Ezio Rivella: «Continuiamo a investire e lavorare senza mai fermarci»
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Ezio Rivella: «Continuiamo a investire e lavorare senza mai fermarci»

Insieme al Prof. Andrea Mazzoni, noto consulente di aziende vinicole in Toscana, ho avuto l'onore ed il piacere di intervistare il Cavaliere del Lavoro Ezio Rivella, già presidente degli enologi mondiali, uno degli uomini più autorevoli ed influenti nel mondo del vino dagli anni Settanta, persona di grande lungimiranza e visione del mercato, che è stato protagonista dell'epoca più importante della storia del vino italiano.

Cav. Lei ha ricoperto vari ruoli e tutti con successo: professionista, manager, imprenditore e uomo delle istituzioni e della Stampa! Quanto ha influito in tutto questo la sua formazione di ufficiale degli Alpini e di insegnante presso la Scuola Enologica di Alba?

«Ho sempre pensato che i due anni spesi nella vita militare siano stati utilissimi dal punto di vista formativo. Lì ho perfezionato l'arte del comandare e imparato come ci si rapporta con i collaboratori e con il prossimo. I giovani si sa, sono sempre un po' presuntuosi! Bellissimo ed utilissimo il periodo passato alla Scuola Enologica. Ho approfondito materie di tecnica enologica, che mi hanno aiutato nei primi esperimenti di applicazione pratica. Lì ho fatto amicizia con illustri docenti (voglio ricordare, fra tutti Wainer Salati, impareggiabile professore di Chimica) e con molti allievi, futuri enologi, che poi ho ripescato per potenziare l'Assoenologi».

Quale è stato fra questi, il ruolo che Le ha permesso di esprimersi al meglio e che Le ha dato maggiore soddisfazione?

«La soddisfazione si ottiene quando si riesce a realizzare ciò a cui si aspira. L'incarico alla Scuola Enologica era molto prestigioso e mi ha consentito di acquisire la direzione tecnica della più importante Cantina Sociale dei Castelli Romani. È stato il mio primo grande successo manageriale. Ho prima risolto i complessi problemi microbiologici di questi vini, perfezionando la tecnologia dell'imbottigliamento a caldo, che mi ha dato notorietà a livello nazionale, ed ha avuto molto seguito. Ho imparato anche che nessun vino può avere successo economico se non si vende. Ragioni per cui io, tecnico fino al midollo, ho dovuto cimentarmi approfonditamente nei problemi della commercializzazione, con notevole successo. È stata una grande esperienza».

Secondo alcuni l'Associazione Enologi Italiani dopo di Lei è apparsa un po' appannata ed un po' impacciata. Perché?

«Non credo che si possa dire questo: certo, nella vita di un sodalizio ci possono essere alti e bassi. Certo, il periodo formativo è stato più avvincente ed impegnativo. Io sono stato nominato nel Consiglio dell'AEI fin dal 1959, ma allora questo centenario sodalizio si era ridotto, a causa della guerra, ad un gruppo benemerito di amici che si incontravano una volta all'anno con fini sopratutto goliardici. Il peso, nel settore, dipendeva solo dal valore dei singoli personaggi.

Quando sono stato nominato Presidente, nel 1975, ho impostato un programma per rendere l'Associazione autonoma, con un proprio bilancio, non asservito a speculatori, con regole chiare, una propria struttura ed un direttore a tempo pieno, che è stato prima Vittorio Fiore e poi Giuseppe Martelli, da me allevato nel culto della gestione aziendale, promuovendo iniziative atte a fornire reddito.

Il successo più eclatante, che ha dato popolarità e peso all'Assoenologi, è stato certamente l'annuale Congresso Nazionale, passato in pochi anni a principale manifestazione del settore, con partecipazione di più di mille persone e delle menti più influenti, anche dal punto di vista politico, della viti-vinicoltura nazionale. L'Enologo non era più un modesto operatore di cantina, ma il perno di tutta l'attività produttiva».

Cav. che cosa ha rappresentato per Lei e per il mondo del vino Banfi?

«Una vera rivoluzione! Negli anni Settanta la produzione nel settore vinicolo aveva ancora caratteristiche ottocentesche: aziende vinicole di primo piano possedevano qualche decina di ettari di vigneto perché preferivano acquistare il prodotto sul mercato, meno costoso e meno impegnativo che cimentarsi nella produzione.

Io ho impostato un progetto di una azienda con 2'800 ettari di proprietà, di cui 1000 a vigneto, più altre colture, 200 trattori, una cantina futurista, ecc . Per molti anni gli operatori sono venuti alla Banfi per illuminarsi! Per molto tempo sono stato ritenuto semplicemente pazzo. Ricordo che un amico, importante produttore storico, mi disse "Rivella, tu hai speso una caterva di soldi: io ti dirò bravo quando mi dimostrerai che tutti questi investimenti diventeranno produttivi" Ci furono gli anni difficili di crisi (dietilen glicole, metanolo) in USA i negozi mettevano cartelli "Qui non si vendono vini italiani".

