Se ci fosse bisogno di un motivo in più, oltre quelli più ovvi, per dire che l’Italia non può sbagliare la sfida dell’approvvigionamento e della distribuzione dei vaccini anti Covid bisognerebbe citare il suo triste primato. Secondo uno studio della John Hopkins University siamo la terza nazione al mondo per letalità del virus, con quattro morti ogni 100 infetti. Dobbiamo quindi chiederci come fornire il vaccino nel modo più rapido ed efficiente possibile alle fasce della popolazione più esposte.
Siamo pronti? Non si può rispondere a questa domanda senza prima comprendere che tipi di vaccini saranno disponibili e come dovranno essere conservati e gestiti. La Commissione Europea ha appena firmato il quinto contratto per l’acquisto di 225 milioni di dosi con la società CureVac, che si va ad aggiungere ai quattro accordi già firmati con AstraZeneca, Sanofi-GSK, Janssen Pharmaceutica NV (parte di Johnson & Johnson) e BioNtech-Pfizer, e al preaccordo con Moderna.
Non si è abbastanza detto chiaramente che questi vaccini, e in particolare i primi due che arriveranno in Italia, quello della Pfizer-BioNtech e quello di Oxford University/Astrazeneca, in realtà non hanno ancora propriamente superato la fase tre, quella fase in cui si confrontano in maniera casuale i soggetti trattati con il vaccino con quelli che hanno avuto un trattamento placebo. Hanno però superato una fase cosiddetta “interim”, cioè una fase intermedia alla fase tre che è prevista nei casi urgenti per poter guadagnare tempo e ottenere un’approvazione rapida anche se provvisoria. Come dire che, non avendo ancora finito la fase tre, data l’urgenza, vengono forniti i dati finora in possesso. Seguiranno aggiornamenti. Quindi, nel tempo, questi vaccini dovranno superare non solo la fase tre, fornendo ulteriori dati alle agenzie regolatorie, ma anche una fase quattro post-autorizzazione e commercializzazione che prevede una valutazione dell’efficacia e la sicurezza del vaccino sul campo, nelle reali condizioni.
In questo momento i dati interim fase tre dicono che il vaccino Pfizer/BioNtech è efficace circa al 95 per cento, non ha effetti avversi gravi, deve essere conservato a circa -75 gradi e sarà disponibile in Italia intorno al 20 gennaio. I dati interim di AstraZeneca saranno invece disponibili fra circa due settimane, limitate quantità del vaccino potranno essere distribuite in Gran Bretagna alla fine di dicembre o inizio di gennaio e quantità più massicce prima di marzo anche negli altri paesi, che dovranno conservarle a temperature trai i – 4 e i -8 gradi centigradi. È importante notare che uno studio di imminente uscita su Lancet suggerisce che gli effetti collaterali del vaccino AstraZeneca sono inferiori in individui anziani, un risultato davvero incoraggiante.
D’altra parte, i dati interim di Moderna dicono che l’efficacia del vaccino è circa del 95 per cento, che resta stabile per 30 giorni tra i 2 e i 8 gradi e che un utilizzo a lungo termine prevede temperature di – 20 gradi per sei mesi.
Gli altri due vaccini sono più indietro nelle sperimentazioni: Janssen Pharmaceutica NV dovrebbe terminare la fase tre nella seconda metà del prossimo anno mentre Sanofi/ GSK la inizierà a dicembre per terminarla prima di Giugno 2021.
Se da una parte sulle percentuali di efficacia potranno esserci correzioni, sulle temperature di conservazione questo non accadrà. Sono infatti dettate dal tipo di vaccino, se a Rna (quello di Pfizer e di Moderna) o a vettore virale (quello dell’ Astra Zeneca), come spiega Antonio Mastino, microbiologo del Cnr-Ift (Istituto di Farmacologia Traslazionale del Consiglio Nazionale delle ricerche): «Il fatto che un vaccino sia a Rna, che è una molecola poco stabile, comporta lo svantaggio di doverlo conservare a parecchi gradi sotto zero. Per il vacci o Pfizer sono circa -80 gradi, Moderna ha fatto di meglio ma è pur vero che la sua conservazione a lungo termine è di -20 gradi. Sono temperature molto inferiori ai vaccini con vettori virali come quello di Astrazeneca che potenzialmente può essere conservato in un congelatore dalle caratteristiche simili a quello che abbiamo nelle nostre case».
È quindi certo che il commissario dell’emergenza Domenico Arcuri dovrà pianificare la distribuzione sulla base di questo parametro certo, quello della temperatura. E sapendo che già nella seconda metà di gennaio dovrà distribuire 1,7 milioni di dosi di vaccini, con probabile richiamo del vaccino dopo 28 giorni.
Che cosa sarà quindi necessario fare?
