Ci siamo ormai abituati a ogni genere di video sui social network. In quantità esorbitante. Di qualità discutibile. Tutto purché diventi “virale”, parola chiave, ripresa dai media e dagli utenti e ripetuta fino allo sfinimento.
Parola chiave che rappresenta alla perfezione il fenomeno, dal momento che questi video, sulla carta senza pretese, esattamente come un virus (oddio, quanto “esattamente”, da un punto di vista medico, non saprei, ma in ogni caso rende l’idea) i video si moltiplicano e si diffondono in maniera incontrollabile, infettando dispositivi privi di antivirus estetici, come fossero placide vacche, ignare, inermi, non solo impossibilitate a difendersi, ma anche del tutto all’oscuro che un’idea di difesa dovrebbe riguardarle, non diventare pazze (anche se la “mucca pazza” probabilmente era un morbo e non un virus, ma ci siamo capiti).
Le vacche, naturalmente, più che i nostri dispositivi, siamo noi, nessuno escluso, nessuno al riparo da un martellamento lontano anni luce dall’idea di scelta libera, assoluta e individuale che la rete avrebbe voluto rappresentare secondo i suoi profeti.
La verità (forse la V andrebbe maiuscola, per assecondare il vezzo dei fanatici internauti) è che la Rete ci incanala e ci indirizza come bestie al macello mille volte di più di qualsiasi canale televisivo generalista, la cui mission politica, almeno, esisteva e sembrava perfino decodificabile.
La rete, questa idea editoriale non ce l’ha, è un’entità frammentata e ineffabile, e questo ci espone al perfido giogo dei peggiori instupidatori di coscienze che siano mai esistiti: noi stessi.
Lasciando perdere i personaggi famosi, che sono casi a parte, tra le tipologie di video più virali, spopolano gli incidenti mentre si fanno i selfie (come quello divenuto emblematico del ragazzo colpito alla testa dal calcio volante di un macchinista per essersi avvicinato troppo a un treno), i parcheggi assurdi, gli incidenti sciocchi (fin qua, praticamente, le versione online di Paperissima), gente che mangia in modo strano, gente che mangia in modo normale cose strane, pazzi che delirano e insultano il governo ladro, stupidotte che insegnano come ci si trucca, e via discorrendo.
Un filone a parte è rappresentato da bambini ripresi dai genitori.
I bambini, si sa, sono sempre stati, da quando la “riproducibilità tecnica” è entrata nelle nostre vite quotidiane, un soggetto privilegiato.
Oggi ci sono gli smartphone, ma il concetto è lo stesso delle foto di un tempo nel portafoglio. Mostrare orgogliosi la propria prole a ogni malcapitato deve essere un comportamento impossibile da reprimere, è probabile che rappresenti qualcosa di atavico, perfino che dia voce a istanze evolutive inestinguibili, non possiamo farci niente.
Anche se non sarebbe male se i genitori si leggessero uno qualunque dei tantissimi articoli e riflessioni che spiegano (invano) perché bisognerebbe evitare di caricare in rete foto e video dei propri figli, ed evitare di consegnare le loro immagini alla mercé di chiunque.
Il punto è però un altro.
C’è un’estrema deriva del filone “bambini virali” rappresentata dai filmati di bambini che piangono.
Uno, recente, riprende un bambino disperato per la morte del suo pesce rosso mentre lo bacia e lo ribacia prima di affidarlo alla sorte che noi adulti sappiamo essere il futuro di ogni pesce rosso che si rispetti: lo scarico del wc.
Quando ormai il pesce è stato inghiottito dall’acqua il piccolo scoppia in un pianto disperato. La “telecamera” continua a girare.
Ora, per ogni bambino che piange c’è una madre, un padre, un parente o qualcuno che riprende. La cosa non è nata con internet e si può perfino capire che, non trattandosi di vere e proprie tragedie, gli adulti siano più attirati dall’idea di documentare il momento della vita del piccolo piuttosto che dal dovere di consolarlo. Ci sta. È umano, perfino, a suo modo, legittimo (due lacrime non fanno male a nessuno, anzi).
Ma il passaggio pericoloso è lo scopo del filmato, la condizione, il “continuo a filmare mio figlio che piange disperato perché così poi lo metto su Facebook e la gente lo condivide”. quello che preoccupa è il futuro, in cui una massa di adulti totalmente lobotomizzati dalla vita social, vittime della condivisione compulsiva, priva di un editing non soltanto morale, ma soprattutto estetico, condivideranno e ricondivideranno video dei loro bambini, più filmati che accuditi o educati.
Per fermare questa deriva non sarebbe male una legge che imponga, per ogni video di bambino che piange, di realizzarne uno speculare del filmatore del bambino che piange.
Anche i genitori andrebbero più educati che filmati. E spesso si farebbe prima a bastonate.
