Date le infinite liste d’attesa del servizio pubblico, sempre più persone accorciano i tempi facendosi visitare – da quegli stessi medici e in quella stessa struttura – in forma privata. Ma si registrano alti rincari, che rendono la spesa per le prestazioni simile a quella delle cliniche più esclusive. Intanto, per aziende ospedaliere e alcuni medici è una manna.
Chiara vive in Toscana. Tra poco più di un mese partorirà all’ospedale di Careggi, a Firenze. «Fino all’ultimo momento non saprò chi sarà il ginecologo che mi assisterà. Avrei preferito avere vicino la dottoressa che in questi mesi mi ha seguito e lavora in reparto, ma per avere questa garanzia dovrei accedere alla corsia privata. Peccato mi abbiano chiesto ottomila euro». Una cifra importante, le cui voci preminenti sono i compensi dell’équipe medica (6 mila euro) e quelli per l’Azienda ospedaliera di ben 1.943 euro.
«È stata la mia ginecologa, quando ha saputo che non avevo un’assicurazione medica, a dirmi di non procedere». Chiara ha avuto la possibilità di scegliere. Non sono però altrettanto fortunati i migliaia di pazienti italiani obbligati a mettere mani al portafogli per dribblare le drammatiche liste d’attesa che toccano il Servizio sanitario nazionale. L’unica alternativa in questo caso, se non ci si vuole rivolgere al privato, è la strada dell’intramoenia: visite svolte da medici ospedalieri che, al di fuori del normale orario di lavoro, effettuano esami aggiuntivi in regime di «libera professione» all’interno dei vari nosocomi. Il problema, però, è che ormai questa strada non è più così conveniente.
Uno degli ultimi casi è scoppiato a Roma. Davanti a lungaggini fino a 13 mesi per accedere a una prestazione medica con il normale ticket, diventa vitale imboccare la corsia preferenziale delle agende in intramoenia, chiedendo di fissare subito gli appuntamenti con gli specialisti ospedalieri. E la conseguenza naturale, seguendo le spietate leggi di domanda-offerta, è che le tariffe lievitano. Esattamente come accaduto all’ospedale capitolino Sant’Andrea, che ha appena autorizzato una «variazione tariffe attività libero-professionale intramuraria» per circa 300 prestazioni a fronte «delle richieste di variazione e adeguamento presentate dagli interessati». I camici bianchi hanno chiesto una media di rincari tra il 15 e il 20 per cento. Ma c’è anche chi ha ottenuto addirittura la quadruplicazione delle tariffe. Così una visita ortopedica può arrivare a costare, dagli attuali 200-250 euro, fino a mille euro.
Un problema di cui poco si parla, ma che è uno dei principali vulnus del Servizio sanitario italiano. E che non tocca solo la Capitale, ma affligge l’intero Paese. La conseguenza? Farsi seguire dal medesimo specialista dell’ospedale – magari nella speranza di essere agevolati – ma con costi da clinica privata. Se non di più. A rivelare i numeri è una recentissima ricerca di Altroconsumo che ha confrontato i costi di varie possibili visite in 10 città. Scoprendo, per esempio, che per l’ecografia dell’addome completo in media con un ticket si spende 36 euro, nelle strutture private si arriva a 111, in intramoenia a 107 euro circa. Davvero poco in meno rispetto a cliniche che sono fuori dal sistema pubblico, dunque. Anche se la forbice dei costi arriva, consultando i dati raccolti da Altroconsumo e forniti a Panorama dalla stessa associazione, fino a 162 euro.
Le cose non cambiano con altri tipi di esami. Per una gastroscopia il costo indicativo del ticket è, ancora una volta, di 36 euro; per una visita in intramoenia si arriva – sempre in media – a sei volte tanto (218 euro, con una spesa massima addirittura di 385 euro). Clamoroso il caso, ancora, della risonanza magnetica alla colonna vertebrale che, come osserva Altroconsumo, «è tra gli esami più prescritti, non sono moltissime le strutture che la erogano e spesso viene comunque specificato che ci vuole la ricetta del medico». Ebbene, se col ticket si viaggia sui 40 euro, in media con le strutture private siamo sui 215; in intramoenia si arriva a 288 euro. In altre parole, pur con le stesse apparecchiature e facendo capo allo stesso personale (che lavora in questo caso sia nel pubblico sia da libero professionista), si arriva a pagare 10 dieci volte più rispetto al percorso col ticket e più di una clinica privata.
La situazione che viene a crearsi, così facendo, è a dir poco kafkiana: «O si è disposti a spendere fior di quattrini oppure, cosa che capita non di rado, si aspetta che il dolore aumenti, o magari si finge, e si vanno a ingolfare ancora di più i Pronto soccorso: non è un caso che il sovraffollamento continui a essere altissimo» spiega a Panorama Fabio De Iaco, presidente della Simeu (Società italiana della medicina di emergenza-urgenza). «Vista la situazione nei reparti, di fatto i Pronto soccorso restano l’unico baluardo contro la disuguaglianza in sanità: chi non può accedere al privato, clinica o intramoenia che sia, non ha alternative».
