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Martin Scorsese, 80 anni di cinema americano

Il compleanno è l'occasione per celebrare le opere del famoso regista di origini italiane: una carrellata di capolavori che ha segnato la storia della settima arte

Siamo tutti con gli occhi sbarrati, dietro la porta di quell’ascensore, dietro la macchina da presa di Martin Scorsese e davanti a Leonardo Di Caprio e Matt Damon: sul set di “The Departed”, corre l’anno 2006 e il proiettile che fa esplodere il cervello del pupillo del grande regista, segna il labile confine tra bene e male, immaginario e realtà, disperazione e speranza, dualismi che sono stella polare di tutta la sua filmografia.

Il film porterà a casa quattro Oscar, tra i quali miglior film e migliore regia: e Martin Scorsese si mostrerà finalmente commosso, premiato sul palco dell’Academy dai suoi amici di sempre, Steven Spielberg, George Lucas e Francis Ford Coppola, nella rappresentazione plastica di un poker d’assi, visionari innovatori della settima arte.

Auguri, mr Scorsese, per questi 80 anni compiuti, anni di capolavori, anni di autentica New York, non la finta metropoli falsamente radical chic di Allen, né quella onirica di Coppola, ma quella vera, con il fumo dal sottosuolo, con il trash di Little Italy, con le rive dell’Hudson e il sangue, tanto sangue che scorre sui marciapiedi del Queens e del Bronx. Anni da gangster mancato, perché “a Little Italy o si diventa preti o gangster”. Non lui, che ha scelto il cinema, per tanti, tanti anni in cui ha popolato i nostri sogni da ragazzini di paura, incubi, cupezza, crimine, speranza, arte, visione. I suoi film proibiti, guardati di nascosto.

Nonni di Palermo, nato nel Queens, trasferito a Little Italy per via di una famiglia troppo povera per pagare l’affitto, asmatico, preda delle bande, sogna –appunto- il seminario: ma poi sono i film western di John Ford a guidarlo e a redimere una vita iniziata da perdente, niente soldi nemmeno per la cinepresa, ma sfida tutto e tutti e debutta nel cinema nel 1967 con “Who’s that knocking at my door”, lo gira in 16 mm e sceglie Harvey Keitel, con quella faccia da duro un po’ così.

Da lì inizia la lunga strada verso il successo, fino al 1976 di “Taxi driver”: Brian De Palma gli presenta Robert De Niro, e cosa poteva venire fuori da quell’amicizia e quell’unione tra due affabulatori del nostro tempo, se non un capolavoro? “Non c’è mai stata altra scelta, per me”, dice Travis Bickle nel film, e nemmeno per mr Scorsese, che qualcuno negli anni ha voluto relegare al ruolo del solito regista italo americano di gangster, e che invece ha cambiato il linguaggio del cinema, innovandolo e trasformandolo, regalandoci il terrore di “Cape Fear” e il sogno di “Hugo Cabret” la magia del musical in “New York New York” e l’abisso di “Shutter Island”: sulla cui fine siamo ancora qui, noi discepoli di Martin, a interrogarci su una storia disegnata e girata con inchiostro di platino. Altro che Oscar.

E però gli Oscar, sono arrivati anche quelli. A De Niro, premiato con la statuetta nel 1981, con quel “Raging Bull” (ispirato alla storia del puglie Jack La Motta) che inizierà il decennio reaganiano al grido di una delle sue citazioni più famose: «Se vinci, vinci. E se perdi, vinci. Il rischio è sempre così» che racchiude tutta la filosofia degli USA di quel tempo. Quelli che Martin Scorsese guarda con nostalgia e nello stesso tempo con disincanto, mentre gli anni passano e lui gira “The color of money” con Paul Newman, e poi “Goodfellas”, dove l’Oscar andrà a Joe Pesci.

E tanti, tanti altri, e dare conto della sua immensa filmografia è quasi impossibile, solo che poi, negli anni Duemila, arriverà Leonardo Di Caprio e la storia cambierà: per loro due e per il cinema. Quindi per tutti noi. Perché sullo schermo passeranno capolavori come “The Departed”, grazie al quale l’Academy consegnerà al figlio di Little Italy la statuetta troppo a lungo negata, e “Shutter Island”, dove era difficile far meglio di Dennis Lehane che aveva scritto il libro, ma mr Scorsese, ecco, c’è riuscito. Fino al 2013 di “The wolf of Wall Street”, con la sceneggiatura di Terence Winter, non per nulla autore de I Soprano, e fu subito trionfo di pubblico e critica, eccesso, soldi, sesso, xanax, droga, alcool, cinismo, amore, delirio, tutto shakerato in un capolavoro che arrivava 5 anni dopo il disastro di Lehman Brothers, e spiegava tante cose a chi sapeva ascoltare e vedere.

E adesso, gli 80 anni: festeggiati a Casa Cipriani a New York, e dove se no, con un party che ha riunito il gotha del cinema e la mente però sempre lì, alla macchina da presa, pronta per concludere il girato e l’editing di “Killers of the flower moon” che uscirà l’anno prossimo e il protagonista sarà ancora lui, il figlio prediletto.

Il Billy Costigan dell’ascensore di “The Departed”, e di quella porta che non si chiude mai, c’è il suo corpo a bloccarla, mentre noi sbarriamo gli occhi ancora una volta, grazie a Martin Scorsese, nel buio della sala.

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Maddalena Bonaccorso