L’economia agricola italiana vale 61 miliardi di euro generati da 600 mila imprese. Ma la politica di settore dell’Unione va in direzione contraria: importazioni da Paesi non controllati, forte impiego della chimica nelle colture, via libera al cibo sintetico e ad alimenti autorizzati da indicatori come il Nutri-score… Così la qualità di quello che mangiamo è ormai una variabile, aumenta lo spreco e, soprattutto tra bambini e ragazzi, cresce l’obesità.
Un bicchere di vino fa male alla salute, gli insetti invece sono un toccasana, i fertilizzanti sono vietati, ma sul glifosato si chiude un occhio; il formaggio è veleno, ma il pollo non pollo creato in provetta ci sfamerà; pescare è contro natura, ma solo se la barca batte bandiera dell’Unione; promuoviamo il biologico, ma è meglio se smettiamo di coltivare. Il grano? Compriamolo all’estero perché i nostri campi devono riposare. Se poi per evitare che sviluppi le «aflatossine» di origine fungina lo hanno bombardato con qualsiasi prodotto, glifosato in testa di cui è massimo produttore la tedesca Bayer, pazienza. Raccontata così l’Europa sembra in preda a una sorta di «strabismo agricolo», alimentare e ambientale.
Più di una volta Paolo De Castro – già ministro agricolo con Romano Prodi -, uno dei più autorevoli esperti che spesso a Strasburgo ha votato in modo difforme dal suo Partito democatico e dal Partito dei socialisti europei, ha bollato come incomprensibile la linea della Commissione von der Leyen e ha faticato le sette camicie per arrivare al nuovo regolamento su Dop e indicazioni geografiche, approvato, dopo un iter quadriennale, due settimane fa. Per l’Italia significa difendere i 19 miliardi della Dop-economy, significa qualificare l’offerta della nostra agroindustria che vale all’export – vino compreso – 61 miliardi di euro messi insieme da almeno 600 mila imprese, al netto del milione e passa di aziende agricole, per un totale di oltre due milioni di occupati. Significa proteggere anche l’economia dei borghi.
Uno studio della Fondazione Symbola rivela che il 94 per cento dei prodotti Dop e Igp si fanno in Paesi al di sotto dei 5 mila abitanti. Sono la valorizzazione massima delle nostre filiere agroalimentari, l’esaltazione della dieta mediterranea. Un valore che però sembra estraneo a Bruxelles. Proprio il nuovo regolamento sulle produzioni a marchio ha reso noto che c’è una spaccatura evidentissima: solo quattro Stati – Italia, Francia, Spagna, Grecia e Portogallo – hanno interesse a tutelare la massima qualità e la massima specificità delle produzioni agricole. De Castro ha dichiarato: «Ogni cosa che noi proponevamo di regolatorio, di tutela, era vista come una rottura di scatole dai Paesi del Nord, a partire dalla Germania». Si è sempre pensato che la virata dell’Europa verso la carne «sintetica», contro la produzione agricola che ha mosso proteste durissime dei coltivatori soprattutto del Nord, fosse la cosiddetta «sindrome Frans Timmermans», che è una sorta di paladino del green. Ma ora che il vicepresidente della Commissione europea ha lasciato il proprio ruolo per candidarsi in Olanda, a Bruxelles si continua ad alimentare l’Eurodieta che ha come primi ingredienti gli slogan ambientalisti e i desiderata delle multinazionali.
Documenti come il Beca (il vademecum anticancro) o il Nutri-score (la famigerata etichetta a semaforo che bocia l’olio d’oliva e promuove gli energy drinks) difendono i cibi chimici e ultraprocessati e mettono sotto accusa la mozzarella o il prosciutto. Dimenticando che nel continente c’è un doppio allarme alimentare: la qualità dei cibi e i valori, l’obesità dilagante e lo spreco di cibo che ha anche un costosissimo impatto ambientale. L’Europa manda in discarica 59 milioni di tonnellate di alimenti pari a 131 chilogrammi a testa per cittadino dell’Unione ogni anno. Gran parte di questo spreco è dovuto alle catene di distribuzione, quelle che comandano a Bruxelles e sono francesi, tedesche e olandesi. Gli italiani dove resiste la bottega di prossimità o il mercatino agricolo sono quelli che sprecano meno: 28 chilogrammi.