Il cortocircuito è limpido. E il dubbio che le aziende sanitarie – proprio perché «aziende» – non facciano più di tanto per frenare tale andazzo è forte se si considera che circa il 60 per cento dei ricavi in intramoenia finisce nelle casse di ospedali e Asl. Non a caso del fenomeno inizia a occuparsi anche la Corte dei conti. La magistratura contabile della Toscana solo poche settimane fa ha osservato che in alcune specialità il rapporto fra le prestazioni in regime di Ssn e quelle private sia totalmente sbilanciato a favore del secondo: il rapporto è 161 a pagamento ogni 100 gratuite negli accertamenti di chirurgia generale, 102 nelle gastroscopie, 136 nelle visite ortopediche e così via.
La legge invece prevede che la libera professione all’interno delle strutture sanitarie pubbliche sia sempre sorvegliata e disciplinata, in particolare «quando una ridotta disponibilità temporanea di prestazioni in regime istituzionale (quindi pubblico, ndr) metta a rischio la garanzia di assicurare al cittadino le prestazioni all’interno dei tempi massimi regionali». Insomma, non si può pensare alla libera professione quando le liste d’attesa nel pubblico strabordano.
La soluzione? È sempre la Corte dei conti a far notare che «il Piano nazionale prevede espressamente che in caso di superamento del rapporto tra l’attività in libera professione e istituzionale sulle prestazioni erogate o di sforamento dei tempi di attesa massimi già individuati dalla Regione, si attui il blocco della libera professione, fatta salva l’esecuzione delle prestazioni già prenotate». Cosa che al momento non è avvenuta. Il risultato? A guadagnarci sono tutti, tranne i pazienti. Ancora una volta, una lettura viene fornita dai dati della Regione Toscana: consultando i bilanci e le retribuzioni dell’Asl Centro, che comprende Firenze, Prato e Pistoia, spunta Franco Blefari, urologo e andrologo di Prato che ha fatturato per libera professione 250 mila euro. Somma che, affiancandosi alla retribuzione pubblica, fa volare i compensi intorno ai 385 mila euro. Segue, restando sul «fronte intramoenia», con 238 mila euro lo stimato ginecologo dell’ospedale fiorentino «Torregalli», Alberto Mattei.
In terza posizione un altro ginecologo, che lavora tra Firenze e Borgo San Lorenzo, Massimo Fabbiani (124 mila euro). Il vero recordman toscano, però, è nell’Asl Nord-ovest che comprende le province di Lucca, Pisa, Livorno e Massa Carrara. Qui sono 16 i primari che incassano più di 100 mila euro. Tra loro il dermatologo Giovanni Bagnoni di Livorno che ne ha guadagnati ben 440 mila. Non male anche considerando che gli incassi sono lordi, non tengono conto delle tasse e di quanto viene versato alle Asl per le spese di gestione delle agende. Ciò lascia intendere quale sia la spesa che il singolo cittadino è «costretto» ad affrontare. E, soprattutto, quale sia il ritorno economico degli ospedali. Enorme. I dati ministeriali, purtroppo, sono aggiornati al 2020 (con un colpevole ritardo, dunque, di due anni) e da questi risulta un decremento rispetto all’anno precedente delle prestazioni intramoenia per via della pandemia.
Ma in realtà, secondo quanto può documentare Panorama che è andato a consultare i bilanci delle più grandi Asl italiane, il ricorso a visite private in strutture pubbliche pare sia tornato a crescere. E tanto. Qualche esempio? A Napoli il bilancio è aggiornato alla previsione 2023: i «ricavi per prestazioni sanitarie» in intramoenia viaggiano sulla cifra di 1,6 milioni (esattamente quanto incassato dall’Asl Centro negli anni scorsi). All’Asl Roma1, una delle aziende più rappresentative della Capitale, nel 2021 risultano incassi per oltre 10 milioni di euro.
Salendo verso il Nord la situazione non cambia. A Bologna, da bilancio di previsione 2022, emergono ricavi per oltre 14 milioni di euro. A Genova (Asl 3 Liguria) si è passati da 3,6 milioni del 2021 ai 4,5 del 2022. A spiccare su tutti però, dalla nostra analisi è ancora una volta una struttura toscana: all’azienda ospedaliero-universitaria «Careggi» di Firenze nel bilancio di previsione 2022 (l’ultimo disponibile) risultano «ricavi per prestazioni sanitarie» in intramoenia pari a ben 21,9 milioni di euro. Più di due volte di quanto incassa l’intera Asl 1 di Roma.