I miei partners mi tagliarono completamente i finanziamenti. Nonostante tutto, dopo otto anni di patimenti, ho chiuso il primo bilancio in attivo. Ho chiamato il mio amico, che rimase sbalordito e mi disse che erano stato veramente bravo.

Prima di mettere mano alla realizzazione del mio progetto ho fatto letteralmente il giro del mondo, per vedere le ultime iniziative che allora spuntavano sopratutto in California, Cile, Sud Africa, Ausralia.

In nessun posto il costo fondiario del terreno era così basso come a Montalcino, ma il costo dello spietramento superava di molto il valore fondiario.

Il mitico Brunello era una chimera, di cui qualcuno favoleggiava ma praticamente sul mercato non esisteva. Ricordiamoci che occorrono 10 anni prima di arrivare a produrre e vendere una bottiglia di Brunello, durante i quali bisogna investire somme ingenti nella preparazione dei suoli, impianto ed allevamento dei vigneti, costruire cantine appropriate, botti di legno pregiato, tappi, bottiglie, magazzini condizionati, ecc.

Il rischio è connaturato all'attività imprenditoriale; tutti mi dicevano che non esisteva un mercato per 100.000 bottiglie di Brunello. Feci un primo programma per 300.000 bottiglie che, strada facendo, elevai a 600.000, per poi arrivare al milione. Un atto di fede!»

Nel suo libro Io e Brunello Lei traccia un'analisi dettagliata fra due realtà vitivinicole italiane fra le più importanti: Montalcino e Barolo. I numeri allora premiavano Montalcino, «Montalcino fa scuola!» si diceva in Italia. Oggi la situazione è diametralmente cambiata! Perché?

«Dimensionare l'offerta sulla domanda è compito di ogni produttore; questo avevo spiegato nel libro. A Montalcino questo abbiamo cercato di fare, nel Barolo hanno preferito lasciare libertà ai produttori. Il Barolo è un vino straordinario, che ha punte di eccellenza nelle grandi annate. Piazzare uguali quantitativi nelle vendemmie ordinarie diventa problematico: recentemente abbiamo visto sugli scaffali bottiglie di Barolo a meno di 10€. Montalcino si mantiene meglio, grazie alle produzioni più contenute».

Il Prof. Antonio Sclavi presidente della Camera di Commercio di Siena, già docente di economia aziendale presso l'Università di Siena, era solito affermare: «Per risolvere i vari problemi dell'economia senese sarebbe determinante adottare il Modello Montalcino", cioè introdurre un soggetto provocatore" capace di indurre il territorio ad adeguarsi ai tempi e a confrontarsi con il mondo». Cosa ne pensa lei?

«Ne parlammo con il prof. Sclavi. Il progetto Montalcino è venuto quasi per caso. Si incominciava a favoleggiare di questo Brunello, ma questo paese era il più povero della provincia di Siena : ovunque terreni abbandonati, sassi e rovi, quasi tutti in vendita a prezzi minimi. Per ribaltare la situazione occorreva però un investimento colossale, capace di valorizzare questo prodotto, affermarlo sul mercato ed innescare una spirale economica positiva i produttori dell'epoca erano volenterosi ma piccoli ed incapaci di incidere profondamente sulla situazione. Franco Biondi Santi era una icona, ed il suo grande merito, oltre che avere una progenitura nel Brunello, sta nell'aver saputo mantenere una politica di immagine e sostegno del prezzo pur nella esiguità dei numeri.

Questa era comunque la problematica che mi accinsi ad affrontare lanciando la mia iniziativa, ad alto rischio, nonostante le parallele iniziative di salvaguardia preventivate.

I miei partners USA pensavano che la Regione Toscana mi avrebbe agevolato in tutti i modi, invece tutto l'opposto! L'ambiente locale, sonnolento e conservatore non poteva che guardare con sospetto un intervento così dirompente. Pochi benpensanti ci furono sempre favorevoli e solamente a successo definito la Regione riconobbe che la politica giusta era la nostra. Sulla questione dell'imprenditore agricolo a titolo principale ottenni una sentenza dell'Alta Corte di Strasburgo che fece cambiare la legislazione in Toscana ed in tutta Italia!»

Quale è stato per Lei il rapporto con il territorio di Montalcino e come ha ritenuto di agire come presidente del Consorzio del Brunello?

«La conflittualità iniziale si è andata via via attenuando con la constatazione dei vantaggi che la locomotiva Banfi ha portato al Brunello di Montalcino, portandolo su tutti i mercati del mondo. Come Presidente del Comitato Nazionale dei vini a Denominazione di Origine (1993-1998) abbiamo lavorato con eccellenti collaboratori, per assicurare una corretta politica vitivinicola in un momento difficile a seguito dell'infausto referendum che ha cancellato il Ministero dell'Agricoltura. Forse anche per queste mie esperienze sono stato acclamato Presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino, quando si paventava una crisi a seguito di alcuni piccoli scandali che si erano verificati. Grazie ai provvedimenti presi dal Consorzio ed all'ineccepibile comportamento di tutti i produttori, la crisi si è risolta molto rapidamente».