Questa Europa è quella che poi ha abolito gli imballaggi da riciclo, e in nome di un malinteso green mette in ginocchio l’Italia, il Paese più virtuoso nel riciclo che ha raggiunto il 73,3 per cento nel 2021, superando l’obiettivo del 70 per cento fissato per il 2030. Si mette a rischio oltre un milione di posti di lavoro abolendo la plastica riciclata di cui l’Italia è leader, ma la giustificazione green non regge. Gli imballaggi alimentari per il riuso, e non da riciclo, comportano un aumento del 180 per cento di emissioni di CO2 e il 240 per cento in più di consumo d’acqua. La sparizione delle confezioni da un chilo e mezzo, delle monoporzioni, della scatoline di fragole o di pomodori a tutto vantaggio della grande distribuzione che venderà più quantità, comporta secondo Coldiretti un aumento di 20 punti dello spreco alimentare. «Siamo di fronte a una sorta di schizofrenia dell’Europa» spiega Riccardo Fargione, direttore della Fondazione Aletheia. «Gli obiettivi del Green deal cozzano con tre necessità inderogabili: alzare la qualità della dieta in termini di salubrità, ridurre lo spreco alimentare, rimettere al centro della produzione l’agricoltura. In Europa e soprattutto in Italia abbiamo un problema molto serio di obesità adolescenziale. Siamo spinti a mangiare cibi iperprocessati, che l’industria propone a livello continentale, siamo orientati per convenienza delle multinazionali della distribuzione a regimi alimentari non consoni».
Aletheia è una Fondazione, presieduta da Stefano Lucchini della Robert Kennedy Human Rights, che mette insieme oltre 30 cattedratici di discipline mediche, giuridiche, economiche, ambientali che arrivano da diversi atenei e che anche con l’apporto di Divulga studia tendenze connesse sia con la salute, l’alimentazione e lo sviluppo agricolo. Aggiunge Fargione: «Abbiamo stimato, avvalendoci dei dati Istat, che è obeso quasi un bambino su otto tra i 7 e gli 8 anni. L’Italia, con una percentuale del 18 per cento, insieme a Spagna e Grecia, mostra i valori più elevati. In particolare al Sud si hanno dati allarmanti: in Campania siamo al 35,8 per cento. Ed è una contraddizione enorme perché noi siamo la patria della dieta mediterranea. Ci siamo interrogati sul perché ciò accade e la risposta è che stiamo abbandonando i nostri regimi alimentari per abbracciare modelli come quello americano dove l’obesità è una piaga sociale. La dieta mediterranea non è fatta solo di alimenti, ma di comportamenti e di questi l’Europa sembra ignara. A Bruxelles procedono per slogan».
Lo studio di Aletheia è alla base di alcuni ragionamenti che il mondo dell’agroalimentare sta portando avanti per opporsi, o per modificare l’Eurodieta. Spiega ancora Fargione: «Incentivare la ricerca sul pollo da replicazione cellulare, che peraltro è l’unica “carne” per ora autorizzata, non ha senso: i polli non inquinano. Così scrivere i protocolli anticancro senza ragionare di porzioni, di metodi di assunzione, di comportamenti ha ancora meno senso. Del pari fare le etichette basate su quantità standard è fuorviante. Il sospetto è che si voglia sottrarre all’agricoltura il compito di produrre il cibo, ma spezzare questo legame vuol dire dare spazio ad alimenti iperprocessati, con molta chimica dentro. E questo è lontanissimo dalla dieta mediterranea. Sappiamo che questa – lo ha spiegato il fisiologo Ancel Keys ormai oltre 60 anni fa – è basata su una piramide alimentare che prevede assunzione di porzioni e non di quantità predefinite, su cibi di stagione, un mix perfetto tra i tre nutrienti, carboidrati, grassi e proteine, ma anche o soprattutto su stile di vita sano. Se però rendi frutta e verdura troppo cari, se non fai educazione alimentare, se non insisti nel promuovere la dieta mediterranea ottieni risultati disastrosi: magari salvi l’ambiente, ma fai ammalare le persone. Se, come afferma Bruxelles, i prodotti li importi da Paesi che non hanno i nostri standard né qualitativi né di sicurezza porti a casa risultati negativi per i singoli e per la comunità. Abbiamo stimato che 900 euro investiti in prevenzione delle malattie cardiovascolari che sono quelle più connesse a una cattiva alimentazione fa risparmiare al servizio sanitario 25 mila euro. La funzione che Aletheia svolge è questa: fare chiarezza su una serie di tematiche che vengono dimenticate. Anche in Europa».
Se ne parlerà e molto a villa Miani a Roma dove, dal 23 novembre, si svolge il XXI Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione organizzato da Coldiretti. Il tema centrale sarà come proteggere la produzione nazionale per sostenere la dieta mediterranea contro la spinta europea all’abbandono di quanto nasce da noi per favorire le importazioni. All’Italia serve produrre di più, visto che importeremo oltre 20 milioni di tonnellate di grano, oltre 600 mila tonnellate di olio d’oliva, oltre quattro milioni di tonnellate tra frutta e verdura, quasi 200 mila tonnellate di pesce, per stare agli alimenti cardine della dieta che di mediterraneo rischia di avere solo il nome e che è – anche grazie all’Europa – sempre meno praticata. n © riproduzione riservata
