Mogol: «Dietro ogni mia canzone c’è una storia»
Mogol (Ansa)
Musica

Mogol: «Dietro ogni mia canzone c’è una storia»

«Emozioni l’ho pensata mentre andavo in vacanza con moglie e figli alla guida della mia 500 Giardinetta». Mogol racconta, in anteprima a Panorama, come sono nate le parole dei brani immortali che ha scritto per Lucio Battisti, Bobby Solo, Adriano Celentano... Aneddoti che ha anche raccolto in un libro antologico.

Si sono la storia e il Dna degli italiani nei sessant’anni di testi firmati Mogol. Strofe e refrain che sono cronaca di vita (principalmente la sua), ma anche il marchio indelebile di centinaia di hit diventate pilastri della cultura popolare. Raggiungiamo «il poeta» al telefono fisso della sua casa in Umbria dove ha sede il Cet, la scuola di alta formazione musicale che ha fondato. E come antipasto della conversazione gli ricordiamo che gli oltre mille brani con le sue parole hanno venduto 500 milioni di dischi nel mondo… «Ho iniziato traducendo brani di artisti internazionali in italiano. Come Ballad of a thin man di Bob Dylan. Aveva un testo incomprensibile così ne scrissi uno mio. Ci incontrammo a Londra e mi disse che avrei dovuto rimanere fedele all’originale. Peccato che il senso del testo della canzone non fosse così chiaro nemmeno a lui che l’aveva composto...» spiega divertito.

«Se parliamo di brani originali, l’unico segreto del mio lavoro è comprendere che il testo è già contenuto nella musica. La metrica e gli accenti delle parole vivono nella versione strumentale di una canzone. Che va vestita di parole, quelle che la musica suggerisce. A volte mi bastano una manciata di minuti» ricorda a poche settimane dall’uscita del libro Oltre le parole (Minerva), a cura di Clemente J. Mimun e Vittoria Frontini con la prefazione di Vincenzo Mollica. Un’antologia per entrare nelle pieghe di sessanta dei suoi successi. Stessa spiaggia stesso mare, Emozioni, Una lacrima sul viso...

«Fu mio padre che lavorava nelle edizioni musicali a chiedermi un testo per la canzone di Bobby Solo. Beh, mi dimenticai completamente di scriverlo e quando Solo si presentò a casa mia, finsi di aver perso gli appunti. Ci mettemmo in macchina per raggiungere la sala d’incisione: lui cantava la canzone in finto inglese e io in tempo reale inventavo le parole in italiano facendogli credere che pian piano stessero affiorando alla memoria i versi che avevo buttato giù sul famoso foglio perduto. Alla fine, gli ho detto la verità...» racconta immergendosi nella costellazione di aneddoti e ricordi che si cela dietro ogni canzone.

«I giardini di marzo è un’istantanea della mia infanzia in Via Clericetti, a Lambrate, un quartiere della periferia di Milano. Ogni due settimane passava il carretto dei gelati, ma a casa mia, il 21 del mese, i soldi erano già finiti... Allora, c’era una distesa di orti intorno alle case e noi bambini, dopo aver fatto un buco nella rete, andavamo a prenderci qualche frutto senza chiedere il permesso. A 10 anni provai la prima vera attrazione per l’altro sesso. Merito di una signora di 21 anni che quando stendeva il bucato si metteva in punta di piedi lasciando un po’ più scoperte le gambe...» ricorda, a proposito di uno dei capolavori realizzati con Lucio Battisti.

Con Yasser Arafat (Minerva)

Capolavori fatti di parole scolpite nella memoria collettiva. Parole semplici e dirette, ma anche straordinariamente desuete come «uggiosa» presente in Una giornata uggiosa, l’ultimo grande successo del duo pubblicato nel 1980. «I miei genitori utilizzavano spesso quel termine per descrivere gli inverni lombardi. La donna di cui parlo nelle strofe è una signora sposata con cui ebbi una relazione iniziata dopo una telefonata in cui mi rivelava di avere le prove dei tradimenti del marito. Ma il testo non parla solo di questo. Quando dico: “Sogno gente giusta che rifiuta di essere preda di facili entusiasmi e ideologie alla moda” mi riferisco agli anni di piombo, alle Brigate rosse. A quel tempo ci voleva poco a essere etichettato come fascista e prendere posizione era molto, molto rischioso» sottolinea.

«Devo dire che sono abituato a sfidare la morte. Soprattutto in mare, ne ho combinate davvero di tutti i colori. Una volta, in Sardegna, rischiai di annegare alla fine di un’immersione. Il tizio che doveva assistermi durante la risalita se n’era andato perché aveva visto a riva che la ragazza che voleva sedurre stava parlando con un marinaio... Sono riemerso abbandonato in mezzo al mare, da solo e imbragato: mi ha salvato un signore a bordo di un canotto che passava di lì per caso. Per attirare la sua attenzione gli urlai “cretino”, perché in un primo momento lo avevo scambiato per quello che se n’era andato».

Seduto sul tappeto di casa con Battisti al mattino dopo un buon caffè: così sono nati i testi dei classici. «Lucio stava sul divano con la chitarra e mi faceva sentire quel che aveva composto. Si presentava ogni giorno con otto-dieci pezzi nuovi» racconta prima di aggiungere altri dettagli sulla genesi dei suoi successi.

«L’arcobaleno di Adriano Celentano ha una storia incredibile: tutto iniziò con la telefonata di una medium, sosteneva di essere stata “contattata” da Lucio che le avrebbe detto di chiedermi di scrivere un pezzo intitolato L’arcobaleno. Alla fine, su una musica di Gianni Bella, scrissi il testo del pezzo mentre ero in auto con la mia compagna. Una settimana dopo, sempre mentre guidavo, si mise a piovere e il fascio di luce di un arcobaleno passò sul cofano della mia auto. Rimasi senza parole» ricorda.

Ad arricchire il capitolo dei capolavori nati su quattro ruote c’è poi il caso Emozioni: «Avevo trovato le parole giuste per la prima parte del brano, ma a un certo punto venne il momento di mettermi in viaggio con mia moglie e i bambini su una 500 Giardinetta. Così, senza poter ascoltare la musica e senza un foglio per scrivere, inventai tutta la seconda parte andando a memoria. Uno sforzo epocale... Non appena arrivati a casa dei suoceri mi lanciai sul letto con carta e penna. Anche E penso a te è figlia di un viaggio in auto sulla Milano-Como. Battisti, seduto a fianco del guidatore, suonava la chitarra e io dietro a scrivere freneticamente. Fu un lampo: in venti minuti la canzone era fatta e finita».

I più letti

avatar-icon

Gianni Poglio