L'astensionismo colpisce anche gli ascolti degli speciali elettorali
Ufficio Stampa Rai
Televisione

L'astensionismo colpisce anche gli ascolti degli speciali elettorali

Le reti si sono affannate a mettere su ore di dirette per i ballottaggi, ma il pubblico è scappato: all'astensione alle urne è corrisposta un'astensione davanti alla tv. Flop per Rai 1, si salvano solo Mentana e Nicola Porro con Quarta Repubblica

Basta dare un'occhiata rapida agli ascolti tv di ieri per intuire al volo una cosa: degli speciali elettorali per i ballottaggi delle amministrative, agli italiani è interessato poco o niente. Più le reti si affannano a mettere su ore e ore di dirette con opinionisti egotici, facendolo lo slalom tra exit poll, proiezioni e collegamenti da comitati elettorali che paiono dei sottoscala, più il pubblico scappa. Tradotto semplicisticamente: all'astensione alle urne è corrisposta una clamorosa astensione anche davanti alla tv. Del resto, se una buona fetta dell'elettorato sceglie di non andare a votare, perché dovrebbe poi sorbirsi un'abbuffata di analisi sulla politica, che mai come in questi periodo sente lontana?

I numeri in qualche caso sono da prefisso telefonico, in altri impietosi. Così persino lo speciale Elezioni Amministrative 2021 messo in campo dal Tg1 e condotto da Francesco Giorgino, ha superato di poco il milione di spettatori - 1.029.000 spettatori – con il 9.9% di share. Un mezzo disastro. Ma la narrazione dei risultati era a tratti talmente «liturgica» e regimental che veniva voglia di cambiare canale. Soprattutto perché dopo mezz'ora i risultati elettorali erano già netti. A Rai1 non era andata meglio nemmeno quindici giorni fa, quando i giochi del ballottaggio apparivano ancora aperti: 1,1 milioni di spettatori e il 10% di share. «Già al primo turno era stata evidente la relazione tra lo scarso interesse degli elettori per il turno amministrativo e i dati degli speciali. E ieri le cose si sono viste in maniera ancora più macroscopica. Le spiegazioni dei bassi ascolti? Molteplici. A cominciare dalla mancanza di "notiziabilità": quando i risultati vengono percepiti come scontati, le trasmissioni perdono di interesse e il pubblico si dilegua», spiega a Panorama.itMassimo Scaglioni, docente di Storia dei media all'Università Cattolica di Milano.

E rispetto a Rai1 c'è poi un'altra considerazione da fare: possibile che la rete ammiraglia e il suo telegiornale non riescano a fare meglio gioco di squadra? Sinergia, questa sconosciuta. Che senso ha, ad esempio, sospendere Oggi è un altro giorno, con Serena Bortone che per anni ha condotto Agorà su Rai3 e mastica da sempre pane e politica? Oppure non avrebbe avuto più senso allungare Vita in diretta con Alberto Matano, che proprio dal Tg1 arriva? Rendere più pop il linguaggio con cui si racconta la politica non è una bestemmia e, in mancanza di elettori, forse è un modo per conquistare almeno nuovi spettatori. Non è un caso che l'unico a reggere ieri sia stato Enrico Mentana con la sua #MaratonaMentana: 743 mila spettatori e il 6.1%, praticamente il doppio di quanto La7 fa abitualmente in un pomeriggio qualunque. Certo, i fasti elezioni del 2018 con oltre 2,2 milioni di spettatori sono lontani, ma il calo è contenuto se si guarda alle comunali del 2016, quando il fattore 5Stelle a Torino e Roma portò nuova linfa anche ai talk politici. Quando l'atmosfera intorno a un'elezione è floscia, gli ascolti si sgonfiano come un soufflé non riuscito. Mentana si salva perché è un grande riempitore di vuoti, un fondista della diretta capace di mandare avanti per ore la baracca anche quando c'è poco e nulla da dire. Può piacere o meno, ma format è lui stesso e sui social viene celebrato come tale. Il momento cult di ieri? Il «palleggio» a distanza con Clemente Mastella. «Questa vittoria mi ricorda la mia prima battaglia elettorale», ha commentato il neo rieletto sindaco di Benevento. «Che memoria!», lo ha stuzzicato Mentana, che in sovrapposizione ha battuto sia lo speciale di Rai2 (con il doppio degli ascolti) che quello del Tg3.

Il trend è negativo anche in prima e seconda serata. Bruno Vespa, da astutissima vecchia volpe della tv qual è, dopo i numeri da dimenticare dello speciale Porta a Porta di due settimane fa, ha lasciato campo a I bastardi di Pizzofalcone 3. E così è toccato al TG2 Post coprire analisi e commenti. Il risultato? 656 mila spettatori e il 2.7% di share, superato seppur di poco da Mentana e doppiato da Nicola Porro che con la sua Quarta Repubblica ha toccato i 840 mila spettatori e sfiorato il 5% di share. Porro è un altro di quelli che sa a che pubblico sta parlando – una cosa che sembra banale e invece è tutt'altro che scontata – e infatti ha diversificato il menù della sua scaletta, riservando all'analisi di risultati elettorali pochi minuti. «Così il talk di Rete4 ha tenuto la sua media: Porro ha scelto temi come lo sgombero del porto di Trieste, il vaccino e il Green Pass, argomenti che interessano molto di più al suo pubblico rispetto alla politica in senso stretto», osserva Scaglioni. E le cose non sono andate bene neppure per Sette Storie: già il programma di Monica Maggioni non brilla per ascolti clamorosi e con lo speciale ballottaggi si è dovuta accontentare di 608 mila spettatori con il 6.9% di share. «Si ripete uno schema già conosciuto: le elezioni amministrative per i network sono un problema da coprire, anche quando hanno un valore politico nazionale. In questo caso il significato politico relativo e gli esiti quasi scontati hanno determinato ascolti bassi. Alle prossime politiche, è ovvio che numeri saranno ben diversi».

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Francesco Canino