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Le difficoltà dell’Università a distanza (che domani non riapre)

Le difficoltà dell’Università a distanza (che domani non riapre)

Domani in molte regioni riaprono le scuole, fino alla prima media. Se sono molti i bambini (e genitori ) felici per questo rientro ci sono milioni di altri studenti costretti alla didattica a distanza (chissà per quanto). Ma se da mesi si parla dei giovani delle scuole superiori poco o niente si dice degli studenti universitari. Che hanno i loro grandi problemi. Con le Università costrette a veri e propri miracoli. Come il Politecnico di Milano


Ne abbiamo parlato con Federico Frattini, il Dean di MIP (School of Business) del Polimi.


Le difficoltà dell’Università a distanza (che domani non riapre)


Durante la pandemia com’è stata la didattica a distanza?

«Siamo stati pronti a reagire alle conseguenze della pandemia perché il tema della didattica digitale lo abbiamo lanciato nel 2014 con Flex. Da allora sono stati formati quasi 600 studenti e siamo tra le poche scuole in Italia ad aver ottenuto la certificazione Eoccs che attesta la qualità dell’erogazione della didattica digitale».

Cosa puoi dirci nel dettaglio della vostra didattica digitale?

«Riassumendo l’approccio, la didattica digitale non significa prendere le lezioni che normalmente sarebbero state fatte in un contesto fisico, attraverso l’applicazione di un canale digitale, ma vuole dire riprogettare il percorso. Un metodo che serve per garantire diversi tipi di apprendimenti e diversi tipologie di competenze, utilizzando strumenti digitali diversi, per finalità pedagogiche diverse. Immaginiamo una lezione fatta in aula da un docente in un contesto pre-covid dove ci saranno tre tipi di approccio: il trasferimento di conoscenze, i casi pratici e le esercitazioni ed infine la socializzazione di queste competenze acquisite con il confronto, lo scambio e il dibattito tra studenti in una classe fisica tradizionale. Noi se dobbiamo assicurare lo stesso livello di apprendimento, lo stesso tipo di competenze acquisite e lo stesso tipo di sensibilità in aula digitale, non possiamo semplicemente mandare in streaming la lezione ma dobbiamo capire che questi tre passi del processo di apprendimento richiedono strumenti digitali ad hoc che vanno Integrati in un esperienza digitale univoca. Se parliamo di trasferire le conoscenze di base, le nozioni, sarà lo studente a dettare il ritmo del suo apprendimento con clip e contenuti multimediali. Il secondo passo, quello di trasformare le conoscenze in competenze lo strumento unico disponibile, è la sessione live dove il docente ricrea in un ambiente digitale, le stesse dinamiche di discussione di lavoro sui casi di studio, che normalmente avremo in un contesto fisico. Ultimo passaggio sulla discussione è il dibattito sugli argomenti che viene fatto con strumenti semi sincroni, quindi i social e i forum di discussione relativi ai temi del corso collegandoli a dei temi di attualità. Noi così dal 2014 abbiamo ricreato un percorso formativo che tutti i test e le certificazioni a cui ci siamo sottoposti ci dicono che è altrettanto efficace di un corso MBA normale».

Quali sono state secondo lei le difficoltà incontrate dagli altri studenti di ordine e grado?

«Mentre la didattica in presenza é entrata nel dna com’è naturale che sia di qualsiasi università o Business School, in altri istituti non è stato così. La didattica digitale non la si improvvisa, quindi credo che tante università, come scuole superiori che sono arrivate con qualche esperienza già alle spalle di didattica digitale siano riuscite a gestire questa transizione in maniera rapida ed efficace, mentre tante scuole che non avevano questa esperienza hanno mandato semplicemente lo streaming della lezione. Ma 4 ore di didattica frontale, in streaming, a degli studenti collegati da casa non possono essere efficaci come l’esperienza che le ho descritto prima. Ci sono persone che decidono deliberatamente di investire risorse di tempo e quindi che hanno una motivazione forte. Invece se la didattica digitale non é scelta ne voluta ma imposta dall’alto come soluzione all’emergenza è diverso. Come secondo problema viene poi la preparazione dell’ente, istituto o Università che è stata molto eterogenea e variabile nelle regioni. Ed infine, anche se in forma minore, tra le difficoltà incontrate da tanti studenti di ordine inferiore c’è stata la mancanza di accesso alla tecnologia per seguire le lezioni».

La didattica digitale improvvisata potrebbe essere causa di qualche deficit formativo?

«In tutti quelli ambiti la didattica digitale é stata affrontata come soluzione ad un emergenza che ci siano dei deficit formativi però maggiori oggettivamente nelle scuole medie e superiori elementari è possibile. Mentre se passiamo all’università siamo stati in grado di limitare enormemente questi deficit. Nella dad digitale si perde la dimensione umana, relazionale e sociale degli apprendimenti che purtroppo è predominante negli ordini inferiori e diventa minore quando arriviamo ad una business School. Credo che ci sia questo deficit, ma non so se si possa recuperare facendo due settimane in più di scuola. Di certo servirebbe portare in sicurezza il sistema sanitario del nostro paese e ricominciare a settembre senza più interruzioni».

Come sarà l’università dopo la pandemia?

«Sarà un’università in cui si tornerà ad riaffrontare il ruolo della lezione in presenza della didattica tutti insieme, perché è una componente da cui non si può prescindere. Io credo che i ragazzi questo lo percepiscano ancora e ne vogliano usufruire però sicuro sarà una didattica e un Università molto più flessibile ed ibrida da un lato e dall’altro sarà data la possibilità agli studenti di migliorare l’esperienza nei campus, nel digitale e all’estero utilizzando gli strumenti digitali perché siamo diventati tutti più propensi e consapevoli di quello che possono dare. In pratica ci sarà un uso più saggio omnicanale del digitale per abilitare le esperienze di formazione».

Il politecnico di Milano nella classifica generale QS World University Rankings si è posizionato 1° in Italia e 137° al mondo oltre ad aver ricevuto un riconoscimento dal Financial Times. Cosa può dirci di questi straordinari risultatI?

«Il Politecnico di Milano ha ricevuto questi riconoscimenti tra i più prestigiosi a livello internazionale che confermano l’ateneo in una posizione di eccellenza. Siamo tra primi 20 atenei al mondo nell’ambito di ingegneria e tecnologia. Se guardiamo poi nello specifico alcune discipline in cui eccelliamo: abbiamo il design dove siamo quinti al mondo e l’architettura che ci attesta tra primi 10. Io nello specifico sono il Dean della Business School e ci occupiamo di formazione post laurea, su temi di management e business administration. Proprio in questo ambito anche noi abbiamo ricevuto recentemente un riconoscimento molto prestigioso dal Financial Times, che ci ha collocati ottavi al mondo, certificando l’eccellenza maturata già da diversi anni sul tema della didattica digitale».

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