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Rivoluzione black e, presto, anche verde

Rivoluzione black e, presto, anche verde

Uber festeggia i 10 anni dal debutto in Italia e, dopo aver cambiato le regole della mobilità tramite la tecnologia e aver allargato l’offerta alle consegne a casa, a bici e monopattini, punta a diventare a emissioni zero entro il 2030.


Nessun centralino da chiamare che poi è occupato, oppure non risponde e se lo fa mette in attesa per una mezza eternità. Nemmeno l’incertezza di sapere il proprio autista dov’è, chissà quando arriva, magari non ci trova e allora che si fa. Richiedere una macchina a qualunque indirizzo tramite un’applicazione, conoscere in anticipo la cifra da pagare o almeno una sua stima ragionevole, scoprire se occorre affrettarsi verso la porta o si può tergiversare qualche minuto ancora, sono tutte abitudini che oramai diamo per scontate, anzi ci stupiamo se non sono offerte. Erano avanguardia nel marzo 2013, quando Uber è sbarcato nel nostro Paese con il servizio «Black», che ha reso intuitivo e veloce avere a disposizione una vettura con conducente per andare in stazione o in aeroporto, raggiungere un ristorante come tornare da una festa, con un po’ di stile e un tocco di lusso su ruote. Da quel momento, è bastato scaricare una app.

Al debutto, con il suo arrivo a Milano dalla California (poco dopo è toccato a Roma), Uber ha scosso dal torpore un settore, quello della mobilità, che era congelato, analogico, fin troppo adagiato su sé stesso. Tra proteste e malumori, l’ha convinto a evolversi, per il beneficio di tutti gli utenti: oggi, il suo modello è l’architrave funzionale delle principali applicazioni per trovare un taxi. Il numero di corse in questi 10 anni in Italia ha raggiunto quota 13 milioni, i passeggeri saliti a bordo almeno una volta grazie alla piattaforma sono stati 3,6 milioni, le aree coperte si sono arricchite, si sono aggiunti la consegna del cibo (in 70 centri), i monopattini, le biciclette. «Vogliamo essere il sistema operativo delle città, il modo più comodo per andare da un punto all’altro o per ricevere ciò che si desidera a domicilio. Ci siamo allargati alla spesa, non ci fermeremo in quanto a categorie merceologiche» riassume e anticipa Lorenzo Pireddu, il general manager di Uber per l’Italia, che ripercorrendo con Panorama le tappe principali di questi due lustri non si tira indietro di fronte agli argomenti più controversi legati all’azienda.

Pireddu, senza eufemismi, definisce «un errore» la mossa di portare nel nostro Paese il format americano nella sua versione più spinta: era il 2014, il servizio si chiamava «Uber Pop», permetteva a cittadini comuni senza licenza d’improvvisarsi tassisti e trasportare sconosciuti paganti, come avviene di norma negli Stati Uniti. Nel 2015, Uber Pop è stato chiuso per ordine del Tribunale: «Ha contribuito a creare l’ambiente ostile verso Uber in Italia. Per questo motivo, non verrà rilanciato in futuro» afferma netto Pireddu, a cui è riuscita una manovra diplomatica sui cui pochissimi, un tempo, avrebbero scommesso: l’anno scorso ha siglato un accordo con It Taxi, il più grande consorzio di cooperative e radiotaxi tricolore. Così, a Milano, Roma e Napoli si può chiedere un’auto bianca tramite Uber. L’ascia di guerra, forse, è seppellita.

L’innovazione tecnologica è stata il motore principale della crescita: «Penso al tracciamento in tempo reale della corsa, al sistema di anonimizzazione per mettere in contatto autisti e passeggeri senza scambio di dati personali o alla possibilità di conducente e passeggero di valutarsi a vicenda a fine corsa, il che stimola un comportamento rispettoso reciproco. Siamo una community, un social network con interazioni reali, che non si limitano a uno schermo». In questa decade in Italia non sono mancati record e curiosità, testimoniati dai numeri: un utente avido di chilometri si è fatto accompagnare da Milano fino a Parigi, il più fedele ha accumulato 2.830 corse, il più generoso ha lasciato una mancia da 75 euro. Quanto agli autisti, uno ha raggiunto 17.600 corse a 5 stelle, un altro ha accumulato mance per 10 mila euro.

Guardando al futuro, c’è un obiettivo ambizioso che ha come orizzonte il 2030: «Vogliamo diventare a emissioni zero in vari Stati in cui operiamo, Italia inclusa» spiega Pireddu, che non parla dell’impatto ambientale degli uffici, ma di tutte le macchine circolanti. «Dobbiamo incoraggiare il passaggio all’elettrico tra le vetture che sono già o saranno affiliate alla nostra piattaforma. Non è un traguardo semplice, però pensiamo di riuscirci». Un buon incentivo per la virata verde di Uber potrebbe arrivare dagli utenti stessi: «È nostra intenzione portare anche nel nostro Paese l’opzione Green, che consente di farsi venire a prendere da una vettura ibrida o elettrica». La voglia crescente di sostenibilità sarà il motore strategico della transizione.

In questi dieci anni, in generale, la piattaforma ha privilegiato un approccio pragmatico, cercando di semplificare le complessità. Ha introdotto la traduzione automatica delle chat, così passeggero e autista possono intendersi comunque se parlano lingue diverse; ha perfezionato il prezzo dinamico, le tariffe modulate in base alla domanda e all’offerta di vetture in ogni momento. Un domani, potrebbe persino svolazzare sopra il traffico: la partita è quella degli elicotteri elettrici che collegheranno gli aeroporti con i centri cittadini e viceversa. Le prime sperimentazioni sono in corso: «La nostra ambizione» conferma Pireddu «è quella di esserci. Contiamo di affidarci alle economie di scala della nostra tecnologia e dei prodotti che abbiamo sviluppato in altri mercati». All’estero Uber ha già fornito trasporti su barche ed elicotteri, dimostrando che la strada è solo un punto di partenza.

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