Il dirigente dell’Istituto superiore di sanità Giovanni Rezza è sempre in tv a parlare di coronavirus. E lo fa con un linguaggio talmente familiare da moltiplicare timori e incertezze. Ma, nonostante le sue comparsate, l’Iss è in prima linea contro l’epidemia.
Contro la Covid-19 non c’è ancora un vaccino, in compenso abbiamo già un effetto collaterale. Giovanni Rezza, Gianni per gli amici, parla da settimane da ogni tv e radio e spiega passato, presente e futuro del coronavirus. I titoli non gli mancano, visto che è il responsabile del dipartimento Malattie infettive dell’Istituto superiore di Sanità, ma neppure gli difetta una dialettica decisamente innovativa. Il suo cavallo di battaglia è «vi do una mezza notizia buona e una mezza notizia cattiva».
Ma questa passione per la via di mezzo gli ha fatto anche dire che «come aggressività, con il coronavirus siamo a metà strada tra l’influenza e la Sars». Che è un po’ come rispondere, a una domanda su come va una Mercedes, che è a metà strada tra una Panda e una Ferrari. Eppure Rezza, 65 anni, è diventato un personaggio. Questo nonostante anche il nuovo presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, sia un esperto della materia. Ma Brusaferro, 59 anni, friulano e cattolico, è un tipo schivo e quindi ci tocca Rezza.
Poi, certo, l’Iss esce da un paio di commissariamenti negli ultimi anni, spendeva i tre quarti del budget per il personale ed era pieno di precari, ma è pur sempre un’eccellenza della sanità pubblica, con i suoi 700 ricercatori e le sue competenze su sperimentazione, controllo, consulenza e formazione in materia di salute pubblica. Insomma, è una struttura seria.
Anche l’onnipresente Rezza è uno serio. Ma nel lodevole intento di tranquillizzare sulla Covid-19, e di dire pane al pane e vino al vino, finisce per sembrare il presidente dei panificatori che tiene banco al bar sotto casa. Una carrellata dei suoi proclami tra fine gennaio e oggi fotografa l’annaspare della scienza di fronte al nuovo virus. Il 27 gennaio, intervistato dal Tg2, ammette: «I cinesi hanno fatto fatica a capire, all’inizio, la serietà del problema», ma poi aggiunge che «forse il virus sta correndo meno del previsto».
Due giorni dopo fa il pompiere: «Il numero dei casi stimati in Cina è molto più alto di quelli confermati e la mortalità di 100 persone su un miliardo e mezzo di abitanti è molto bassa». Ma il virus corre e arriva veloce in Italia, dove il primo paziente è del 20 febbraio e una settimana dopo i dati parlavano di 424 contagi e otto morti. Il 13 febbraio, il professore sostiene che «in Italia solo un anziano su due fa il vaccino antinfluenzale per colpa delle fake news sui vaccini». Casualmente, stava partecipando a un simposio di Sanofi Pasteur, colosso farmaceutico francese.
Una settimana prima, le fantomatiche fake news colpiscono lui. Ospite di Omnibus, su La7, l’epidemiologo si lamenta che La Stampa, cui aveva dato un’intervista, avrebbe forzato nel titolo il suo pensiero e smentisce di aver dichiarato che ci sia «rischio zero». «Ho solo detto che aver bloccato i voli con la Cina ha fatto diminuire il rischio» spiega.
Il 22 febbraio, con la gente che svuota i supermercati, si fa più cauto: «Ci aspettiamo altri casi, la priorità è individuare subito i focolai» e non sono da disprezzare «misure di distanziamento sociale» (Ansa Tv). Anche lui si distanzia dal suo ottimismo iniziale. Il 25 febbraio, in conferenza stampa con Angelo Borrelli, capo della Protezione civile, semina paura sul misterioso «paziente zero»: «Non è stato identificato non per negligenza, ma perché questa patologia spesso ha pochi sintomi e quindi questa persona con un po’ di febbre e un po’ di tossetta avrà contagiato delle persone».
Preso atto che con la «tossetta» del vicino siamo nelle mani di Dio, bisogna dire che l’Iss è oggettivamente un punto di riferimento valido per tutte le Asl e le Regioni, oltre che per le aziende che chiedono controlli e certificazioni, specie sui processi produttivi (acque minerali, farmaci). All’Istituto lavorano circa 1.900 persone a tempo indeterminato tra dirigenti, ricercatori (750) e tecnici. Oltre a 150 lavoratori a termine.
Come si ricava dall’ultima relazione dei sindaci, nel 2019 c’è stato un avanzo di gestione di 28 milioni ed entrate per 167 milioni (in massima parte trasferimenti dal ministero). Nel bilancio previsionale 2020, le spese per il personale caleranno leggermente (114 milioni) e peseranno per il 62 per cento delle spese correnti. Negli ultimi anni l’Iss è stato commissariato due volte: nel 2014-2015 e nel primo semestre 2019. In entrambi i casi il commissario è poi diventato direttore, prima Walter Ricciardi e poi, l’estate scorsa, Silvio Brusaferro.
Quest’ultimo è stato scelto dall’ex ministro Giulia Grillo su consiglio del suo capo di gabinetto Guido Carpani, ed è difficile non riconoscergli un tratto umano notevole. I problemi comunque ci sono: l’Iss dovrebbe aumentare gli introiti da consulenze e nell’ultima relazione della Corte dei conti del 20 giugno 2019 (sui conti 2017), i magistrati contabili chiedono «più trasparenza» (oggi le informazioni necessarie sono tutte sul sito internet) e «più coerenza nelle spese e nella ricerca di economie di scala». Oltre a mettere nero su bianco che l’ultimo commissariamento era illegittimo perché c’era tutto il tempo di sostituire Ricciardi.
In ogni caso, a parte Rezza nell’etere, gli italiani ricorderanno l’Iss per il decalogo su come comportarsi con il virus cinese. È semplice e di buon senso, eppure poco ascoltato. Al punto sette si consiglia di usare la mascherina «solo se sospetti di essere malato o assisti persone malate». Al punto nove: «contatta il Numero verde 1500 se hai febbre o tosse e sei tornato dalla Cina da meno di 14 giorni». A ogni ora del giorno e della notte risponde una segreteria telefonica che pare registrata da Corrado Guzzanti quando interpreta Vulvia di Rieducational channel, e che invita a richiamare più tardi. Ci dovremo preoccupare davvero quando comparirà l’invito «citofonare Rezza» (se non è in tv).
