Milano Fashion week e la conservazione culturale della moda
(Photo by GABRIEL BOUYS/AFP via Getty Images)
Collezioni

Milano Fashion week e la conservazione culturale della moda

Tessuti di ricerca, alte manifatture, lavorazioni artigianali: il prêt-à-porter italiano raggiunge notevoli livelli di sofisticazione. Sublimando così il nostro saper fare a livello di patrimonio dell’umanità. Ma, nello stesso tempo, rendendo inaccessibile ai più l’acquisto di prodotti griffati.

A fari spenti, e volendo compiere una riflessione più teorica della fashion week milanese, conclusasi il 25 settembre, si potrebbe affermare che le collezioni per la primavera-estate 2024 abbiano messo in atto un’interessante operazione di conservazione culturale. Ovvero si sono adoperate affinché quella sapienza del fare con le mani, legata alla lavorazione dei tessuti, dei ricami, delle pelli venisse sublimata fino al punto da innalzare l’artigianato italiano a livello di patrimonio nazionale, se non addirittura dell’umanità.

Una difesa che non ha nulla di patriottico perché risponde solo a logiche di mercato, come d’altronde è giusto che l’industria della moda faccia. La quale, in questi ultimi mesi, in linea con l’economia italiana, europea e mondiale, sta vivendo un rallentamento dei ricavi e una moltiplicazione di incertezze per il futuro, anche se, bisogna ricordarlo, il fatturato del sistema moda allargato nel 2023 dovrebbe toccare i 103 miliardi, in crescita del 4,5 per cento sul 2022 e con un export pari al più 6 per cento: dati che superano quelli pre-Covid. Detto questo, il gioco si fa serio e se perfino Miuccia Prada, regina del pensiero al potere, ha dichiarato «Non è il momento di fare filosofia», vuol dire che i tempi richiedono una nuova concretezza che aliena proclami, storytelling, battaglie, a favore del prodotto. Sempre più artigianale, di raffinata qualità, di sublime fattura, sostenibile, etico, di ricerca. Di alta gamma, di alto standard. E quindi di alto prezzo. (continua più in basso dopo le gallery)

Corto, cortissimo. Anzi, in mutande

Ferragamo

Gucci

In largo e in lungo

Bally

In trasparenza, ma con candore

Giorgio Armani

Solo così, il prêt-à-porter, ormai iper sofisticato e rivolto soprattutto ai soli mercati internazionali con elevata capacità d’acquisto, può giustificare la sua nuova virata verso la produzione di abiti e accessori sempre meno accessibili alla classe media. Soprattutto quella italiana.

Certo, forse bisognerebbe acquisire una nuova attitudine nel fare shopping: più oculata, meno usa-e-getta, comprando pochi capi a stagione, da tenere nell’armadio per sempre, magari da lasciare in eredità, come avveniva un tempo, quando la durevolezza degli abiti era oggettiva e tangibile. Ma la moda fa leva su desideri e capricci, sulla voglia di apparire sempre in maniera diversa, quindi la tentazione di rivolgersi alle catene del fast fashion anche da parte di chi, in precedenza, poteva permettersi di acquistare vestiti, borse, scarpe griffate, diventa forte e perniciosa.

Aumentare i listini, facendo leva sull’altissima ed esclusiva qualità dell’offerta, è un’arma a doppio taglio: l’aumento dei ricavi non può essere una strategia di lungo respiro. Non giova alla creatività. Non giova alla moda. Che ha dimostrato di poter trasmettere ben altri valori. n

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