Ferretti
(Ansa)
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Dante Ferretti: «Io do solo vita ai miei sogni»

Intervista allo scenografo più famoso del mondo, vincitore di tre Oscar, che non dimentica l'Italia ed i soldi rubati a papà da piccolo per andare al cinema

Le Marche sono una terra di grandi scenografi ed è propri lì che nasce Prima Scena, festival europeo dedicato alla scenografia, con la direzione artistica del tre volte Premio Oscar, Dante Ferretti con cui abbiamo parlato di cinema, della sua vita e di molto altro

Quattro appuntamenti per altrettanti comuni, chiamati ad ospitare l’arte magica della scenografia in tutte le sue forme. Si parte il 4/5 marzo da Ancona, per proseguire il 9/11 a Macerata, poi tappa ad Ascoli Piceno il 18/19 marzo, per chiudere il sipario il 23/26 marzo a Potenza Picena.

Ad aprire le danze sarà il più grande scenografo di sempre, Dante Ferretti, chiamato a raccontarci come lo spazio si è fatto da sempre arte nelle sue mani, a pochi giorni dal suo ottantesimo compleanno, che ricorre il prossimo 26 febbraio e con un’autobiografia arrivata in queste settimane nelle librerie (Immaginare prima, Jimenez edizioni). Nessuno come lui è stato in grado di entrare nella testa di ogni regista con cui ha lavorato: Pier Paolo Pasolini, Marco Bellocchio, Federico Fellini, Ettore Scola, la Comencini, Dino Risi, Zeffirelli, Martin Scorsese, Brian de Palma, Tim Burton, rimanendo in perfetta sintonia con ogni interprete, e inserendo sempre qualcosa di suo, fino ad arrivare ad esaudire la visioni filmica che il regista aveva del suo progetto. Riuscendo a gestire, sempre al meglio, sia lo spazio infinito del cinema che quello estremamente risicato del teatro. Cambiando semplicemente l’approccio.

Lei nasce a Macerata, per arrivare a Hollywood.

«Ho deciso di fare lo scenografo a 12 anni, quando rubavo i soldi dalle tasche di mio padre per andare al cinema. Frequentavo l’Istituto d’Arte, papà era convinto andassi a studiare dagli amici ma io volevo fare il cinema, anche se non sapevo bene in che termini. Un giorno Umberto Peschi, scultore di Macerata mi raccontò di come la scena della corsa delle quadrighe che rappresenta l’essenza di Ben Hur, vincitore di 11 Oscar, in realtà era stata ricostruita a Cinecittà. In quel momento decisi che avrei fatto lo scenografo».

Il 26 febbraio compie 80 anni. I 70 anni li festeggiò con una mostra al Moma di New York. Stiliamo un piccolo bilancio

«Mi è andata bene. Volevo fare questo lavoro, l’ho fatto, l’ho fatto con i migliori registi che ci sono stati e che ci sono ancora. Sono un uomo fortunato. Sono nato nelle Marche, a Macerata invece che sulla Luca, su Marte. Pensate cosa sarebbe venuto fuori».

Cosa si prova quando si ritira quella statuetta?

«Ho ricevuto sei nomination prima di ritirare un Oscar e quando finalmente è arrivato il mio momento non volevo andare alla premiazione. La prima nomination risale al 1990, e arrivò per Le avventure del barone di Munchausen. Non successe nulla neppure per Amleto di Franco Zeffirelli nel ’91, per L'età dell'innocenza, di Scorsese nel ’94, per Intervista col vampiro, di Neil Jordan nel ’95, per Kundun, sempre di Scorsese nel ’98 come anche per Gangs of New York, nel 2003. Niente di niente. Nel 2005 la nomination arrivò per The Aviator, sempre per la regia di Scorsese. Decisi di non andare perché non volevo più rimanerci male o vedere colleghi salire sul palco al posto mio. Ma ero con Scorsese a preparare un film, lui doveva assolutamente andare alla cerimonia e praticamente mi obbligò. Ricordo solo la voce di Halle Berry fare il mio nome e quello di mia moglie, Francesca (Lo Schiavo, ndr). Mi è preso quasi un colpo. Non riuscì a dire nulla. Oggi su una mensola Ikea, io e mia moglie abbiamo sei di quelle statuette».

