​Nina Zilli
Andrea Lamberti
Musica

Nina Zilli: «Ora canto gli anni ’60»

La cantante racconta la svolta «oldies» del suo ultimo disco Munsta che si candida a essere la colonna sonora dell’estate. A Panorama rivela molti aneddoti della sua vita: dagli esordi in provincia al debutto a Sanremo e all’Eurovision. «Se sono famosa lo devo a Ferzan Özpetek che ha scelto la mia canzone 50 mila per film Mine vaganti. E alla Playstation: due miei brani accompagnano un videogioco».

La musica ha un potere misterioso e straordinario, cura l’anima ed è uno strizzacervelli che non ti chiede la parcella quando finisce la canzone» racconta Nina Zilli, prima di entrare nelle pieghe del suo recente singolo, uno dei brani che ci accompagnerà in quest’estate. «Munsta è un’onda surf, avevo voglia di un sound 60’s vitale ed energico, così mi sono ispirata alla leggendaria colonna sonora di una serie tv americana, The Munster». Un format di successo, una situation comedy a tinte horror che a metà anni Sessanta rivaleggiava negli ascolti con la Famiglia Addams.

Che la musica fosse il suo destino Nina Zilli lo aveva intuito quando, a soli cinque anni, stava incollata davanti alla tv durante il Festival di Sanremo. «Guardavo i cantanti e indicavo con il dito il palco, come se volessi dire quello è il posto dove voglio andare. Alla fine ce l’ho fatta, la musica è diventata la mia vita. La prima volta davanti ad un pubblico? A parte i saggi al Conservatorio, ho debuttato accompagnata da due amici all’inaugurazione di un negozio di prodotti equo-solidali nel centro di Piacenza. Peccato che all’appello mancasse il batterista, andato in vacanza. A pensarci bene non c’era nemmeno il palco, ci siamo esibiti con i piedi sul pavimento…».

Musica ma non solo: nel suo curriculum ci sono un romanzo (L’ultimo di sette, Rizzoli) e una graphic novel, Dream City, viaggio onirico in una città di fantasia dove si mangiano nuvole e si nuota nell’aria. E dove le illustrazioni si intersecano con la musica. «È un concept dedicato alle amazzoni metropolitane di questo tempo, donne che non hanno un minuto libero, se la sanno cavare a sole e non stanno a casa ad aspettare il principe azzurro» racconta. «La noia della mia vita da figlia unica mi ha regalato tante ore in cui non sapevo che cosa fare a parte vedere gli amici e studiare il pianoforte. Così fin da bambina ho iniziato a disegnare, a colorare. Mi ispiravano le tinte della Val Trebbia che avevo davanti agli occhi tutti i giorni. Quanto al romanzo non credo che avrei mai trovato il tempo di concluderlo, ma gli ultimi due anni di pandemia e lockdown hanno stravolto i tempi della vita professionale».

Vivere di musica e palcoscenici è un traguardo ambito da molti, ma che solo in pochi raggiungono. La salita è dura, come cantava Gianni Morandi in Uno su mille, ma poi arriva quel momento, che a volte ha anche il sapore di una rivincita. «Proprio l’altro giorno riflettevo su una serie di fotografie dei tempi dell’asilo. Piangevo sempre in quelle immagini scattate nel giorno della recita. Piangevo perché non avevo un ruolo, ero relegata in fondo all’aula da sola. Riguardando quegli scatti mi sono detta che forse alla base di ciò che è poi successo nella mia vita c’è stato il desiderio fortissimo di riprendermi il palco che mi era stato negato da bambina. Non sarà un caso se quando sono in scena mi sento sempre felice ed appagata» sottolinea.

«Certo, sul palco ne succedono delle belle: la prima volta al Teatro Ariston, durante le serate del Festival di Sanremo, feci uno scivolone memorabile con un lungo abito a strascico. Rimasi in piedi per miracolo, ma arrivai davanti al fatidico microfono paonazza e con le gocce di sudore che mi scendevano dalle tempie. Antonella Clerici mi accolse con un “Sei pronta?” La mia risposta fu “No!”. In un’altra occasione, a Termoli, mi slogai malamente una caviglia. Ho finito il tour con le stampelle e poi con il bastone, ma non ho mai saltato una data. Per ora sono riuscita a evitare i cosiddetti buchi neri dei teatri davanti al palcoscenico. Conoscendomi, potrebbe però succedere…».

Ci sono il soul di Otis Redding e Amy Winehouse, l’ispirazione jazz di Nina Simone nelle sfumature della voce di Nina, la cantante italiana più ascoltata in Turchia dove peraltro si è esibita più volte dal vivo. «Credo che dietro a questa popolarità ci sia lo zampino di Ferzan Özpetek (il suo brano 50 mila è stato utilizzato per la colonna sonora del film Mine vaganti, ndr). Al grande successo fuori dall’Italia ha anche contribuito il fatto che due miei pezzi siano stati utilizzati a livello mondiale come colonna sonora della Playstation. Ecco, adesso, dopo due anni di blocco totale, sarebbe bello andare a suonare in giro per il mondo» spiega. «Quando ho partecipato all’Eurovision nel 2012 i tempi non erano ancora maturi. Oggi la globalizzazione e la diffusione della musica in digitale attraverso le piattaforme streaming sono un’occasione formidabile per gli artisti italiani che hanno per la prima volta chance di essere ascoltati in tutto il mondo. È un cambio di prospettiva epocale…».

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Gianni Poglio