Il decreto Calabria prevede che gli specializzandi possano entrare negli ospedali che sono sotto organico. Ma molte università si oppongono perché «la loro formazione non ne gioverebbe». Eppure sarebbero una risorsa preziosa proprio in un periodo in cui la mancanza di personale è drammatica.
L’ultimo sgambetto dei baroni universitari alla sanità pubblica è impedire che gli specializzandi mettano piede in ospedale. Rettori e direttori di scuole di specializzazione di molte università italiane, nonostante il decreto Calabria (che ha aperto agli iscritti al terzo anno la possibilità di partecipare ai concorsi pubblici ed essere assunti a tempo determinato prima, e indeterminato al conseguimento del titolo), hanno boicottato la scelta legislativa, impedendo migliaia di assunzioni e lasciando le corsie sguarnite.
Tutti gli ospedali ricompresi in una rete formativa di una scuola di specializzazione, stando al decreto, avrebbero potuto contare sui giovani rinforzi. Ma i docenti hanno chiesto espressamente che questo inserimento progressivo venga messa in atto il meno possibile. Le ragioni? «Danneggerebbe la formazione dei giovani medici». Bologna, Siena, Perugia, La Sapienza di Roma, Torino, Catanzaro e Sassari, infischiandosene della normativa, hanno quindi messo per iscritto delle limitazioni. Nei documenti ufficiali che Panorama ha potuto consultare, l’Università di Bologna ha risposto così alla richiesta delle Regioni Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Liguria, che invocavano personale: «Le proposte sono state riscontrate negativamente dal magnifico rettore, nelle more di una compiuta istruttoria in materia». Il rettore di Perugia Maurizio Oliviero ha risposto di suo pugno all’Azienda sanitaria che proponeva contratti: «Non si ritiene opportuno procedere alla sottoscrizione dello specifico accordo tra Regione e Università».
Per l’Università Magna Grecia di Catanzaro, invece, a liquidare la questione è stato il direttore generale Roberto Sigilli: «Si comunica il mancato interesse alla stipula dell’accordo». In altri casi c’è stata qualche apertura. Ma solo per gli ospedali del territorio. A Siena, per esempio, il rettore Roberto Di Pietra ha messo nero su bianco: «Il nostro Ateneo […] non prevede attualmente di stipulare convenzioni con altre Regioni». E il direttore dell’area per l’offerta formativa della Sapienza, Giulietta Capacchione, ha risposto così a un’azienda ospedaliera friulana: «La Sapienza non stipula tale tipologia di accordo con Regioni diverse da quelle in cui insistono le strutture della rete formativa delle proprie scuole di specializzazione».
Un atteggiamento quello delle università che, come dimostra uno studio di Anaoo Assomed, il sindacato dei medici ospedalieri presieduto da Pierino Di Silverio, si pone totalmente in contrasto con le volontà espresse da ben 1.645 futuri medici intervistati, che ritengono l’esperienza sul campo offerta dal decreto Calabria «fruttuosa per il loro percorso formativo». Il flop, numeri alla mano, è stato certificato proprio da Anaoo Assomed: «Secondo i dati ricevuti dalla Direzione generale delle professioni sanitarie e delle risorse umane del Servizio sanitario nazionale, sono circa 2.500 gli specializzandi assunti con il decreto Calabria, a fronte di una platea potenziale di 27 mila specializzandi». Eppure, come evidenzia il sindacato dei medici ospedalieri, «le università non hanno alcun potere discrezionale nell’ostacolare le assunzioni dei medici in formazione specialistica».
Ma i baroni non si sono limitati a boicottare il decreto Calabria. Hanno fatto il bis con un recente emendamento al decreto Bollette che era stato presentato dalla maggioranza, che per intervenire sulla pioggia di soldi spesi per assumere medici delle cooperative a gettone avrebbero voluto impiegare gli specializzandi per 8-12 ore settimanali. Anche in questo caso «niet». Gli atenei sono rimasti sordi rispetto alle esigenze della sanità nazionale e hanno fatto valere tutto il loro peso sulla politica. Risultato? Emendamento bocciato. «Ufficialmente il mondo universitario sostiene che gli specializzandi, visto che non hanno ancora completato il percorso formativo, non siano pronti per lavorare nel Servizio sanitario e che il loro impegno lavorativo influerebbe negativamente sulla loro preparazione» spiega Fabio De Iaco, presidente di Simeu, la Società italiana di Medicina d’emergenza urgenza, che aggiunge: «In realtà gli specializzandi sono una forza lavoro preziosa per i reparti universitari, in cui spesso mandano avanti da soli importanti attività. La sensazione è che l’università continui a guardare da lontano la sanità pubblica che annaspa, senza mettersi in gioco e continuando a contare su prerogative che oggi sono anacronistiche e ingiustificate».
Impedendo anche un risparmio per nulla contenuto. De Iaco fa rapidamente il conto: «Uno specializzando costa circa 40 euro per ogni ora di lavoro, mentre il medico di una cooperativa non meno di 100 euro. E sono cifre che bisogna moltiplicare per decine di migliaia al mese, ovvero per quanti sono i turni affidati ai gettonisti».
