Edoardo Vianello: «Non rinuncio ai miei “altissimi negri”»
Edoardo Vianello (Ansa)
Musica

Edoardo Vianello: «Non rinuncio ai miei “altissimi negri”»

Il padre dei grandi tormentoni estivi: «Le polemiche sui “Watussi” mi nauseano. Il politically correct è una fisima della sinistra snob. Ho chiesto perché i partigiani non condannavano il comunismo e attendo ancora risposta»

«Essere che? Uomo pensante? Per esser detto fesso, un giorno e non adesso». Questo verso s’attaglia perfettamente alle polemiche che assediano con i ritmi della cancel culture chi altro non voleva fare se non cantare. Sono i versi di una raccolta, Oltre il sensibile, che forse lo stesso autore non voleva fosse diffusa. Quell’uomo era Alberto Vianello, uno dei poeti futuristi del cerchio di Filippo Tommaso Marinetti, e quei versi sono riemersi dopo che i figli Tunni (pittrice di gran talento) ed Edoardo li hanno cercati, scovati e raccolti.

Edoardo a suo modo è un futurista della chitarra e della canzone e a 84 anni suonati (in tutti i sensi) si sente dire che quegli «altissimi negri» di una delle sue canzoni più celebri, I Watussi, sono politicamente scorretti. Eppure lui, cugino di Raimondo, ha fatto dello spettacolo la proiezione di una vocazione: quella di produrre cultura che fosse fruibile da tutti. Sulle orme del padre manager per necessità, poeta per vocazione. La vicenda artistica di Edoardo è lunghissima e proficua. Con Franco Califano, che lui ha scoperto, fondò la Apollo Records, la casa discografica che ha lanciato Renato Zero, Amedeo Minghi e i Ricchi e Poveri. Quasi nessuno sa che La partita di pallone che ha consacrato al successo Rita Pavone l’ha scritta lui. Ed è così forte la sua impronta stilistica che gli si attribuiscono altri brani non suoi - uno su tutti Stessa spiaggia stesso mare che è del romagnolo Piero Focaccia - che stanno però nel filone della cosiddetta «scuola romana» disimpegnata e allegra (Meccia, Fontana, Fidenco) che negli anni Sessanta si contrapponeva ai «genovesi» intimisti e cupi.

Vianello è Festivalbar, è Sanremo, è Canzonissima, è Mina ed Ennio Morricone, è una carriera lunga quasi quattordici lustri. Eppure tra le pieghe della sua produzione si scoprono non solo «pinne, fucile ed occhiali», non solo «abbronzatissima». Ci sono testi come quello di O mio Signore (1963) che recitano: «Non ho avuto tanto, eppure sono contento… grazie per tutto quello che hai fatto per me.». Forse è un anticipo di bilancio che Edoardo Vianello, all’annunciarsi di una nuova estate, accetta di fare con La Verità. Anche per replicare ad alcune polemiche, per rivendicare un’esigenza di verità da chi pronuncia molto spesso la parola libertà senza però riuscire a fare la rima baciata.

Si pensa all’estate e viene in mente Vianello: Abbronzatissima, Fucile ed occhiali, la stessa Come dondolo hanno riempito le vacanze degli italiani da decenni: li hanno fatti ballare in discoteca come sotto l’ombrellone, sono state la colonna sonora dei viaggi verso la spiaggia. Vianello è un uomo solare?

«Sono una persona solare, a prescindere dalle mie canzoni estive. Credo di aver composto ciò che sono come spirito».

Osservando ciò che accade - prezzi in salita dei viaggi, degli alberghi con persino le spiagge sotto i riflettori dell’Europa, purtroppo la riviera romagnola devastata dall’alluvione, anche se hanno già messo tutto a posto - sarà un’estate da tormentone o tormentata?

«Sarà un’estate tormentata, anche grazie a qualche mio... tormentone. C’è qualcosa in preparazione, vedremo... o forse ascolterete».

C’è un suo verso che è tornato di moda perché lo ha ripreso Myss Keta che ha inserito anche la sua voce nel disco e nel video: che finimondo per un capello biondo. Ma questo mondo visto da lei che lo ha fatto ballare, lo ha fatto divertire, visto da lei che ha 84 anni e ha ancora la freschezza di un ragazzino (a proposito, come fa?) è un finimondo? Ci sono dei valori che lei non riconosce più?

«Non è ancora un finimondo, ma ci stiamo arrivando. Credo che sia ormai giunto il momento di rimboccarci le maniche e metterci a lavorare seriamente come se stessimo uscendo da una sanguinosa guerra. I valori che non riconosco più sono quelli della mancanza di rispetto nei confronti del prossimo da parte di troppe persone arroganti e impreparate».


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Carlo Cambi

Toscano di nascita e di formazione (economico-giuridica) diventa giornalista professionista a 23 anni. Percorre tutto il cursus honorum a Repubblica fino a dirigere le pagine di economia. Nel 1997 fonda I Viaggi di Repubblica - primo e unico settimanale di turismo - che dirige fino al 2005 quando sceglie di vivere a Macerata insegnando marketing del territorio e incontra Maurizio Belpietro col quale stabilisce un sodalizio umano e professionale. Autore radiofonico e televisivo continua a occuparsi di economia ed enogastronomia. Ha scritto una trentina di libri. Il suo best seller? Il Mangiarozzo.

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