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Fanno bene i cibi pronti del supermercato?

Fanno bene i cibi pronti del supermercato?

Davvero gli alimenti già pronti, e così comodi, che spesso portiamo in tavola sono sconsigliabili? Non sempre, non tutti. E a dirlo sono gli stessi scienziati. A fare male, in ogni caso, sono le convinzioni nutrizioniste inflessibili.


Malsani, nocivi per salute e forma fisica: è così che medici, nutrizionisti ed esperti di salute pubblica hanno per decenni considerato i cibi ultra-processati, cioè quegli alimenti pronti al consumo, tanto comodi da portare in tavola in pochi minuti e tanto amati soprattutto dai bambini, da chi ha poco tempo e da chi non ama mettersi ai fornelli. Parliamo di tutti i piatti che troviamo in vendita surgelati, solo da mettere in forno o nel microonde, ma anche dei prodotti che mangiamo nei fast food, e poi di merendine, snack, fette biscottate, bevande zuccherate, yogurt alla frutta, cereali per la colazione: roba, insomma, che tutti noi compriamo e consumiamo – alzi la mano chi è senza peccato – trattati industrialmente con processi di trasformazione, e che di solito contengono additivi, esaltatori di sapidità, conservanti, grassi idrogenati e zucchero. Tutte cose che non fanno benissimo: gli effetti di un loro consumo eccessivo andrebbero dal sovrappeso e obesità – con tutte le patologie correlate, dal diabete alle malattie cardiache – dall’aumentato rischio di tumori (soprattutto del colon-retto), all’ipertensione.

Ma di recente, durante una conferenza dell’American Society for Nutrition, a Boston, la dottoressa Lauren O’Connor del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) ha avvisato la comunità scientifica che non tutto sembra essere così chiaro e scontato, ed etichettare tutti gli UPF (la sigla di questi prodotti in letteratura scientifica, acronimo di Ultra processed foods) come dannosi, e quindi eliminarli, potrebbe addirittura rendere la nostra dieta più malsana: in uno studio effettuato su 1.140 neonati e bambini statunitensi fra i 6 mesi e i due anni è stato osservato che il 75 per cento dell’apporto di ferro e il 48 per cento dell’apporto di zinco provenivano in media da alimenti considerati ultra-lavorati.

Privarli di questi cibi in nome del «mangiar sano» avrebbe portato alla mancanza di micronutrienti importanti per la salute e la crescita. In un altro studio del 2021, stavolta australiano e condotto su 12 mila adulti, si dimostrava che modulando la dieta e sottraendo dai regimi alimentari gli UPF si otteneva un calo del ferro del 42 per cento e delle fibre del 33. Non solo: anche la Food Standards Agency del Regno Unito ha nello scorso mese di settembre invitato la comunità scientifica, durante una conferenza, a non criminalizzare gli ultra processati. Dove sta, quindi, la verità? Al dibattito « condanna o assoluzione» ha dedicato un lungo articolo, lo scorso ottobre, il settimanale inglese New Scientist citando, tra le voci meno «estremiste», Edith Fesken, nota nutrizionista alla Wageningen University: «Non tutti gli UPF sono uguali. Ci sono anche quelli “buoni”, ossia che hanno un valido standard nutrizionale».

Possiamo quindi acquistare questi super-cibi con il cuore leggero? «Non direi esattamente così» risponde Riccardo Caccialanza, direttore SC Dietetica e Nutrizione Clinica della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia. «Innanzitutto perché stiamo parlando di dati che arrivano da Paesi, come gli Stati Uniti, che riguardo al cibo vivono in un’altra dimensione. Non hanno molte alternative ai prodotti ultra processati, non disponendo tra l’altro di grande disponibilità – anche a prezzi non eccessivi – di alimenti sani come frutta, verdura e pesce. Quindi, se gli togli anche i cibi pronti, vanno incontro a problemi nutrizionali».

A ciò si aggiunga che hanno stili di vita molto diversi, sono popolazioni che non hanno l’abitudine, per esempio, di condire pasta e riso con alimenti naturali: «Premesso questo» continua Caccialanza «occorre equilibrio, e fermo restando che sarebbe meglio prepararci i pasti in casa, sappiamo bene che nel mondo reale non è sempre possibile. Occhio a criminalizzare indistintamente tutti i cibi ultra processati e fare i talebani dell’alimentazione sana, lanciando ogni volta una caccia alle streghe: non è una buona idea nemmeno passare da un eccesso all’altro». Già, perché mentre le classificazioni ufficiali, come per esempio il sistema NOVA, tendono a classificarli tutti come dannosi, ci sono cibi ultra lavorati che possono fare bene: «Basti pensare agli yogurt alla frutta, o ai latti vegetali integrati con la vitamina D o il calcio» afferma Nadia Cerutti, direttore dell’UOSD di Medicina a indirizzo dietologico dell’ASST di Pavia. «Sono prodotti sani, e acquisiscono un importante valore nutrizionale che non avrebbero se non fossero addizionati. Così come non possiamo colpevolizzare i cereali, magari integrali, che consumiamo a colazione o i biscotti a basso contenuto di zuccheri. L’importante è tenersi il più possibile lontani dai piatti con troppo sale, troppi additivi o che devono essere scaldati eccessivamente: il calore altera il contenuto e la struttura delle vitamine. Inoltre può portare allo sviluppo di sostanze nocive come l’acrilamide».

Insomma, niente atteggiamenti estremisti ma attenzione a etichette, ingredienti e modalità di preparazione. E bando ai sensi di inadeguatezza che spesso vorrebbero farci venire gli estremisti del vegetariano/vegano, perché non è tutto oro quel che luccica. Nessuno degli appartenenti a queste «élite» ha un vantaggio dimostrato in termini di sopravvivenza o miglior salute. «Il vegano è più a rischio carenze di chi mangia di tutto» spiega ancora Caccialanza. «Se non vuole limitarsi a legumi e poco altro, deve necessariamente consumare molti ultra-processati come hamburger di soia o “formaggi” vegetali. Inoltre, per quanto riguarda gli UPF, non esistono studi che li correlino direttamente a un aumentato rischio di tumori, se non per il legame tra carni rosse ultra-processate e cancro al colon. Per gli altri alimenti lavorati, non esistono evidenze scientifiche: anche se uno studio uscito su Lancet nel marzo di quest’anno suggerisce la possibilità di ridurre l’incidenza di alcuni tipi di tumori sostituendo il 10 per cento di UPF con alimenti naturali o minimamente lavorati».

Certo, ci sono poi indagini osservazionali (che non stabiliscono quindi un rapporto causa-effetto diretto ma si limitano a descrivere un fenomeno) che mostrano come nelle popolazioni con problemi di gestione del tempo da dedicare alla cucina e soprattutto di gestione del portafoglio, più portate quindi al consumo di ultra-processati economici piuttosto che ad alimenti di qualità da cucinare a casa, c’è un maggior rischio di obesità e di malattie metaboliche: ma dimostrare la «colpa» non si può, e non si potrà nemmeno nei prossimi anni, anche perché non sarebbe fattibile costringere le persone a cibarsi esclusivamente di UPF per arrivare a qualche risultato. Per adesso, nel dubbio, usiamo il buonsenso. E se ci va un hamburger al fast-food con le patatite fritte, ogni tanto possiamo concedercelo senza sentirci in colpa con noi stessi.

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