25 Novembre, diciamo basta alla violenza sulle donne
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25 Novembre, diciamo basta alla violenza sulle donne

Il 25 novembre è la giornata dedicata al ricordo di tutte le vittime di aggressioni da parte dei propri compagni. Che devono finire

Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne e tutti siamo da giorni a dire basta con queste stragi. Siamo ad affermare a gran voce la volontà di debellare un cancro che ogni anno distrugge un’infinità di vite. Un’infinità sì, perché l’uccisione di una donna all’interno di una relazione amorosa è l’uccisione di un’istituzione sulla quale si fonda la nostra civiltà, la famiglia. E perché ogni famiglia, ogni suo membro, è un mondo intero che da quel momento, e per sempre, sanguina.

I figli di quelle donne muoiano dentro, come i padri e le madri, schiacciati da un dolore tremendo. E mentre tutto ciò accade, noi parliamo, ci indigniamo e gridiamo la nostra contrarietà, ma non siamo immuni da un senso d’impotenza che ci assale ogni giorno alla lettura della straripante cronaca nera. Uomini, che pur dicendo di amarle, odiano le donne, non sopportano di vederle libere e indipendenti, soprattutto da loro.

Le maltrattano, le uccidono, poi dicono che non avevano l’intenzione di arrivare a tanto, che il loro amore era profondo, senza comprendere nemmeno il senso profondo di questo sentimento che ci lega uno all’altro. Alla fine l’assassino confessa, ma poi ritratta, e chissà perché tra due versioni è la seconda o la terza quella a cui il sistema giudiziario crede. Una versione che arriva sempre quando intervengono gli avvocati della difesa per muovere i fili dell’assoluzione. 

A cosa serve una legge per reprimere maggiormente la violenza sulle donne o su chicchessia, se poi dall’altra parte svuotiamo di ogni significato l’azione commessa, trovando una giustificazione umana a un atto che di umano non ha nulla, che è disumano in assoluto?

Non basta l’aver firmato la Convezione di Istanbul, va applicata in ogni sua parte. Non basta una legge per il contrasto penale di questo cancro, se nel prevedere l’allontanamento del maltrattante non si prevede un serio controllo sui suoi movimenti successivi, per esempio. Non basta niente, se da una parte si dà e dall’altra si toglie, se la coperta è sempre più corta, se non ci eleviamo guardando questa nostra società dall’alto, per osservare la vera dimensione della violenza umana.

A morire ammazzate non sono solo le donne, ma anche i bambini, gli uomini e per motivi diversissimi tra loro. Sempre assurdi però, futili, banali. E se non comprendiamo che ognuna di queste morti, anche quella delle Vittime della strada, per esempio o della crisi, che quest’anno ha già causato 119 suicidi, devono essere trattate con l’urgenza che merita la tutela delle nostre vite, allora la terra ci restituirà morti innocenti per sempre. Allora siamo tutti colpevoli. E tutti possiamo diventare Vittime.

C’è un’insufficienza culturale, etica, morale da colmare. Noi sottovalutiamo le forme diverse della violenza. Siamo incapaci di coglierla in ogni frangente del nostro vivere quotidiano, dove si muove senza risparmiare nessuno, neanche uno Stato che permette ai pregiudicati di scontare la pena ai domiciliari, liberi di uscire indisturbati per commettere rapine e sgozzare le persone, com’è accaduto il 21 novembre a Blefi, in provincia di Palermo; che permette a chi ha picchiato e minacciato la moglie in presenza dei figli di scontare la pena in quella stessa casa, costringendo lei e i bambini ad allontanarsi; che lascia il pedofilo condannato nello stesso palazzo della sua Vittima, senza alcun rispetto per il suo dolore; che fa sconti miliardari alle concessionarie di slot machine, giochi infernali, tra l’altro, che creano una malattia seria come la ludopatia; che nega aiuti agli imprenditori e ai disoccupati per darli a banche che non li reimmettono sul mercato, ma li utilizzano per speculare; che sottrae soldi dal Fondo di rotazione per la solidarietà alle Vittime della mafia, per impedire, nella sostanza, il rimpatrio dei clandestini. Ovvero di persone che, statistiche alla mano, spesso commettono nel nostro paese reati anche gravissimi.

L’elenco della violenza di Stato è sterminato. Mi fermo qui, aggiungendo che se non è lo Stato, per primo, a riconosce il primato del cittadino e della Vittima sul delinquente; il primato della giustizia sull’illegalità; il primato della sicurezza del cittadino su quello dell’abuso di libertà del colpevole, mettendo i primi su un livello superiore rispetto ai secondi, allora le persone, uomini o donne che siano, continueranno a morire ammazzate o suicidate.
Quali sono il giusto peso e le giuste misure tra i diversi attori sociali, tra gli eventi, le categorie, lo abbiamo perso di vista. Come abbiamo perso di vista il confine netto che separa la libertà dalla prevaricazione.

Allora spero, non posso fare altro che sperare, che ogni giornata nazionale, internazionale o mondiale dedicata alle Vittime di qualsiasi forma di violenza, sia - come dovrebbe esserlo ogni giorno di ogni anno - un momento di riflessione collettiva e attiva sul destino di un paese che, come i fiumi sardi, non ha più argini. Che, come i ponti crollati insieme all’immensità delle vite che si sono portati dietro, è costruito su piloni diseguali, inadatti a sorreggere il peso di una Nazione che ogni giorno vede scomparire i suoi cittadini nel nulla opprimente, verso il quale ci stiamo dirigendo.

@bbenedettelli

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Barbara Benedettelli