Attentato Egitto, il retroscena: Israele nel mirino
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Attentato Egitto, il retroscena: Israele nel mirino

Il pullman di pellegrini saltato in aria nel Sinai certifica non solo l’insicurezza in Egitto ma alimenta anche i timori (giustificati) di Tel Aviv

Emergono nuovi fatti - se possibile ancor più inquietanti - legati all’attentato del 16 febbraio nel Sinai, in Egitto, che è costato la vita a tre turisti sudcoreani e al loro autista egiziano (e nel quale sono rimaste ferite anche altre 14 persone). Che sia stato un kamikaze a farsi esplodere sul pullman nell’area di Taba, al confine con Israele, è ormai un fatto acclarato: il gesto, infatti, è stato rivendicato dal gruppo jihadista Ansar al-Bayt Maqdis, che non è nuovo ad attentati - anche eclatanti - sia contro le forze di sicurezza egiziane che pattugliano l’area del Sinai sia contro obiettivi israeliani. Motivo per cui il gruppo terroristico è descritto a ragione come il maggiore nella regione.

Uno tra i principali elementi al vaglio degli investigatori è ovviamente la dinamica dell’attentato. La versione ufficiale racconta al momento che il terrorista è salito a bordo del mezzo durante uno stop lungo la strada, quando gli altri passeggeri erano scesi a terra per prendere i bagagli o una boccata d’aria. Quindi, l’uomo ha tolto l'innesco all’ordigno che aveva con sé e, saliti tre gradini del pullman, si è fatto esplodere.

Fonti israeliane ben informate affermano però che il vero obiettivo stavolta non fossero né il Sinai né l’Egitto e che, dunque, dietro all’attentato non ci sarebbe propriamente una ritorsione contro il regime militare di Al Sisi né una dimostrazione di forza in solidarietà con il deposto presidente Mohammed Morsi (al Cairo, domenica 16 si è aperto uno dei processi in cui il leader dei Fratelli Musulmani è accusato di spionaggio e cospirazione finalizzati al terrorismo).

Il vero obiettivo dei terroristi

Piuttosto, secondo tali fonti, l’esplosione sarebbe dovuta avvenire una volta che il pullman fosse giunto in territorio israeliano e precisamente nel centro di Eilat, distante pochi minuti dal confine. Qui, infatti, una detonazione avrebbe amplificato notevolmente il bilancio delle vittime. Solo una fatalità - il meccanismo di temporizzazione era apparentemente difettoso e avrebbe fatto esplodere la bomba quando ancora l'autobus era sul lato egiziano del confine - avrebbe impedito dunque una più ingente strage, facendo anche vittime israeliane.

Il pullman, è bene ricordarlo, aveva condotto un gruppo di pellegrini sudcoreani al celebre monastero di Santa Caterina, nei pressi del monte Sinai, in territorio egiziano, ed è stato colpito giusto poco prima di entrare in Israele, dove era in programma una visita ai luoghi santi.

L’azione diretta contro Israele si spiegherebbe con la volontà di punire Tel Aviv per il sostegno e la cooperazione del governo al regime dei militari in Egitto. Una politica che, nonostante le ben note divergenze tra i due Paesi, vede collaborare le rispettive forze di sicurezza e d’intelligence - pur se con scarsi risultati - nel tentativo di frenare le minacce eversive provenienti dal Sinai e dalla Striscia di Gaza. Tali operazioni sono oggi concentrate nel monitoraggio delle attività sia di Hamas sia delle numerose cellule jihadiste e qaediste che imperversano in quest’area.

A conferma di ciò, poche ore fa è giunto il comunicato di Ansar Bayt al-Maqdis, che riferisce: “Ansar Bayt al-Maqdis ha sacrificato con successo uno dei suoi eroi per far esplodere il bus diretto verso i sionisti. Ciò rientra nella nostra guerra economica contro questo regime di traditori”.

Chi sono i terroristi di Ansar al-Bayt Maqdis

Ansar al-Bayt Maqdis (“i sostenitori di Gerusalemme”) è il principale gruppo terroristico attivo nella Penisola del Sinai e viene associato alla maggior parte degli attentati che hanno sconvolto l’Egitto a seguito della messa al bando dei Fratelli Musulmani. La formazione, di chiara matrice salafita, è emersa nel 2011 ma dopo la destituzione di Morsi e la messa al bando dei Fratelli Musulmani ha intensificato le proprie azioni e ha iniziato a colpire indifferentemente forze dell’ordine sia egiziane che israeliane, così come ha prodotto numerosi attentati contro gasdotti e oleodotti. Inoltre, i membri della formazione terroristica filo-qaedista sono i diretti responsabili di attacchi contro il ministero dell’interno egiziano, dell’abbattimento di un elicottero militare nel Sinai e del lancio di razzi contro lo Stato d’Israele, più volte intercettati dal sistema missilistico di difesa Iron Dome.

Anche se nell’ultimo comunicato Ansar al-Bayt Maqdis afferma di non voler colpire i civili - ma solo se questi non scenderanno in piazza a sostegno della polizia e dell'esercito - e invita la popolazione egiziana a chiudersi in casa nei prossimi giorni, il gruppo mette in guardia anche poliziotti e militari, accusati di combattere “chi tenta di applicare la legge islamica unendo le forze con i liberali e gli atei”. A ciascuno di loro viene chiesto infatti “di non sostenere l’apostasia e l'ingiustizia” e di lasciare il proprio lavoro per salvare la vita e “onorare la religione”.

Il 23 febbraio prossimo al Cairo si terrà una nuova seduta del processo contro il deposto presidente Morsi, il più pericoloso che l’Egitto si sia trovato ad affrontare negli ultimi anni. Il rischio di nuovi gesti clamorosi di matrice terroristica in questa occasione e lungo tutta la durata del processo è dietro l’angolo. Così come Israele ha tutte le ragioni per sentirsi un po’ meno sicuro di prima.

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Luciano Tirinnanzi