Suo padre voleva che portasse avanti la fabbrica di mobili di famiglia. In qualche modo lo ha accontentato?

«Certo. Anche se ho seguito poco mio padre nel suo lavoro, so per certo che ogni volta che ho pensato o disegnato delle scene sapevo come farle, come occupare lo spazio, come mettere in luce un dettaglio e questo anche per merito suo. Ho imparato da lui come fare le scene e i mobili per le scene».

Il film è il sogno dello spettatore che va a vederlo, la scenografia è un lavoro concreto. Come si uniscono questi due mondi.

«Prima sogni, poi lo concretizzi. Prima lo immagini, lo disegni e poi speri che vada bene. La scenografia più difficile da realizzare? La prossima. La prima me la fecero fare a 17 anni ad Ancona, avevo fatto di tutto per andare via da quella terra e il caso volle che il mio inizio avvenisse proprio lì».

Aneddoti, pezzi di vita.

«Divertente il primo incontro con Scorsese. Venne a Roma per incontrare Fellini, era insieme alla giovane moglie Isabella Rossellini, appena sposata. Stavamo girando la Città delle donne, ci conoscemmo in un bordello, non certo il posto migliore dove ritrovarsi, nonostante la ricostruzione fosse ben riuscita».

A cosa sta lavorando oggi?

«Stiamo terminando il musical «Verona», una produzione ispirata alla storia di Romeo e Giulietta, ambientata nel 1300. La produzione è di Iervolino e Lady Bacardi Entertainment S.p.A. con la collaborazione della Veneto Film Commission. Il regista è Timothy Scott Bogart e tra gli attori presenti ci sarà Rupert Everetts. Ho altri film da fare che mi hanno offerto ma devo ancora decidere».

L’arte magica della scenografia” che coordinate ha?

«Potrei dire la fantasia e sono certo di non aver dimenticato nulla. Leggo la sceneggiatura, lo scritto, penso al periodo storico, penso a come interpretare e disegnare il tutto e poi vado dal regista con la mia idea, che spero lo soddisfi e convinca il produttore a darmi il budget necessario a far diventare reale la mia fantasia».

È la memoria storica di quello che era il cinema italiano. Come sta oggi?

«Non mi ricordo nulla – sorride – Il cinema oggi sta… con le sedie più strette e con meno pubblico in sala. La gente ha la tv a casa, sempre più grande. Vedono i film sul divano, scegliendo tra Netflix e ogni altra piattaforma. Nel mentre mangiano, bevono, parlano, telefonano, vanno in bagno e guardano un film. Non escono di casa, risparmiano soldi. Ma il cinema di cui parla lei, quello che ho vissuto io era bello, era diverso, era altro. Quel cinema includeva anche la scodella di pop-corn e il commento finale sul film. Si stanno perdendo tante cose non andando al cinema».

E la tecnologia? La sua è una convivenza forzata o una qualche utilità la troviamo?

«Mi sono adattato ai tempi che cambiano. Credo sempre che sia la cosa più intelligente da fare. Ho iniziato in una certa maniera e vado avanti in base a ciò che i tempi chiedono. Credo si sia perso per strada un po’ di romanticismo. Oggi fare film con gli effetti speciali vuol dire che tanta gente ha meno lavoro. Una volta era tutto pensato e fatto dalle mani dell’uomo. Adesso pensi una cosa e qualcun altro la rende reale dentro uno schermo».

Quando si è accorto di essere diventato un maestro.

«Non sono un maestro, non cominciamo ad offendere»

A Dante ragazzino che esce dall’Accademia delle Belle Arti, cosa direbbe se lo incontrasse per strada?

«Di non sbagliare strada per tornare a casa. Di andare avanti, portare avanti quello che ha in testa, di fare il meglio. Speri quello, appena sei fuori dall’Accademia, speri di avere la possibilità di lavorare e che qualcuno ti dia una possibilità. Se incontrassi per strada il giovane Dante, semplicemente gli darei una possibilità».

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Nadia Afragola