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Il diktat di Ue e Oms che regala un assist al fumo

Il diktat di Ue e Oms che regala un assist al fumo

Nell’imminente conferenza di Panama che traccia gli orientamenti globali sui prodotti del tabacco e della nicotina, l’Organizzazione mondiale della sanità e la Commissione europea vorrebbero equiparare le sigarette elettroniche a quelle tradizionali. Senza tener conto del principio di riduzione del rischio, uno strumento essenziale in molti Paesi per rinunciare alle «bionde».


Panama, il raccordo tra il sud e il centro dell’America, una prateria di spiagge blu, rischia di passare alla storia per due primati nello stesso ambito e tra loro ampiamente contraddittori: la regione nasconde (ma nemmeno troppo) uno dei mercati neri di prodotti da tabacco più sviluppati al mondo, con quasi il 90 per cento delle sigarette in circolazione frutto di traffici illeciti; da quello stesso Stato potrebbe arrivare un duro colpo non solo alle «bionde» vendute legalmente, ma anche alle soluzioni alternative di nuova generazione, come le sigarette elettroniche o il tabacco riscaldato.

È infatti a Panama che a fine novembre si svolgerà la Conferenza delle parti, abbreviata Cop, durante la quale si riuniscono i rappresentanti dei Paesi aderenti alla Convenzione quadro per il controllo del tabacco dell’Organizzazione mondiale della sanità. L’organo, che esiste dal 2003 (l’Italia ha ratificato l’adesione nel 2008), decide obiettivi e strategie per proteggere le generazioni attuali e quelle future dai pericoli del fumo. Le sue conclusioni, in linea di principio, non hanno valore vincolante, ma storicamente hanno rappresentato l’indirizzo e l’ossatura delle norme poi adottate dai singoli Stati su scala globale. Non solo: anche le direttive europee in materia citano esplicitamente, e a più riprese, la convenzione. L’incontro di Panama, stando ai documenti preliminari e in linea con l’orientamento recente dell’Oms circa i prodotti che rilasciano nicotina, tenderebbe a fare di tutta l’erba un fascio: propenderebbe per l’affermazione di un proibizionismo totale, trasversale, che colpisce tanto le classiche sigarette quanto le soluzioni di ultima generazione, inclusi i prodotti che scaldano il tabacco. Il suggerimento dato agli Stati dovrebbe essere quello di regolarli al pari delle sigarette, o perfino di arrivare a vietarne la produzione, la commercializzazione, le importazioni e le esportazioni.

Verrebbe meno così, in maniera perentoria, l’applicazione del principio di riduzione del rischio, che promuove, anziché penalizzarlo, l’uso di alternative meno nocive per i fumatori che non smettono. Una strategia già applicata con successo da nazioni come Regno Unito, Svezia, Norvegia, Giappone e Nuova Zelanda, «che hanno tutte registrato una significativa riduzione della prevalenza del fumo. Anche tra i giovani». A sottolinearlo è Riccardo Polosa, fondatore del Coehar, il Centro di ricerca per la riduzione del danno da fumo dell’università di Catania. In Svezia, per esempio, in dieci anni (2013-2022) i tassi di fumo sono scesi del 50 per cento, in Nuova Zelanda del 48 per cento. «È necessario comprendere che molti fumatori, se non la maggior parte» precisa Polosa «non riescono o non intendono smettere di fumare. E per questi soggetti, soprattutto se affetti da particolari patologie, il passaggio dalla sigaretta convenzionale a strumenti privi di combustione può significare un miglioramento significativo dello stato di salute».

Il professore, assieme a 90 esperti di caratura internazionale provenienti dalla stessa Svezia, la Grecia, il Portogallo, la Polonia e la Germania, è tra i firmatari di una lettera inviata alla commissaria europea per la Salute e la sicurezza alimentare, Stella Kyriakides, in cui si ribadisce l’importanza dell’applicazione del principio di riduzione del rischio nella definizione delle politiche pubbliche di contrasto al fumo. La richiesta, come riassume Polosa, poggia su basi solide: invita a «una review attenta, bilanciata, e trasparente sulle evidenze scientifiche disponibili riguardo ai prodotti senza combustione, a paragone con le sigarette convenzionali, tale da offrire informazioni indispensabili per poter prendere decisioni utili nell’interesse di milioni di fumatori». La letteratura di studi a supporto di tale orientamento, in effetti, è vasta: ci sono le analisi dello stesso Coehar, secondo cui i prodotti senza combustione «offrono una notevole riduzione dell’esposizione/rischio rispetto alle sigarette tradizionali»; le dichiarazioni ufficiali di Public Health England, l’organismo di salute pubblica britannica, che ha riconosciuto alle e-cig un contenuto di livelli di sostanze dannose, o potenzialmente tali, fino al 95 per cento inferiori rispetto alla sigaretta. Evidenze che si estendono all’aiuto che i prodotti di ultima generazione possono fornire per abbandonare le sigarette, come ricordato sia da Nature Medicine, tra le riviste scientifiche più rispettate al mondo, che dall’altrettanto quotato organismo internazionale Cochrane.

Di nuovo, il principio è traducibile in cifre: a farlo è stata la Brunel Business School di Londra con Francesco Moscone, docente presso l’ateneo britannico ed economista all’università Ca’ Foscari di Venezia. Partendo da fonti Istat ed Eurostat, Moscone ha calcolato che, qualora la metà dei fumatori italiani passasse dalle sigarette tradizionali ad alternative senza combustione, il Servizio sanitario nazionale potrebbe risparmiare circa 722 milioni di euro ogni anno in termini di malattie legate al fumo. Un’epidemia che non tende ad arretrare, che a livello globale fa 7 milioni di morti l’anno. Nella Ue i fumatori sono quasi 100 milioni e, per ridurli, una possibilità sempre più concreta è che si vada verso la strada dei divieti totali, senza spiragli di sfumature. A partire da quanto avverrà a Panama, dove, come emerso da alcune indiscrezioni, anche la Commissione europea vorrebbe schierarsi con nettezza contro i prodotti di nuova generazione, negando il principio del rischio ridotto e spingendosi persino più lontano: arrivando a pretendere, con la scusa di fare fronte comune, che ogni decisione presa della Cop possa poi avere automaticamente valore legale, essere trasposta negli atti comunitari estesi a tutti gli Stati membri.

Una sorta di delega in bianco che, di fatto, esautora gli altri organi decisionali dell’Unione stessa, la scienza, l’opinione pubblica. Il tutto in virtù dell’urgenza di risolvere il problema del fumo. Senza discutere le intenzioni, si possono inquadrare le conseguenze che da esse derivano: sempre a Panama, considerata dalla stessa Oms un Paese virtuoso per le sue politiche estremamente rigide contro le sigarette, il contrabbando è arrivato alle stelle, con un aumento dal 60 al 90 per cento sul totale dal 2016 al 2021. Nulla vieta che, imponendo strategie analoghe, lo stesso scenario si possa ripetere altrove.

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