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Tumori, il piano che non c’è

Tumori, il piano che non c’è

Com’è già accaduto disastrosamente per la pandemia, dal 2016 non sono state aggiornate le disposizioni ufficiali contro il cancro. Dal ministero promettono l’adeguamento tra poche settimane. Intanto sono saltati milioni di controlli.


«Sono molto sensibile a questa tematica, per questo mi sono impegnato e farò in modo che il piano sia aggiornato nei tempi previsti, cioè entro maggio». Per raccontare la storia dell’ennesima brutta figura della sanità italiana cominciamo dalla fine, anzi dalla presunta fine. Cioè dalla promessa del sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, identica a quella fatta pochi giorni fa dall’altro sottosegretario, Andrea Costa: il Piano oncologico nazionale sarà pronto entro la fine di maggio, cioè tra poco più di due settimane. Presunta dicevamo, perché le stesse parole vennero pronunciate anche la primavera dell’anno scorso, senza però troppa fortuna.

Brutta figura, si diceva, perché la storia del Pon (cioè, l’insieme di norme che determinano la strategia di diagnosi e cura del cancro in Italia, malattia che è la seconda causa di decessi nel Paese) ricalca per certi versi quella del Piano pandemico, finito anche al centro di un’inchiesta della magistratura. Una strategia, si disse, forse non aggiornata, per alcuni addirittura copiata di anno in anno, e che ci fece trovare impreparati davanti al Covid. Be’, per il Pon le cose più o meno sono andate allo stesso modo.

Quello attualmente in vigore risale al 2013, cui è seguito un rapido aggiornamento nel 2016. Da allora niente. Eppure in questi 10 anni la ricerca ha fatto passi da gigante; progressi che però non rientrano nel Pon, fermo a quella che potremmo definire un’altra «era» scientifica e medica. A spingerci al logico e naturale adeguamento è l’Europa. Nel 2020 Bruxelles prepara un suo documento sul tema. Non ci sono imposizioni od obblighi (questo va precisato) ma gli Stati membri della Ue vengono «invitati» a seguirlo o a realizzarne uno proprio. Richiesta che viene subito accolta da quasi tutti i Paesi, tranne uno: l’Italia.

Passano i mesi e nel marzo 2021 la deputata Elena Carnevali (Pd) con un’interrogazione parlamentare chiede chiarimenti al ministro della Salute, Roberto Speranza. Rapidamente (per una volta) è arrivata la risposta del sottosegretario Costa: «Il 27 aprile 2021» ha dichiarato in aula «è stato istituito un tavolo di lavoro inter istituzionale con il compito di elaborare un documento di pianificazione per la prevenzione oncologica. In coerenza con il piano di intervento europeo si prevede un rafforzato impegno per migliorare l’accesso a diagnosi e trattamenti innovativi del cancro, per valorizzare il ruolo della genomica per la salute pubblica nonché per sostenere le nuove tecnologie la ricerca e l’innovazione. Le iniziative saranno sviluppate in raccordo con le iniziative a livello europeo».

Peccato che però i tempi siano tutt’altro che rapidi. Si aprono diversi tavoli, con diversi interlocutori. Oltre alle direzioni del ministero (programmazione, prevenzione, ricerca), sono presenti i rappresentanti di associazioni e istituzioni – Alleanza contro il cancro, Aifa, Agenas, Iss, della Commissione salute presso la conferenza Regioni/Province autonome e dell’Airtum, l’Associazione italiana registri tumori – oltre che delle Federazioni italiane delle professioni mediche e sanitarie e delle organizzazioni dei pazienti e del volontariato. Una babele di interlocutori che non fa altro che dilatare i tempi di ogni decisione.

«Siamo di sicuro in ritardo rispetto a quello che l’Europa ci ha chiesto» spiega l’oncologo Saverio Cineri, presidente di Aiom, l’Associazione italiana di oncologia medica, «ma si può dire che ormai il documento sia quasi definito in tutte le sue parti. La difficoltà sta nelle complesse problematiche legate all’oncologia che richiedono diversi tavoli specifici che lavorano in contemporanea l’uno con l’altro, e questo fa slittare – diciamo così – la conclusione finale. Esiste, per esempio, un gruppo sulla diagnosi molecolare, importantissimo. Ne esiste uno sulla riorganizzazione degli ospedali. Le tematiche sono molteplici e ognuna richiede un’analisi specifica». Gli altri Paesi, però, sono stati molto più rapidi. Come si spiega la nostra lentezza?

«Mettere d’accordo le mille anime che ruotano attorno al mondo dell’oncologia in Italia è complicato. Serve un “lavoro di cesello” che, ovviamente, richiede i suoi tempi. Va però detta una cosa, che per fortuna la scienza non si ferma, la medicina continua a fare passi avanti. Ecco, nel documento devono confluire tutte queste ultime e nuove indicazioni arrivate dalla ricerca perché i politici possano fare le scelte migliori per combattere questa patologia». Ma i ritardi accumulati hanno influito sulle cure per i malati o sull’attività di prevenzione? «Per fortuna no» aggiunge Cineri. «Il Piano oncologico nazionale da questo punto di vista è fondamentale ma è un corollario rispetto a tutto questo. La medicina segue un suo percorso. Se si parla però di una nuova cura o di una terapia innovativa noi la sottoponiamo all’Aifa, l’Agenzia del farmaco, nella speranza che arrivi una sua approvazione. Questo però deve avvenire nel più rapido tempo possibile mentre in passato ci sono state delle lentezze. E anche su questo esiste un tavolo di lavoro».

Una posizione sulla quale concorda anche il sottosegretario Sileri: «Lo scopo è migliorare l’accesso a diagnosi e trattamenti innovativi del cancro, valorizzare il ruolo della genomica per la salute pubblica, sostenere le nuove tecnologie, la ricerca e l’innovazione. Accanto alle attività di promozione della salute e prevenzione, obiettivo del piano oncologico in via di definizione è promuovere un approccio integrato e multidisciplinare in tutto l’iter diagnostico terapeutico, nelle diverse fasi della malattia, rispettando la centralità della persona. Questo perché il paziente sia inserito in un sistema organizzato, dove ogni livello operativo agisca nell’ambito di un modello a rete che realizzi una presa in carico globale, estesa all’intero percorso dall’ospedale al domicilio».

Restano però alcuni problemi da risolvere, legati principalmente ai ritardi accumulati durante la pandemia. I vari lockdown hanno infatti allontanato centinaia di migliaia di persone dai percorsi di cura o prevenzione. Stando agli ultimi report risulterebbero 3 milioni di esami in meno rispetto al passato che potrebbero esserci costati la mancata identificazione – e possibilità di cure adeguate – di 3 mila casi di cancro all’utero, 3.500 al seno e 9 mila al colon. «Da questo punto di vista» conclude Cineri «dobbiamo recuperare il tempo perso, dobbiamo convocare le persone però non più con la lettera via posta, come succede ancora oggi, che poi si perde e non si sa dove va a finire, ma con strumenti più aggiornati come lo stesso sistema di invito via sms utilizzato per il vaccino contro il Covid». Il cancro corre, la ricerca pure, la speranza è che oggi anche la politica faccia altrettanto.

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