Un socialista, mi sembra Del Turco ha detto che un uomo deve contemporaneamente pensare che la vita e la militanza servono sicuramente a realizzare se stessi, ma se non si è capaci di farlo anche per gli altri, è meglio smettere subito. Lei è del suo stesso parere?

«La soluzione dei grandi problemi comporta sempre un grande impegno di lavoro ed un permanente desiderio di vincere la sfida. Un attento studio della problematica per individuare le possibili vie da percorrere va attuata senza mai deflettere dagli obbiettivi.

Chi si arrende non vince alcuna gara».

Come vede Lei "La cabina di regia" per il settore vitivinicolo annunciata dalla Ministra Bellanova ?

«L'idea è brillante, ma tutto dipende da come si potrà far funzionare. La nostra storia patria è piena di ottime riforme che non hanno avuto effetto per la pessima attuazione. La capacità di operare è fondamentale per raggiungere i risultati».

Fra le onorificenze ricevute, quale è stata più gratificante?

«Certamente la più importante è stata la nomina a Cavaliere al Merito del Lavoro. Il 12 settembre 1984 si inaugurò in pompa magna la spettacolare nuova Cantina della Banfi a Montalcino. Intervennero l'Ambasciatore degli USA Maxwell Raab ed il Minisro dell'Agricoltura Filippo Maria Pandolfi, uomo di formazione economica, a cui non sfuggì l'importanza del progetto e la sua incidenza sul possibile sviluppo della Toscana e di Montalcino. Mi disse: "Lei ha fatto un'opera altamente meritoria portando questo investimento di 200 milioni di dollari in questa zona sottosviluppata, in momenti così difficili per il prestigio dell'Italia (erano i tempi delle Brigate Rosse, e tutti fuggivano dal nostro paese). Lei merita un riconoscimento, ed io la proporrò per la Croce di Cavaliere al Merito del Lavoro!"

Pensai che si trattasse delle solite promesse dei politici, un Ministro abbagliato dagli acciai inossidabili di questa magnifica cantina. Invece tutto si verificò puntualmente ed io ragazzo di umili origini contadine, mi trovai insediato nell'Olimpo dei principali imprenditori italiani!

Altra prestigiosa carica fu senz'altro quella di Presidente del Comitato Nazionale dei Vini D.O.C. Ma quanto lavoro ha comportato!

Chi, come me, occupa le cariche con puro spirito di servizio, senza mirare a vantaggi personali, è molto richiesto. Dall'OIV ho dovuto dimettermi per non avere anche questa Presidenza».

Un consiglio a coloro che oggi rivestono i ruoli da lei rivestiti?

«Gli incarichi, sopratutto quelli pubblici, vanno" serviti " con impegno. Bisogna poi essere pronti a lasciare il posto senza indugio quando situazioni e circostanze lo richiedono. Essere attaccati alla sedia senza impegnarsi a fondo nell'incarico è estremamente negativo, e così pure voler stare in paradiso a dispetto dei santi».

E un consiglio alla Toscana del vino?

«La Toscana del vino gode di ottima reputazione a livello nazionale. Nel vino, l'aspetto reputazione è tutto. L'errore tragico sarebbe nel pensare che questo sia stabilito per virtù divina. I mercati sono volubili e molti consumatori sono sempre alla ricerca di emozioni nuove.

I vini di Puglia e Sicilia oggi contendono posizioni ai blasonati tradizionali. Molti vini in Italia vorrebbero emulare la rapida affermazione del Brunello di Montalcino. I competitori non dormono e lottano per sopravvivere ed affermarsi. Qualche anno fa consigliai ad alcuni produttori, che ritenevano Montalcino vertice mondiale del settore vinicolo, di andare a vedere come si stava preparando un competitore potenziale come la Spagna. Fecero un breve giro nella zona della Rioja e tornarono con le ali alquanto abbassate!

Le produzioni di vini di qualità aumentano a dismisura in tutto il mondo. Dormire sugli allori è un errore imperdonabile. Bisogna continuare ad investire per puntellare ed aumentare il famoso piedistallo del prestigio. Promozioni, iniziative pubblicitarie e di relazioni pubbliche non vanno mai abbandonate.

Abbiamo visto come le cose possano cambiare in tempi anche brevi gli orientamenti dei mercati. Se prendiamo in esame oggi una Carta dei vini Ristoranti - anni '60- restiamo stupefatti per i cambiamenti. Sono poche le stelle che sono rimaste in cielo... Il Piemonte è stato il principale produttore di Spumanti di tutta la gamma qualitativa. Aree che 50 anni fa non esistevano, come Trentino o Franciacorta, oggi sono sul podio.

Uno spumantino che si chiama Prosecco, da tempo in produzione, senza grandi numeri, oggi ha raggiunto il primato quantitativo, grazie anche al prezzo abbordabile. Sarà vera gloria? La struttura produttiva impiantata in pochi anni è imponente! Assolutamente bisogna continuare a lavorare ed investire, senza mai fermarsi. Il mercato è volubile».

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Federico Minghi