiate. Dopo il no di Londra, isolato, non voleva dare il via a un'azione militare unilaterale. Lui da solo, senza l'appoggio di nessuno. Neppure all'interno dell'America, visto quello che dicono i sondaggi. Questa sua solitudine era un peso eccessivo. Gravido di ripercussioni politiche. Che avrebbe potuto mutare la stessa storia (e natura) della sua presidenza. Per questo ha deciso di accettare il passaggio al Congresso, trasformandolo in una sfida a deputati e senatori: ora datemi il vostro appoggio.

La scommessa con il Congresso del No

Negli ultimi due anni, il rapporto tra Capital Hill e la Casa Bianca non è stato dei migliori. Dopo le elezioni di Medio Termine, i repubblicani hanno ripreso la Camera dei Rappresentanti e hanno una nutrita pattuglia in Senato. L'approvazione di ogni provvedimento diventa una battaglia. Obama se ne accorto bene quando ha dovuto combattere il duello sul budget. John Boehner, lo Speaker della Camera, gli ha fatto sudare sette camicie prima di arrivare a un compromesso che, in realtà, era una vittoria per il Grand Old Party. 

La rielezione di Obama ha messo sulla difensiva i repubblicani, ma nonostante questo, alcune delle riforme che la Casa Bianca avrebbe voluto approvare sono state bloccate a Capitol Hill: dalla legge su maggiori controlli sulle armi automatiche all'immigrazione, dalla legge sui cambiamenti climatici (che riguarda l'industria energetica) alla riforma fiscale. Con questi record, il segnale verde per l'intervento in Siria non è scontato. Anzi. Al Congresso potrebbe formarsi un'alleanzatrasversale tra repubblicani e settori dei democratici in grado di bocciare l'iniziativa di Obama. Per la sua presidenza sarebbe un disastro. Rischierebbe di non aver più agibilità politica per il resto del suo mandato. 

Chi non vuole l'intervento militare a Capitol Hill

Per diversi giorni, i consiglieri della sicurezza della Casa Bianca hanno tenuto riunioni su riunioni con alcuni congressisti per spiegare loro quali sono le prove in possesso dell'amministrazione sulle responsabilità nell'uso di armi chimiche da parte del regime di Assad. Alcuni hanno detto di non essere rimasti particolarmente colpiti dal materiale prodotto. Non c'è la smoking gun,  la prova definitiva. Altri, invece, alcuni democratici, hanno affermato che prove o non prove, la questione è che l'America non può farsi coinvolgere in un'altra guerra. 

Secondo alcuni commentatori, La Camera dei rappresentanti, a maggioranza repubblicana, dirà no all'intervento in Siria. Lo farà perché preverranno le tesi dell'ala libertaria e isolazionista del Grand Old Party e di quelle della fazione del Tea Party. L'establishment repubblicano si accoderà, ben volentieri per dare un colpo alla Casa Bianca. Contro la guerra dovrebbero votare anche alcuni deputati democratici, ultra pacifisti, convinti che non ci siano differenze tra le azioni militari di Bush e di Obama. 

Al Senato, invece, la musica potrebbe essere diversa (visto i numeri a favore dei democratici), ma anche in questo caso, il pronostico è incerto. Potrebbe essere un voto sul filo di lana dopo una dibattito acceso e una seduta al cardiopalma. 

Le posizioni sono diverse. Non ci sono soltanto quelli che si dicono contrari alla guerra, ma anche quelli che, invece, vorrebbero un intervento molto più deciso contro il regime di Damasco di quanto previsto dai piani militari approvati da Obama. Ed è per questo che potrebbero votare contro la risoluzione della Casa Bianca. Se però, il solo Senato dovesse dire si, per Obama sarebbe sufficiente.

I sondaggi dicono no alla guerra

C'è poi da considerare un altro elemento. Tutti i sondaggi dicono che la maggioranza degli americani è contro l'azione militare. E, tutti i sondaggi affermano che, in questo momento,  il Congresso è l'istituzione meno amata dall'opinione pubblica. Può essere che per recuperare consenso e credibilità, i parlamentari decidano di seguire il sentimento dell'americano medio e non le richieste del loro presidente.

La somma di tutte queste variabili potrebbe riservare delle brutte sorprese alla Casa Bianca. Per questo, lo stesso Obama e tutti i più influenti membri del suo gabinetto hanno iniziato una'opera di lobbying a tappeto. 

Se dovesse perdere questa scommessa al Congresso, per la sua presidenza sarebbe un colpo durissimo. Barack Obama non avrebbe più credibilità (politica) in patria e all'estero. Sarebbe molto più che un'anatra zoppa. Ma sarebbero gli stessi Stati Uniti a perdere di forza e influenza a livello internazionale. Obama conta su questo per avere il via libera da Capitol Hill. "Right or wrong is my country". Ma quando entri nel gioco del Palazzo non sempre le cose vanno come avevi pensato che andassero. 

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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