Dunque Cesare Prandelli resterà alla guida della nazionale fino al 2016. Applausi, bene, bravo e anche bis. Un po’ meno rispetto a quanto era stato lasciato filtrare un mese fa – quando a Cesare era improvvisamente tornata la voglia d’azzurro -, ma il dettaglio del biennale al posto del quadriennale è spiegabile con la scadenza del mandato da presidente di Abete. Un ombrello comodo comodo sotto cui Prandelli si può riparare evitando, così, di dover giustificare l’accorciamento di un impegno che era stato venduto come pietra miliare della rifondazione del calcio italiano e, invece, colloca il nostro ct nella condizione di chi dovrà badare subito al sodo, garantire la (facilissima) qualificazione ad Euro 2016 per poi discutere del biennio successivo.
Messa così parrebbe che Prandelli sia la vittima incolpevole di un ‘rinnovicchio’ che, invece, contiene un altro dettaglio non trascurabile e che smentisce in maniera inequivocabile qualsiasi volontà di progretto a lungo termine. La clausola per rispondere alla corte di un club in qualsiasi momento rappresenta una novità per l’Italia. Serve a Prandelli per tenersi sul mercato, come ha fatto in questi mesi nella convizione di potersi sedere su una panchina prestigiosa, senza doverlo fare in un momento in cui tutte le soluzioni gradite sono occupate o in via di definizione.
La nazionale usata come un taxi verso nuove destinazioni. Per carità, va bene anche questo (soprattutto se il Mondiale confermerà i buoni risultati di Euro 2012), basta ch sia detto con chiarezza e non presentato come la sfida di un uomo che si mette in gioco per cambiare cattive abitudini e stili di vita del nostro calcio. Abete ha scelto la strada più comoda, Prandelli pure. Avanti col progetto. a tempo più che mai determinato.
