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Ufficio Stampa Rai
Televisione

Qualcuno dica a Cattelan che Rai 1 non è Sky

Ascolti in calo per Da Grande, che si trasforma in flop conclamato. Ma dal conduttore nessuna autocritica, anzi. Eppure tra la pay tv e la tv di Stato c'è un abisso (soprattutto se parliamo di pubblico e peso dell'Auditel)

Commentando gli ascolti della prima puntata di Da Grande, il direttore di Rai1 Stefano Coletta ha detto: «A me i numeri non interessano, non sono mai interessati. Sono molto soddisfatto del prodotto». Che ormai da anni gli ascolti siano diventati un'ossessione collettiva tra gli addetti ai lavori e i commentatori compulsivi sui social, è una certezza. Che ci sia del clamoroso «doppiopesismo» nel modo in cui vengono analizzati (clava per un certo conduttore, piuma leggerissima per un altro), è altrettanto vero. Uscire dall'angolo degli equivoci è complicato, perché spesso poi ci si dimentica ciò che si è detto qualche mese prima e si rischia di venire bollati come incoerenti. Ma visto che il gradimento è stato pensionato da un bel pezzo non resta che affidarsi all'Auditel per provare a capire quanto al pubblico sia piaciuto o meno un programma. Compreso Da Grande.

E restando in tema di numeri e percentuali, la seconda (e ultima) puntata dello show evento di Alessandro Cattelan non ha imboccato la strada del rilancio: 2.196.000 telespettatori con il 12% di share, battuto da Enrico Papi e Scherzi a Parte (non proprio avanguardia pura, è evidente), risalito a 3.043.000 con il 17,3% di share (una cosa va detta: la strategia disegnata in prima persona da Pier Silvio Berlusconi, che per Canale 5 ha voluto il ritorno all'intrattenimento puro, ha funzionato). Insomma, anche senza la finale dell'Italvolley e Juve-Milan, Da Grande non ha fatto breccia nel pubblico di Rai1. Anzi, è calato rispetto all'esordio nonostante il netto miglioramento della scaletta e una scrittura molto più fluida. Sulla qualità complessiva dello show non si può dire nulla (né dal punto di vista produttivo né di immagine complessiva, molto curata) , così come sull'innegabile talento del conduttore. Ma è l'impostazione iniziale del progetto a innescare i dubbi e a marcare gli errori fatti dalla Rai.

Basti pensare che Rai Pubblicità ha stimato che Da Grande avrebbe potuto toccare il 16% di share. In un'altra serata forse sì, ma così non è andata. E non si sono nemmeno concretizzati gli auspici con cui Cattelan è approdato a Rai1: chi sperava nel travaso di pubblico giovane (quello che lo ha seguito ad X Factor negli ultimi dieci anni), è rimasto deluso visto che nella seconda puntata i giovani tra i 15-34 anni erano 241 mila spettatori, gli over 55 oltre 1,3 milioni. E non basta dire "i giovani non guadano la tv generalista": se c'è qualcosa che gli interessa la guardano eccome - e il successo de Il Collegio ne è l'esempio plastico - oppure la recuperano su RaiPlay (sarebbe interessante ad esempio sapere quante visualizzazioni faranno sulla piattaforma Rai le esibizioni di Sangiovanni e l'ospitata di Benji Mascolo e Bella Thorne).

Una riflessione finale la meritano poi le critiche, l'alibi delle critiche costruttive (quelle che tutti vogliono ma che nessuno sopporta) e (soprattutto) la reazione alle stesse. Quando le aspettative sono alte è normale poi che il pubblico si divida e che la critica faccia il suo mestiere non risparmiando in certi casi stilettate al vetriolo. Cattelan in parte giustamente stufo dell'etichetta di «giovane promessa» (fa tv da vent'anni e soprattutto conosce bene i passaggi della parabola arbasiniana, «brillante promessa, solito stronzo e venerabile maestro»), in parte palesemente impermalosito dai giudizi tranchat, a fine show ha risposto alle critiche e raccontando un episodio accaduto alla figlia, ha detto: «È una settimana che mi fanno le pernacchie per Da Grande. Fanno tanto rumore, ma è solo aria. E soprattutto le pernacchie non devono mai farti smettere di fare quello che ami fare. Non importa cosa dice la gente». Questo in estrema sintesi il sunto del discorso, in cui tra le righe è emersa tutta l'insofferenza del conduttore, che fino ad ora, va detto, non aveva mai ricevuto stroncature pesanti. C'è sempre una prima volta e la critica non è certo lesa maestà. I programmi passano, il talento resta: i flop sono capitati a tutti i grandi della tv, da Baudo in giù, e non sono di certo la fine di una carriera.

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Francesco Canino