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Medici, eroi sotto accusa

Medici, eroi sotto accusa

Osannati nei primi mesi della pandemia, oggi i medici tornano bersaglio facile di tante (quasi sempre infondate) azioni legali. Contro di loro, dicono i dati, ogni anno in Italia ne vengono intentate oltre 35 mila. E oggi i nostri sanitari corrono un nuovo rischio: le cause per presunti «eventi avversi» dei vaccini Covid.


Uno degli ultimi casi è stato nelle Marche: il medico di base di una giovane professionista era finito a processo con l’accusa di omicidio. Secondo i familiari, comprensibilmente avvolti dal dolore, non avrebbe fatto tutti gli accertamenti del caso per salvare la figlia da un melanoma. Un processo lungo e complicato durato anni, al termine del quale è arrivata l’assoluzione con formula piena: il fatto non sussiste perché il medico aveva predisposto tutti gli accertamenti del caso e la malattia, in ogni caso, non avrebbe lasciato scampo alla vittima.

Pochi giorni prima, invece, l’assoluzione è arrivata per un chirurgo di Cuneo: tutto scaturisce nel 2017 quando un paziente si sottopone a un intervento. Dopo l’operazione, però, l’uomo va immediatamente dalla procura e denuncia il medico per lesioni colpose: a suo dire non avrebbe ricevuto l’adeguato «consenso informato» da parte del chirurgo. Tre anni di inchieste e poi di processo per arrivare alla sentenza di proscioglimento: lo specialista aveva semplicemente fatto il suo dovere.

Eppure resta l’incubo, vissuto da tanti operatori sanitari che finiscono ogni anno nel tritacarne giudiziario, tra cause civili e penali. Perché non c’è di mezzo solo la sfera economica (a partire dalle spese legali e dalle assicurazioni che ogni medico è di fatto costretto a siglare), ma anche quella psicologica.

I numeri rendono l’idea: secondo gli ultimi dati, forniti dall’Associazione chirurghi ospedalieri italiani (Acoi), ogni anno in Italia si aprono 35.600 nuove azioni legali, mentre altre 300 mila giacciono nei tribunali contro medici e strutture sanitarie pubbliche. Nella stragrande maggioranza dei casi, le denunce si traducono in un nulla di fatto: assoluzione nel 70 per cento delle cause civili e addirittura nel 95 in quelle penali.

Un problema che va avanti da tempo immemore senza che qualcosa sia stato davvero fatto. Oggi la questione vive una nuova fase ancora più delicata: il rischio di una causa per l’iniezione di un vaccino. Qualche settimana fa a lanciare un accorato appello al governo e, in primis, al ministro della Salute Roberto Speranza, è stato il segretario della Fnomceo (Federazione nazionale degli Ordini dei Medici chirurghi e degli Odontoiatri), Filippo Anelli: «Serve uno scudo penale per i medici che vaccinano. Non è accettabile che ricadano sulle spalle dei dottori quelli che, anche solo a livello di indagini per escludere una correlazione, sono gli inevitabili rischi di una campagna vaccinale di questa portata, che coinvolgerà tutti i cittadini che lo vorranno» rilancia, interpellato da Panorama. Il paradosso è dunque servito: da un lato gli operatori sanitari vengono candidati al Nobel per la pace, con tanto di plauso collettivo, dall’altra sono abbandonati al loro destino dalle istituzioni, in un momento delicato come quello della campagna vaccinale.

Una situazione inaccettabile anche per Carlo Palermo, segretario dell’Anaao Assomed (il sindacato dei medici dirigenti) che, anzi, allarga la problematica: «Non è solo una questione di vaccini, ma di tutto ciò che rientra nella sfera emergenziale. Durante la pandemia gli operatori sanitari si sono trovati ad affrontare una malattia sconosciuta, non c’erano linee-guida».

Un dettaglio non di poco conto, considerando che la legge che regola la «colpa medica» (la cosiddetta legge Gelli-Bianco del 2017) obbliga il medico a seguire proprio le linee-guida impartite: «Che cosa si può imputare a un operatore sanitario che per mesi ha lavorato in emergenza, senza strumenti adeguati, con personale ridotto e senza linee chiare sul da farsi?» si interroga ancora Palermo. Dubbi legittimi, anche perché da oltre un anno gli operatori sanitari navigano a vista con l’obiettivo di sconfiggere un virus, il Covid-19, che resta tuttora poco conosciuto e subdolo.

Eppure la straordinarietà del momento non ha cambiato le carte in tavola. Anzi: non solo pazienti e familiari di vittime hanno presentato denunce ed esposti contro aziende sanitarie, medici e infermieri, ma anche la stessa magistratura continua ad aprire fascicoli d’inchiesta, spesso sotto l’ombrello dell’«atto dovuto». È accaduto pochi giorni fa a Siracusa: dopo la morte di un militare, vaccinato con il siero di AstraZeneca, la procura ha iscritto nel registro degli indagati il medico e l’infermiere della Marina e il medico in servizio al 118. «Hanno detto che è stato un atto dovuto» ragiona Palermo «ma non avrebbero potuto aprire un fascicolo contro ignoti in attesa di capire se scientificamente esiste un rapporto causa-effetto tra quel vaccino e la morte del militare?».

Quesiti che pongono, oggi più che mai, un tema spesso sottovalutato: oltre al danno psicologico, c’è anche la beffa economica. È ancora l’Acoi a fornire alcune stime relative alla cosiddetta «medicina difensiva», messa in atto per attenuare il rischio di subire una causa, indipendentemente dalla cura. Come? Si fanno tanti (troppi) esami, cure, terapie magari superflue ma che, davanti a una causa, potrebbero «scagionare» il medico. Meglio una Tac in più, per quanto inutile. Ebbene, secondo l’Acoi il costo complessivo di tali prestazioni sanitarie è pari a 12 miliardi l’anno, per l’esattezza 11,87 miliardi nel 2018, per una spesa complessiva pro capite di 1.543 euro l’anno. Oggi, a parte un vago impegno da parte di Speranza, poco è stato fatto. Nonostante che gli appelli per una sorta di scudo penale siano arrivati anche dalla maggioranza. «È assurdo che un medico venga indagato per aver fatto un’iniezione» ha sottolineato il deputato Luca Pastorino di Leu, lo stesso gruppo parlamentare del ministro della Salute. «Ovviamente è legittimo che familiari di pazienti deceduti possano chiedere un risarcimento, ma non si capisce perché si debba affrontare il tema in ambito penale, specie in questa fase» riflette Anelli. La richiesta, in altre parole, è la depenalizzazione della colpa medica a meno che, ovviamente, non ci siano un dolo o una colpa grave. Dunque imperizia, negligenza e imprudenza.

Al momento, però, al di là di qualche tenue annuncio, non c’è ancora una proposta di legge che vada in questo senso. Con tutto quello che ne deriva per il futuro della categoria. L’Anaao Assomed, per dire, poco tempo fa ha effettuato un piccolo sondaggio interno: «Su 2.600 medici intervistati» spiega il segretario Palermo «alla domanda “dove ti vedi una volta finita l’emergenza”, quasi il 50 per cento ha risposto “fuori dal sistema sanitario pubblico”. E questo perché negli ospedali non ci si sente più tutelati».

Un dubbio che arriva fino alle giovani e ai giovani che vogliono intraprendere la strada medica: «Non è un caso» conclude Anelli «che la specializzazione in chirurgia sia diventata la meno opzionata dai ragazzi: per molti il rischio di intraprendere una carriera per la quale ritrovarsi poi sommersi di cause è troppo alto». E, visti i precedenti, difficile dar loro torto.

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