Yara Gambirasio
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C'è il dna dell'assassino di Yara, non il nome

Le analisi hanno confermato quello che si sa da anni; che si tratta del figlio (illegittimo) di Giuseppe Guarinoni, nulla di più. Trovarlo sarà quasi impossibile

0,00000717. È la cifra, infinitesimale, che sintetizza impietosamente i progressi dell'indagine sul delitto di Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate di Sopra, uccisa il 26 novembre 2010. Le analisi dell'istituto di Medicina legale dell'Università di Milano, eseguite dall'anatomopatologa Cristina Cattaneo, hanno certificato quello che si sapeva da oltre due anni: l'assassino di Yara (o uno dei suoi assassini) è il figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni, autista di pullman di Gorno, nell'alta Val del Riso, morto nel 1991. Quel figlio illegittimo che venne chiamato, con malaugurante intuizione, Ignoto 1 e che ancora non ha un volto né un nome.

Tre mesi dopo la scomparsa di Yara, dopo imponenti battute di ricerca condotte da migliaia di uomini, il 26 febbraio 2011, il corpo della giovane ginnasta di Brembate viene trovato per caso in un campo abbandonato a Chignolo d'Isola, a nove chilometri di distanza da dove era stata rapita. Poche settimane e arriva la prima e unica svolta nelle indagini: gli investigatori riescono ad individuare, sulle mutandine e sui leggins di Yara, il dna del presunto assassino. È la firma, genetica, del colpevole. Comincia la caccia. Che conduce all'autista di Gorno, deceduto da troppi anni. Lo dicono le analisi del Ris dei carabinieri e la consulenza del professor Emiliano Giardina, genetista dell'Università Tor Vergata di Roma. La fortuna però non assiste gli inquirenti.

I tre figli di Giuseppe Guerinoni hanno profili genetici completamente diversi. Nessuno di loro è Ignoto 1. Dunque, l'irreprensibile Guerinoni - così lo descrivono tutti i suoi conoscenti - deve aver concepito un figlio illegittimo. La ricerca del suo dna si fa record; prima mirata, poi a tappeto, quindi a caso. Ad oggi sono stati prelevati circa 18 mila dna. Ma il confronto con quello trovato sul corpo di Yara ha sempre dato esito negativo. 

Si insinua il dubbio: forse quel campione biologico è stato contaminato? Forse le analisi hanno sbagliato? I consulenti della famiglia Gambirasio chiedono ed ottengono, nonostante le incomprensibili e strenue resistenze della procura di Bergamo, e in particolare del sostituto procuratore Letizia Ruggeri, che il corpo dell'autista di pullman venga riesumato per confrontare i dna, finora comparati solo grazie alla saliva lasciata su vecchi francobolli e marche da bollo. Accade nel marzo dell'anno scorso. Il medico legale Cristina Cattaneo preleva un frammento di tibia dal corpo di Giuseppe Guerinoni. Dopo un anno, il verdetto. Davvero Ignoto 1 è il figlio illegittimo dell'autista di Gorno. La compatibilità è del 99,99999987 per cento. Appunto uno 0,00000717 per cento in più rispetto a quasi tre anni fa. Punto e a capo.

E certo ben poca speranza ripongono gli inquirenti nell'esito di altre perizie, affidate all'Università di Pavia, sui peli e capelli trovati in grande quantità sopra e vicino al corpo di Yara in quel campo di Chignolo d'Isola. Potrebbero confermare la presenza di Ignoto 1 sul luogo del delitto; potrebbero forse svelare l'ipotetica presenza di eventuali complici. Ma resterebbe comunque da dare un nome ai profili genetici dei peli. E anche se si arrivasse ad individuare a chi appartengono quei peli, come escludere che siano stati portati dal vento su Yara, rimasta per tre mesi alle intemperie?

Le indagini, ormai, languono. Sono affidate ad antichi pettegolezzi circa le giovanili frequentazioni amorose di Giuseppe Guerinoni e condotte da uno sparuto manipolo di investigatori. Arrivano gli appelli, prima del questore di Bergamo, Dino Finolli, poi di mamma Maura e papà Fulvio Gambirasio: qualcuno deve sapere, parli! Altro, all'orizzonte, non si vede. Piste investigative alternative non ce n'è sono. La procura di Bergamo ribadisce quasi ogni giorno che non archivierà mai l'inchiesta. Ma non fa passi avanti. 

Eppure ci sono delle tracce, chiare e non deperibili, come invece sono i peli. Che misteriosamente, nonostante siano in possesso di inquirenti ed investigatori da tre anni, non vengono prese in considerazione. Lo straordinario lavoro svolto dall'istituto di Medicina legale di Milano durante l'autopsia su Yara ha svelato l'insolita presenza, sugli abiti della ragazzina, di dieci microscopiche sfere di acciaio inossidabile. Dieci reperti, del diametro di appena qualche micron (il diametro di un capello, per farsi un'idea, misura in genere settanta micron) trovati sotto le suole delle scarpe, sui leggins e sul giubbotto di Yara. La procura di Bergamo, il Servizio centrale operativo della Polizia (Sco), il Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri (Ros) sanno che microsfere di quelle dimensioni e di quella composizione (ferro, cromo e nichel, cioè, appunto, acciaio inox) sono rarissime e costose, prodotte da pochissimi stabilimenti in Europa, commercializzate da rari rivenditori. E che hanno un impiego molto particolare: servono cioè per la "siderizzazione" (ovvero la sabbiatura) e la rifinitura di oggetti metallici, in specie di acciaio inox. In un raggio di diversi chilometri da Brembate di Sopra quelle microsfere di acciaio inox vengono utilizzate solo in una quindicina di piccole fonderie, con pochi dipendenti, alcune proprio a Brembate, dove tradizionalmente si concentra l'attività siderurgica.

Le analisi hanno stabilito che quei reperti così particolari non provengono dai luoghi abitualmente frequentati da Yara. E nemmeno sono stati trovati nel campo di Chignolo d'Isola o nel cantiere del centro commerciale di Mapello, dove per mesi si sono concentrate le indagini. E allora devono essere entrati in contatto con Yara tramite il suo assassino o nel veicolo che è servito a rapirla. L'indagine sulla morte di Yara, oltre al prelievo record di dna, ha comportato la ricostruzione dei tabulati di almeno 150 mila utenze telefoniche e l'esame di migliaia di targhe automobilistiche. Ma nessuno ha mai pensato di controllare i dipendenti di quelle fonderie che lavorano con le microsfere di acciaio inox, per verificare se siano già stati sottoposti al prelievo del dna e quindi che nessuno di loro sia l'assassino. Che oggi, come tre anni fa, resta solo Ignoto 1

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Giorgio Sturlese Tosi

Giornalista. Fiorentino trapiantato a Milano, studi in Giurisprudenza, ex  poliziotto, ex pugile dilettante. Ho collaborato con varie testate (Panorama,  Mediaset, L'Espresso, QN) e scritto due libri per la Rizzoli ("Una vita da  infiltrato" e "In difesa della giustizia", con Piero Luigi Vigna). Nel 2006 mi  hanno assegnato il Premio cronista dell'anno.

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