«Di fatto, non è impossibile né trasportare né conservare materiale biologico a -80 gradi» dice Mastino «per scopi di ricerca nel nostro Paese questo lo si fa già; il problema, però, è, primo, che si dovranno trasportare e conservare quantità molto maggiori di quelle alle quali siamo abituati e, secondo, che non si possono certo utilizzare né i laboratori né i congelatori né i mezzi ora adibiti alla ricerca». Insomma bisognerà trovare ex novo luoghi di stoccaggio e comprare nuovi frigoriferi e congelatori. «Pianificare queste spese non è impossibile» aggiunge Mastino «ma bisogna sapere che occorre trovare le risorse di sana pianta per l’acquisto di mezzi di trasporto e di frigoriferi oltre a quelle necessarie per i servizi di somministrazione e per i dispositivi di protezione».
Il costo?
«Un dato certo è che un congelatore in uso in un laboratorio di ricerca che permette di conservare materiale a -80 gradi costa quasi 10mila».
Un calcolo rozzo dice che se un congelatore da mille dosi costa 20mila euro, visto che occorrono circa duemila apparecchi per contenere due milioni di dosi, allora ci vuole una spesa di circa 40 milioni di euro solo per l’acquisto di congelatori. Da notare che la necessità di una prossimità fisica ai cittadini anziani o disagiati richiede numerosi depositi sul territorio. È anche importante dire che, anche nel caso di vaccini conservabili nel frigorifero di casa, è improbabile che ciascuno di noi possa fare da sé: «data la gravità della situazione, a mio parere dello stoccaggio e la distribuzione dovrà farsene carico lo Stato» dice Mastino . E d’altra parte i medici di famiglia non sono dotati di congelatori per la conservazione di dosi numerose.
La stima dei costi per la conservazione del vaccino appena fatta dà l’idea di quella che è solo una parte dello sforzo economico necessario. Una Comunicazione della Commissione Europea al Parlamento Europeo e al Consiglio del 10 Ottobre 2020 in preparazione alle strategie di vaccinazione dà la misura del resto dello sforzo logistico ed economico. In essa si legge che «gli Stati membri dovrebbero sviluppare ed effettuare esercizi di modellizzazione (ad esempio per la pianificazione della domanda e per gli interventi vaccinali), preferibilmente in un contesto che consenta l’apprendimento e lo scambio di esperienze a livello europeo». Inoltre, la Commissione raccomanda che «gli Stati membri dovrebbero fin d’ora prendere in considerazione nuovi programmi di assunzione e formazione, con il potenziale coinvolgimento di studenti o di personale in pensione», sebbene il Governo parrebbe orientato a usare l’esercito. Si legge poi che siccome «per alcuni vaccini sarà necessario rispettare requisiti specifici in materia di temperatura (fino a -70-80 gradi centigradi) e le diverse caratteristiche dei vaccini si tradurranno probabilmente in differenze nelle dimensioni delle confezioni e in esigenze di trasporto specifiche» allora «gli Stati membri dovrebbero potenziare le catene del freddo, le opzioni di trasporto refrigerato e la capacità di stoccaggio a livello sia periferico sia centrale».
E ancora bisogna considerare il fatto che siccome la fase tre non è veramente finita e la fase quattro dipenderà dalle osservazioni messe in atto dai governi allora questi ultimi dovranno istituire attività rafforzate di monitoraggio della sicurezza, in particolare per i vaccini contro il Covid: «ove opportuno, gli Stati membri saranno invitati a condividere i dati nazionali sulla sorveglianza degli effetti collaterali non previsti con gli altri Stati membri e con le autorità europee. Tali attività mirano a garantire che le nuove informazioni ottenute dopo l’immissione in commercio siano raccolte a livello centrale, individuate e valutate il più rapidamente possibile e che siano adottate tempestivamente misure di regolamentazione adeguate per tutelare i pazienti e la salute pubblica».
La Commissione suggerisce poi ai governi quali debbano essere le categorie prioritarie per la somministrazione: operatori sanitari e delle strutture di assistenza a lungo termine a elevato rischio di contrarre l’infezione e in prima fila nella lotta alla pandemia; persone di età superiore ai 60 anni con elevato rischio di malattia grave; persone vulnerabili a causa di malattie croniche e comorbidità; lavoratori essenziali al di fuori del sistema sanitario; comunità in cui è impossibile osservare il distanziamento; gruppi vulnerabili sotto il profilo socioeconomico.Infine si arriva alla nota dolente: secondo un sondaggio Ipsos, un italiano su sei rifiuterà di farsi vaccinare mettendo a rischio la possibilità di raggiungere un’immunità di gregge.
Il Governo dovrà affrontare quanto prima questo problema cruciale con campagne di comunicazione chiare che favoriscano un’elevata adesione alle vaccinazioni contro la COVID-19. E dovrà prendere decisioni difficili come valutare la possibilità di imporre un obbligo a vaccinarsi o obbligare chi non si vaccina dovrà a contribuire da sé alle spese mediche qualora si ammali di Covid. Insomma, la distribuzione del vaccino è una sfida che fa già tremare i polsi.
