Antonino-Pulvirenti
Davide Anastasi
Economia

Windjet e Antonino Pulvirenti: storia di una parabola discendente

Dai supermercati al calcio all'aviazione, successi e sconfitte dell'imprenditore di Belpasso

“'Low cost può ancora essere un viaggio di piacere, ma non la spesa di tutti i giorni. Un viaggio a Londra può ancora costare meno di 20 euro, ma una spesa media al supermercato può costare ben più di 40 euro. Come in un mondo rovesciato, il superfluo viene dunque a costare assurdamente meno del necessario”. Questa sorprendente analisi, scritta nel 2008 non da uno qualunque ma da un economista di nome Giulio Tremonti, nel suo Rischi fatali, sembra la metafora perfetta della storia di WindJet e del suo imploso artefice, l'imprenditore catanere Antonino Pulvirenti, classe 1962, talebano del low-cost, di successo nel settore dei discount commerciali con marchio “Fortè”, fallito nel settore dell'aerotrasporto, uno che nel 2006 il mensile Capital aveva designato “imprenditore dell'anno”.

Giustamente, perchè la sua parabola era stata fino a quel momento ascensionale e velocissima. In una decina d'anni, dal semi-nulla del paesino etneo di Belpasso, 26 mila abitanti, Pulvirenti aveva fatto il botto. In principio un supermercato, poi un altro, poi l'escalation. Anche nel football, con l'investimento nella squadra locale, che milita nel Campionato interregionale  e dopo tre anni l'Acireale, serie C1.

Nel 2000 Pulvirenti ha quasi ottanta supercati discount a marchio Fortè e tenta di comprare il Catania Calcio, battuto sul tempo da Gaucci, altro imprenditore-pallonaro come lui, non ancora incappato nei successivi guai con la giustizia.

Il calcio perde soldi, i supermercati invece un po' ne guadagnano, e allora Pulvirenti nel 2003 accoglie l'invito di Luigi Crispino, il neofallito imprenditore di Air Sicilia, che lo convince a tentare la nuova diversificazione: appunto l'aerotrasporto, col marchio WindJet e dodici aerei in leasing, puntando al mercato dei siciliani desiderosi di volare in giro per l'Europa su ali isolane, che avrebbero dovuto privilegiare – nelle speranze di Pulvirenti – a qualunque altro vettore per ragioni in fondo campanilistiche.

Nel 2004, con l'acquisto del Catania Calcio dalle ceneri di Gaucci, Pulvirenti sembra toccare il cielo con un dito... ma è l'inizio della fine. L'aerotrasporto è come il calcio, inebria, fa sentire potenti e brillanti, dà notorietà e regala gli strumenti per alimentare un circuito gratificante di microfavori, biglietti gratis in tribuna d'onore come a bordo, una volta si chiamava “jet-set” - ma erano gli anni Cinquanta e allora davvero il jet lo prendevano solo i vip, oggi il low-cost è pensato per essere usato da tutti, il calcio fa notizia perle botte degli ultrà, eppure essere imprenditore aeronautico e calcistico dà ancora alla testa.

Praticamente dal 2005-2006 tutto inizia ad andar male, e il resto è cronaca: i dipendenti della compagnia iniziano ad accusarlo di comportamenti antisindacali e minacce, i conti cominciano ad andare pesantemente peggio delle attese, la trattativa per vendere WindJet ad Alitalia è saltata ed oggi rischiano il posto 500 dipendenti, il lavoro altri 800 addetti dell'indotto e circa 300 mila passeggeri che avevano prepagato biglietti rischiano di perdere i loro soldi .

L'imprenditore però non molla, e nel suo personaggio non c'è la logica della resa. Pulvirenti, anzi, assicura che la crisi della compagnia non contagerà le altre sue imprese, per quanto tutte controllate dalla holding Finaria: “La situazione della Wind Jet non ha nulla a che vedere con quella del club di calcio in quanto sono spa autonome”, ripete. La Finaria controlla circa il 62 per cento della compagnia e il 95 per cento del Calcio Catania che due mesi fa ha ricapitalizzato portando il suo capitale sociale a 25 milioni di euro: è chiaro che se le vicende societarie di WindJet dovessero deteriorarsi fino al crack e - come temono i pessimisti – ad un'inchiesta per bancarotta, la holding potrebbe non restarne immune.

Certo, il Catania è tra le pochissime società calcistiche che presentano bilanci in attivo. Ma è un fatto che se ci sono due settori in generale afflitti da una cronica anti-economicità, questi sono l'aerotrasporto passeggeri e il calcio professionistico. Settori diversissimi ma spesso accomunati dalla gravitazione di imprenditori anche capaci ma morbosamente protesi all'apparire e rigorosamente digiuni di qualunque competenza specifica, sia nel settore turistico-logistico che in quello sportivo.

Dal 2008 in poi, inoltre, la crisi finanziaria globale che ha aumentato la tensione su tutti i finanziamenti di cui queste compagnie vivono e la crisi economica che ha frenato la crescita del business ha falcidiato il settore: dalle grandissime come Twa o Pan Am alle grandi come Malev e Spanair alle piccole come Eurofly, Air Alps, Alpi Eagles, My Air, Livingston non c'è stato alcun altro comparto dove si sia dispiegata con crudeltà la legge del mercato, falcidiando operatori.

Senza però sortire gli effetti pronosticati negli schemini del capitalismo virtuoso caro a Schumpter, perchè fallita una compagnia troppo spesso la si è vista rimpiazzare da un'altra anche peggiore, in un regime dove certamente la concorrenza tiene bassi i prezzi dei biglietti, ma questa soglia bassa non si traduce automaticamente in vantaggi reali, perchè - a fronte dei prezzi di listino  molto accessibili - le “low cost” intrappolano i loro clienti in una rete fittissima di clausole che spesso fanno perdere dalla finestra quel che si è creduto di guadagnare dalla porta: per esempio con le penali allucinanti che deve pagare chi vuol cambiare la data di un volo, o il recupero impossibile dei biglietti non goduti.

Per non parlare degli standard di sicurezza, che non possono non essere stressati fino ai limiti della prudenza e forse anche oltre, per quanto fortunatamente ad oggi le statistiche non denuncino una maggiore “sinistrosità” a carico di questi vettori...
E non basta: il tutto avviene sotto gli occhi glaciali delle autorità internazionali, come la Iata, e nazionali come l'Enac che gestiscono il mercato razionando quella “risorsa scarsa” che sono le rotte e che potrebbero prevenire un simile autolesionistico affollamento di operatori privi delle risorse necessarie per stare sul mercato. Ma incredibilmente non lo fanno...

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Sergio Luciano