Hardcore
La cover di Disconnection / Tsunami
Musica

Viaggio nell'hardcore italiano degli anni Novanta

Disconnection è il titolo del libro che racconta un genere musicale, un modo di vivere, che trova la sua ragion d'essere nella passione per il punk e il metal, ma anche nello sketeboarding

È difficile stabilire se l'hardcore sia veramente una "cosa a parte", se sia effettivamente davvero tanto meglio di altri generi musicali, come affermano con fierezza molte delle persone attive all'interno del circuito. Forse è un po'azzardato affermare che stiamo parlando di qualcosa di così diverso da altri movimenti giovanili, anche se il senso di appartenenza e il cameratismo hanno cementato le fondamenta della scena fin dagli albori, e sono una parte viva del suo DNA.

Le persone che hanno animato la scena italiana degli anni Novanta si sono avvicinate al genere in modi diversi: a partire dai tardi anni Ottanta, si poteva arrivare all'hardcore passando per il metal, attraverso la new wave o partendo dal punk britannico, ma anche da ambiti culturali attigui come lo skateboarding. Succedeva ascoltando degli album in alcuni negozi di dischi, tramite un amico o un fratello maggiore che duplicava delle cassette o ti portava a un concerto, oppure scovando delle sparute notizie su qualche rivista musicale o in una fanzine capitata per le mani in modo casuale.

Inti Carboni:

L'Italia degli anni Ottanta era un Paese di un conformismo orribile. L'edonismo post-ideologico dei paninari, Drive Ine gli yuppie. Lo scandalo P2, il Partito Socialista di Craxi. L'antagonismo culturale del 1977 sconfitto dall'eroina. L'hardcore scardinava ogni regola musicale e culturale, ridava le chiavi della creatività ai ragazzi ed era meravigliosamente incomprensibile per chi non aveva la giusta attitudine.

Paolo Piccini (Growing Concern, Blast!, HM, Dynamo!):

Come adolescente completamente disinteressato al calcio, alla droga e alle mode degli anni Ottanta, ho sempre ricercato – e trovato – nella musica uno stile di vita che fosse in grado di incanalare in modo efficace e in maniera positiva la mia energia giovanile. Sono stato sempre istintivamente attratto dalle forme di musica che uscivano dai binari dell'ordinario.

Gianluca Tricarico "Freddy" (Think Twice, Ageing, I Deny, Snowfall):
Il mio avvicinamento all'hardcore è stato conseguenza del mio essere punk, in quanto l'hardcore come noi lo intendiamo è stato un'evoluzione musicale ed estrema del punk rock. Non ci fosse stato il punk, non sarebbe nato l'hardcore.

Andrea Gallinini "Gallo" (By All Means, Society Of Jesus, Headed Nowhere):

È stata una cosa abbastanza naturale, magari dettata dal bisogno di avere qualcosa di più forte musicalmente e forse – più politicamente/emotivamente interessante… Ma non ho mai fatto una gran distinzione tra punk e hardcore: se il gruppo era interessante e parlava di ciò che mi sembrava intelligente, lo ascoltavo. Per me era più che altro uno stile di vita.

Nico Vascellari (With Love, Bluid, Ninos Du Brasil):

Mi sono avvicinato all'hardcore tramite lo skateboard. Non esisteva nessun tipo di scena, al tempo, nel paesino di provincia dal quale provenivo, ma una serie di eventi fortuiti si sono susseguiti. Non ne sono completamente sicuro, ma credo fosse in un video della H Street che a un certo punto, all'improvviso, esplodeva 'My War' dei Black Flag. Il suono allora mi era parso come qualcosa di alieno.

Gianni Pantaloni (Maximum Feedback, Growing Concern, Equality):

Le prime cose che mi colpirono dell'hardcore furono la velocità e l'urgenza della musica. Poi intuivo che il messaggio globale dell'hardcore era più articolato, più ricco di sfumature, certamente più aperto a diverse interpretazioni e al confronto. Era come se ogni disco hardcore che mettevo sul piatto, piuttosto che una collezione di musica fine a se stessa, fosse un punto di partenza per creare qualcosa di nuovo, di personale. Soprattutto fui affascinato dallo spirito di unità e dall'energia positiva che si poteva trovare ai concerti hardcore, dove non esistono gerarchie tra i gruppi e il pubblico e dove tutti contribuiscono in modi diversi a far crescere la scena: suonando in una band, pubblicando fanzine e dischi oppure organizzando concerti.

Quello che ha colpito e colpisce ancora i ragazzi non è solo l'amore per il suono, ma anche – e persino di più – l'energia e il desiderio di fuga da una serie di valori che sembrano fuori luogo, oltre che l'idea di creare qualcosa di proprio. La vera forza che spinge molti verso questa musica è la ricerca di qualcosa di nuovo e di diverso. Ciò che poi succede è che, dietro a questa scoperta, si dischiude un vero e proprio mondo.

Tratto da:

DISCONNECTION – L'hardcore italiano negli anni Novanta

di Giangiacomo De Stefano e Andrea "Ics" Ferraris

Tsunami Edizioni, 2021

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Gianni Poglio